Alla fine però è la sensazione di eerie a prendere il sopravvento. Il luogo sembra avvolto da uno strano senso di silenzio che non ha nulla a che vedere con i reali livelli di rumore, visto che il porto è saturo dei clangori e degli strepiti meccanici prodotti dalle operazioni di carico e scarico delle navi. Ciò che manca, almeno per lo spettatore che osserva il porto da una privilegiata posizione esterna, è qualsiasi traccia di linguaggio e socialità. [...] Gli umani sono esclusi dalla vista, rinchiusi dentro cabine di guida, gru e uffici. [...] Il contrasto tra il terminal container, in cui gli umani fungono da invisibile collegamento tra sistemi automatizzati, e il clamore degli antichi moli londinesi [...], la dice lunga sugli spostamenti di capitale e lavoro degli ultimi quarant'anni. Il porto è un segno del trionfo del capitale finanziario, e fa parte della massiccia infrastruttura materiale che alimenta l'illusione di un capitalismo "smaterializzato". È il volto eerie della patina materiale del capitale contemporaneo» (pp. 90-91).
Questa lunga citazione è presa da un capitolo apparentemente marginale di The Weird And the Eerie (Minimum Fax, 2018), ultimo lavoro in vita prodotto dal filosofo e critico culturale britannico Mark Fisher. Il resoconto autobiografico di una passeggiata nel Suffolk dal porto di Felixstowe fino alla cittadina di Woodbridge appare un elemento radicalmente estraneo nella geometria del libro, che offre una panoramica sulla presenza dello strano ("weird") e dell'inquietante (una delle possibili traduzioni del termine "eerie") nella cultura contemporanea. A ben vedere però, nella descrizione del porto automatizzato e impersonale di Felixstrowe troviamo la chiave di lettura per comprendere perché The Weird and the Eerie non sia un semplice saggio di critica culturale ma uno strumento utile per aiutarci a comprendere il presente e le dinamiche sociali e politiche attuali.
Sebbene di natura diversa, l'ultimo lavoro di Mark Fisher non può infatti essere analizzato separatamente dalle altre sue opere, più dichiaratamente politiche. Se Realismo Capitalista (pubblicato di recente in italiano da Nero) metteva in evidenza la capacità del neoliberismo di imporsi ontologicamente come unica realtà possibile, negando ogni forma di esternalità critica e annichilendo ogni possibile slancio utopico, Ghosts of My Life (di prossima pubblicazione in italiano per Minimum Fax) mette in evidenza un clima culturale irrequieto e fantasmagorico, schiacciato fra un tempo ipermoderno, caratterizzato dalla più violenta retorica dell'innovazione e dalla forsennata rincorsa all’innovazione tecnologica e uno in cui il realismo capitalista ha eroso ogni alternativa critica e sradicato ogni possibilità di concepire un qualsiasi futuro alternativo. Da una parte il mito del progresso al suo culmine (automazione, robotica, digitale) dall’altra la consapevolezza della sua vuotezza, della sua inutile autoreferenzialità (il progresso non per un futuro “altro” ma per il progresso stesso). La cultura contemporanea per Mark Fisher va dunque vista come profondamente angosciata e traumatizzata da questo collasso della coerenza temporale: disagio artistico ed intellettuale in cui si sovrappongono inquietudini digitali, nostalgie retro e fantasmi di mondi alternativi abortiti dal sistema liberista ma di cui ancora si sente un'eco o si percepisce una presenza.
Ecco allora che si può comprendere appieno l'obiettivo di Fisher: rintracciare questi sentimenti, questo senso di disagio profondo avvertito nella produzione artistica e culturale contemporanea. Questa operazione viene condotta partendo dai due concetti già precedentemente accennati e che danno il titolo al libro, quelli di Weird e Eerie. Fisher definisce il weird, lo strano, come un “qualcosa che è fuori posto” e che per realizzarsi presuppone una compresenza di due entità che non appartengono alla stessa dimensione. Il weird «chiama in causa un senso di non-correttezza: un entità o un oggetto weird è talmente inusuale da generare la sensazione che non dovrebbe esistere, o perlomeno non dovrebbe essere qui». Questo effetto è rintracciabile già nei bizzarri racconti di H. P. Lovecraft dove mostri ed entità soprannaturali irrompono continuamente nella quotidianità, generando incongruenze logico-temporali e mettendo in cortocircuito la nostra capacità di discernere realtà e fantasia, poiché l’esterno finisce per risultare spesso più sensato e vivido di una realtà che si dimostra alla fine un involucro illusorio. Esempi più moderni di Weird si possono ritrovare nella new wave dei Fall il cui sound bizzarro e incongruente si gioca nella sovrapposizione caotica fra la quotidianità asfissiante della metropoli industriale inglese e l’incoerenza dell’assurdo e del grottesco che emerge nelle modalità più raccapriccianti e oscene, oppure nei film di D. Lynch dove sogno e realtà si compenetrano a tal punto da far collassare qualsiasi possibilità di razionalizzazione.
Il concetto di Eerie è però indubbiamente più stimolante. Anch’esso deriva da un ossessione per ciò che è strano ed esterno, ma piuttosto che essere un “generatore di accostamenti bizzarri”, è legato alla questione dell’agentività (agency) e dell’esistenza/non esistenza e può emergere in due frangenti: o nel momento in cui c’è qualcosa quando in realtà non dovrebbe esserci niente oppure in una situazione nella quale non c’è niente quando invece dovrebbe essere qualcosa. Il fascino del porto di Felixstowe è proprio dovuto al suo essere esemplificativo di una eeriness del secondo tipo, per la mancanza di un agente umano dove ci si aspetta che ci sia. All’opposto, Gli uccelli di Daphne Du Maurier (e nella trasposizione cinematografica di Hitchcock) mette in scena una eeriness in cui vi è una presenza, quella appunto degli uccelli, che invece di restare sullo sfondo delle vicende come ci si aspetterebbe, mostra di possedere una inquietante agentività che pone dilemmi irrisolvibili sul suo comportamento e sulla sua intenzionalità, in una progressiva dissoluzione di tutte le certezze. L’eerie come fallimento di presenza o fallimento di assenza si ritrova in film di fantascienza come 2001 Odissea nello Spazio (cosa è il monolite? Chi l’ha prodotto? Questo agente come ha agito e che influenza ha avuto nella storia dell’umanità) o Solaris (il pianeta è dotato di intenzionalità? E se sì, cosa rappresentano i visitatori che invia?) in cui il problema dell’azione resta volutamente irrisolto, rendendo vivido un sentimento di angosciosa inquietudine.
L’estetica eerie, che pervade anche certe musiche di Brian Eno o i romanzi di Margaret Atwood e Joan Lindsay, mostra la presenza nella cultura contemporanea di un profondo disagio che rispecchia le insicurezze della società moderna e ipermoderna. Quali forze esercitano la loro influenza senza che noi riusciamo a identificarle? Il capitale non ha una reale esistenza materiale ma tuttavia esercita delle trasformazioni e produce degli effetti concreti. Non è forse incredibilmente eerie il fatto che nel mondo della rivoluzione digitale, dell’intelligenza artificiale, della robotica e dell’automazione, dei sistemi finanziari tentacolari, il futuro mostri tutta la sua inquietante mancanza di presenza? Forse non è casuale la grande fortuna che sta avendo da qualche hanno a questa parte il genere distopico: non siamo più probabilmente in grado di immaginare il futuro se non come un angosciante presente ipertecnologico spinto alle estreme conseguenze. La mancanza di presenza del resto riguarda sempre più il fulcro dei valori “occidentali”, ridotti ormai a meri simulacri mediatici, fra una democrazia degenerata in una sfida elettorale/show fra capi carismatici e una libertà inglobata nel meccanismi del consumo e del marketing (Big Data). Ma ad inquietare è anche il fallimento di assenza. I cambiamenti climatici e la crisi ecologica, condizioni completamente incompatibili ed esterne alla semantica moderna e al paradigma culturale del dominio e sfruttamento della natura, appaiono in tutta la loro forza e nei loro tragici effetti, che sono sotto gli occhi di tutti.
Interrogarsi sulle categorie di Weird e Eerie non può essere ritenuta un’operazione oziosa, piuttosto uno strumento che obbliga a interrogarci sul rapporto che lega la cultura popolare, sia essa di nicchia o mainstream, con le strutture socioeconomiche della nostra epoca.
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