Martedì, 09 Febbraio 2016 09:21

Non c'è più l'Italia fra le strategie Piaggio

Due ruote che corrono. Ma verso Oriente. In un contesto in cui un’azienda leader come il gruppo Piaggio appare capace di aggredire i mercati. E di investire – in Italia – anche in ricerca e innovazione. Quando però i vertici del gruppo che comprende Guzzi e Aprilia devono decidere dove produrre, non guardano più al belpaese. Questo pensano i lavoratori impiegati negli stabilimenti italiani di Pontedera, Mandello del Lario (Guzzi), Noale e Scorzè (Aprilia), interpellati con un questionario distribuito dalla Fiom Cgil.

Dalle risposte degli addetti al questionario, rigorosamente anonimo, si sviluppa la fotografia di una grande azienda con la testa ancora a Pontedera, dove tutto è iniziato e dove il settore impiegatizio rappresenta non per caso il 30% dell’organico. Ma le catene produttive scivolano sempre più verso il Vietnam, l’India e la Cina, dove è impegnata la metà dei dipendenti del gruppo. E lo stato delle cose trova un riscontro nella percezione che del lavoro hanno gli addetti in Italia. Non è stata facile la ricerca promossa dalla Fiom, con la distribuzione di migliaia di questionari ai lavoratori del gruppo. Il sindacato ha potuto consegnarlo solo attraverso le portinerie, e non direttamente agli interessati. Che sono tanti: più di 2.000 a Pontedera, 550 all’Aprilia fra Noale e Scorzé, e 90 alla Guzzi a Mandello del Lario. Dai questionari raccolti, compilati e restituiti alla Fiom (circa il 40%), è emersa la preoccupazione dei lavoratori per il futuro. “La Piaggio è un’azienda che non punta sulla produzione italiana – riassumono Massimo Braccini, coordinatore Fiom del gruppo Piaggio, e il nuovo segretario provinciale Marco Comparini – è sana ma è governata con una filosofia per cui si preferisce distribuire dividendi, piuttosto che dare premi di produzione. Agli investimenti in ricerca non corrispondo investimenti industriali. E manca una discussione sul futuro del mercato delle due ruote, e sullo sviluppo per la riduzione dell’inquinamento”.

Dai questionari emerge che le relazioni fra i lavoratori sono buone (77% in media dei tre siti). Ma gli operai sono insoddisfatti della loro condizione (58%). La maggioranza (63%) ritiene basso il proprio stipendio, considera le norme sulla sicurezza rispettate solo in parte (58%), e che il lavoro non sia distribuito equamente (69%). L’insicurezza diventa generalizzata quando si affronta il tema di mantenere in futuro il lavoro: solo il 4% è sicuro di conservarlo, il 48% non ci crede. “Uno degli elementi che più è emerso è la ‘fame’ di formazione – spiegano Braccini e Comparini – i lavoratori non ritengono valorizzata la professionalità, o chiedono di acquisirne di più. Ma l’azienda li ignora”. A Pontedera il 30% degli intervistati segnala di non aver avuto formazione. Quanto poi alla percezione di come l’azienda risponde alla richiesta di formazione, per il 42% è limitata, per il 41% scarsa. La richiesta di corsi svetta invece con l’89%. In definitiva l’azienda non fa formazione, e questo fa paura: ben il 65% degli intervistati teme la perdita del posto. C’è sfiducia. Anche verso i sindacati, giudicati “insoddisfacenti” per il 79% dei lavoratori.

 

Questo settore sul quale non si investe – tira la somme Braccini – è quello che fra un anno vedrà la fine degli ammortizzatori sociali tradizionali. Cig e mobilità, già strutturali, saranno sostituite dalla disoccupazione. Con tutto quello che comporta”. “Dobbiamo lavorare per recuperare fiducia e aprire una nuova vertenza – osserva a sua volta Comparini – l’obiettivo è saturare gli impianti e i volumi, perché oggi Piaggio è gestita con tre, quattro mesi l’anno in cui non si produce. Dobbiamo recuperare importanza produttiva. Anche per dare risposte alle aziende dell’indotto, dove la situazione è drammatica”.

Pubblicato in Società
Mercoledì, 18 Marzo 2015 00:00

Sulla nuova Coalizione sociale

Bene la FIOM e la “coalizione sociale”, bene, parallelamente, la ricomposizione da accelerare della sinistra politica non settaria

La “coalizione sociale” ideata dalla FIOM è stata ufficialmente attivata il 14 marzo. Come già era da qualche tempo noto, le caratteristiche che i promotori (accanto alla FIOM, Libera, Emergency, ARCI, Libertà e Giustizia e altri ancora) hanno voluto dare alla “coalizione sociale” consentono l’appartenenza a essa solo di organismi non politico-partitici, comunque si definiscano. Le intenzioni primarie sono tuttavia, dichiaratamente, del tutto politiche: si tratta di creare nella società una capacità di resistenza davvero efficace alle politiche brutalmente antisociali e pericolosamente lesive della democrazia già operate dai governi di questi anni od oggi in cantiere da parte del governo Renzi, e si tratta di costruire una relazione tra le diverse figure lavorative sfruttate, oggi scomposte in una miriade di forme di lavoro e di rapporti contrattuali dove è dominante la precarietà, in una situazione in cui una sinistra politica di massa non esiste più da un pezzo e la sinistra politica di minoranza è stata ridotta all’impotenza e a un largo discredito sociale da una storia di ripiegamenti su se stessa, scissioni, eterne lotte di frazione, derive estremizzanti e settarie, illusioni sul ritorno a sinistra del PD. Educatamente la critica alla sinistra politica di minoranza non viene più dichiarata dai promotori della “coalizione sociale”, ma alcune sue figure rilevanti l’hanno messa qualche tempo fa per iscritto. Forse potevano evitarlo, poiché qualcosa sul terreno della ricomposizione della sinistra politica aveva cominciato a muoversi, per esempio con la costituzione sotto elezioni europee della Lista Tsipras. Non è che tutti quanti i promotori della “coalizione sociale”, poi, possano dichiararsi freschi politici totalmente estranei al disastro della sinistra italiana. Ma al tempo stesso la loro critica, implicita o esplicita che sia, è meritata. È ovvio, inoltre, che la costituzione della “coalizione sociale” sia anche una critica mossa alle sinistre PD, sostanzialmente inutili, talora più che ambigue.

Pubblicato in Sinistre

Il piano di dismissioni annunciato da Letta non ha potuto non allarmare le organizzazioni sindacali, in primo luogo per ragioni occupazionali quelle genovesi, sui concreti rischi di desertificazione industriale del nostro Paese. Su quanto avvenuto, sui rischi e sulla situazione attuale abbiamo ascoltato l'opinione di Bruno Manganaro, Segretario della FIOM genovese.

Pubblicato in Società

Nel Salone del Podestà non si entra già dopo mezz’ora dall’apertura dei cancelli. Chi resta fuori si raduna davanti agli schermi che sono stati posti in altri punti del Palazzo di Piazza Maggiore. Non è un seminario, come qualcuno aveva descritto l’evento. Si tratta di una partecipazione inattesa, soprattutto per gli organizzatori.

Pubblicato in Società

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.