Discendenti di quel movimento musicale che a cavallo fra anni ottanta e inizi anni novanta ha cercato di fondare il rumorismo di scuola Velvet Underground con il pop sognante ed elegante anni ottanta dei Cocteau Twins, i Fauns rappresentano lo shoegaze quasi stereotipicamente: una cantante stilisticamente predisposta a vocalizzi sensuali e di cosmica impalpabilità, due chitarre, una ritmica e una per gli effetti, che si intrecciano e si confondono nell’indeterminazione del muro sonoro, niente elettronica, pochissimi stacchi.
Sonorità derivative, dunque, ma realizzate molto meglio rispetto alla maggior parte degli altri gruppi revivalisti del movimento. Un bilanciamento perfetto della sezione ritmica, una produzione ben calibrata, né troppo patinata né troppo ruvida e, soprattutto, una sapiente ricerca melodica, sono gli ingredienti che rendono il marchio The Fauns fra i più appetibili di tutta la shoegaze.
Rispetto ai dischi in studio, dal vivo l’irruenza del gruppo si fa più preponderante, mettendo in secondo piano la melodia. Dopo un inizio in sordina (addirittura uno dei chitarristi nel corso del terzo pezzo perde totalmente il filo e si blocca), Road meet sky, un instant classic del genere, alza i ritmi e il coinvolgimento.
La voce della Garner resta (volutamente?) forse un po’ troppo in sottofondo, perdendo ogni palpabilità. L’effetto complessivo è una scarica di suoni al calor bianco da cui sembra echeggiare un lamento lontano, un vocalizzo celestiale perso nel vortice della tempesta. Le assordanti cascate sonore avvolgono di luce pallida tutto e, nell’indeterminazione, le sensazioni si susseguono senza soluzione di continuità: caldo e freddo, materiale ed etereo, calma e movimento vengono relativizzati e fusi in nuovi ibridi plastici. Del resto lo shoegaze è questo, è ricerca della sintesi: non solo fra rumore e melodia o fra realtà e sogno ma anche fra naturale e artificiale e fra emotività e apatia (il canto che entra in simbiosi con gli effetti chitarristici, le pulsioni del basso, le cadenze della batteria).
In meno di un ora lo show è servito. A caratterizzarlo, oltre che una sezione strumentale di grande impatto, la comunicazione col pubblico, pressoché assente e gli sguardi persi nel vuoto o rivolti verso il basso, esattamente come ci si può aspettare da un gruppo shoegaze che fa – letteralmente - del “guardarsi le scarpe” un’arte.
Tendenzialmente, lo shoegaze resta un genere che dà il meglio di sé quando lo si ascolta registrato, poiché la difficoltà di restituire la coniugazione di rumore e melodia richiede tecniche di produzione sonora spesso complesse e costose (si dice che Loveless dei My Bloody Valentine, capolavoro del genere, sia costato quasi 250,000 Sterline). Nonostante questo e il fatto che la voce della cantante sia rimasta troppo in sottofondo, perdendo ogni incisività, i Fauns hanno restituito lo spirito genuino di un genere che continua a influenzare profondamente la musica alternativa contemporanea.
Averli portati a Firenze, costituirà sicuramente un vanto per il Tender che, insieme al Glue, è fra i migliori locali per la musica alternativa (e a prezzi contenuti, il che non guasta mai) del capoluogo toscano.
Seguiranno, nel corso del mese, altri concerti molto interessanti come Fast Animals and Slow Kids e Maria Antonietta.
Voto: 7/10