Le vicende di Fincantieri ed Ansaldo da tempo stanno tenendo banco in particolare per gli effetti negativi per la Liguria, di recente hai incontrato insieme ad altri sindacalisti il Premier Letta, com'è andato l'incontro e cosa ne è venuto fuori?
L’incontro aveva come tema la vendita del settore civile di Finmeccanica che per Genova vuol dire Ansaldo Energia e Ansaldo STS. La posizione del sindacato è NO alla vendita ed abbiamo chiesto all’azionista di maggioranza, il Governo, di fermare tale procedura; prima ipotizzata alla tedesca Siemens oggi con l’ipotesi della coreana Doosan. Ormai da un anno e mezzo il gruppo dirigente di Finmeccanica lavora su questa ipotesi per fare cassa e ripianarne i deficit. Il presidente Letta ha dichiarato che nessuna decisione è stata presa, che la discussione è aperta lasciando intravedere una soluzione diversa. Ne abbiamo preso atto chiedendo di aprire un tavolo di confronto nazionale fra sindacato e governo per verificare che alle dichiarazioni possano seguire degli atti concreti.
Quali sono le vostre maggiori preoccupazioni in merito alla paventata vendita di Ansaldo energia?
Ansaldo Energia occupa 2600 persone, è la più grande azienda genovese, fa utili e si muove in un mercato, certo complicato, ma con una buona qualità nella sua produzione e nel service delle turbine. La vendita vuol dire che Finmeccanica ed il Governo investiranno solo nel settore militare perdendo un altro pezzo di industria italiana e con una nuova proprietà che deciderà, da oltre oceano, il futuro di Ansaldo. Nessuno vive nell’illusione che basta avere la proprietà italiana per vivere tranquilli, ma l’esperienza ci dice che la lontananza geografica rendono più complicate le battaglie e le lotte per la difesa del proprio reddito e del proprio lavoro.
Anche la giunta Doria ha più volte annunciato un piano di privatizzazioni delle aziende municipalizzate finora bloccato: è la fine della primavera genovese?
Sinceramente non ho visto una primavera politica a Genova. La politica ed in particolare la “sinistra” si è mossa solo quando i lavoratori hanno fatto sentire la loro voce e la loro rabbia. Questo è successo in questi anni con Ilva, Fincantieri, Ansaldo, ecc. La classe operaia finché lotta trascina una “sinistra”, altrimenti sono solo gli equilibri istituzionali e di palazzo l’unico interesse. Viviamo in una delle più grandi crisi del capitalismo che macina ristrutturazioni e disoccupazione ma siamo anche in assenza di un soggetto politico che possa rappresentare i lavoratori ed i loro interessi.
Da oramai oltre vent'anni il ruolo dello Stato in economia ha costantemente subito un ridimensionamento, mentre parallelamente per decenni sono stati coperti sprechi ed inefficienze, come recuperare oggi quell'importante funzione e quale contributo possono dare le organizzazioni sindacali?
La crisi del debito è la crisi di un modello sociale ed economico che si chiama capitalismo, gli stati nazionali in Europa cedono potere ed intervengono solo sul piano finanziario con tagli di bilancio e di spesa pubblica. A livello mondiale si affrontano guerre commerciali per ridisegnare le potenze economiche non disdegnando sempre di più la guerra come continuazione di questa politica con altri mezzi. Gli stati intervengono in economia, ma con queste logiche. Senza una battaglia contro questo sistema ogni idea di riforma dello stato è una grande ed enorme illusione. Ciò che può fare un sindacato ed un sindacalista è svolgere bene il proprio ruolo: difendere i lavoratori, le loro condizioni materiali senza subalternità verso il governo e le istituzioni locali e collegare le singole lotte in una battaglia nazionale ed europea. La classe operaia che periodicamente scompare dalle analisi di tanti dirigenti della “sinistra” è ancora presente, magari ferita, divisa, ridimensionata nel nostro paese ma sicuramente in crescita in altre parti del mondo. Un sindacato degno di questo nome deve essere l’organizzatore collettivo dei lavoratori e lavoratrici nella difesa dei loro interessi. I contratti, lo stato sociale, le pensioni sono il frutto di battaglie a cui gli Stati si sono adeguati per rispondere alla forza dei lavoratori; in assenza di tale forza e centralità tutto rifluisce.