Realizzato interamente nella sua cameretta, in meno di un mese a un ritmo frenetico e quasi psicotico, come lei stessa afferma, il bizzarro pastiche di Visions col suo fascino gotico e straniante, aveva conquistato la critica e aveva permesso a Claire Boucher di crearsi un nocciolo duro di fans, diversi dei quali rimasti un po' interdetti o quantomeno confusi di fronte al cambio di passo della musicista canadese, intenzionata a proseguire per la sua strada, senza stare tanto a guardarsi indietro.
Ne esce un album molto eterogeneo, volutamente frammentario che lei stessa definisce "per metà pop e per metà strano", ma che in realtà è spesso tutte e due le cose insieme. Nonostante tutto, resta difficile considerarlo un disco mainstream, a dispetto del potenziale radiofonico di certi pezzi ("California", "Flesh Without Blood"), tali sono le stravaganze e le eccentricità presenti. Da questo punto di vista, soprattutto in apertura dell'album lo shock è forte: in rapida successione si susseguono una leggera canzoncina dance pop costruita su una base elettronica esplicitamente (e fieramente) ispirata a Rihanna ("California") e un delirio rumoristico in cui la musicista taiwanese Aristophenes vomita un invasato rap femminista interamente in mandarino sommersa da beat industriali mentre in sottofondo si può udire Grimes lanciare urla infermali apparentemente a caso ("Scream").
Dietro il disco c'è del resto una concezione ben precisa del ruolo delle donne nella musica contemporanea. Se le musiciste e le perfomers non mancano, sono pochissime le donne nell'industria musicale mondiale, settore dominato per la stragrande maggioranza da produttori discografici di sesso maschile (oltre il 90% sul totale). Grimes, da questo punto di vista, ha voluto lanciare un messaggio chiaro, autoproducendo interamente il proprio album e ricercando la collaborazione esclusivamente di artiste donne (Aristophanes e Janelle Monae). Il risultato è uno dei pochissimi dischi di una certa tiratura (la casa discografica è la mitica 4AD) in cui il contributo maschile non è presente in alcuna fase della sua realizzazione.
Al di là di questo aspetto però, i testi risultano in realtà complessivamente meno interessanti e suggestivi di quelli di Visions. Del resto, l'obiettivo di Grimes era quello di creare un disco fondamentalmente diretto e immediato, influenzato tanto dal pop dell'estremo oriente (un J-pop cinematico in salsa manga) - ormai non più solo dal punto di vista della timbrica e del cantato ma anche da un punto di vista stilistico in senso più ampio - quanto dal dance pop occidentale degli anni ottanta. Evidente da questo punto di vista, l'influenza di Madonna su molte delle canzone più leggere e disimpegnate come "Belly of the Beat" o "Artangels", che comunque luccicano di una patina pop quasi irresistibile.
Non è un caso che l'umore dell'album possa essere riassunto dal titolo dell'intro "Laughing and Not Being Normal". Trattasi infatti di un lavoro meno inquieto, sognante e sinistro di Visions ma in cui l'approccio al pop resta obliquo e innaturale: Si flirta con il pop più mainstream e radiofonico ma non lo si realizza nella sua interezza, come su "Kill V.Meim", potenziale hit da discoteca disturbata da squarci electro-industriali da videogioco Nintendo, vicino allo stile dei conterranei Crystal Castles, o come su "Pin" che suona come se Lana del Rey fosse sotto l'effetto di potenti droghe eccitanti.
Not being normal, ma anche laughing si diceva, e in effetti è la stessa Grimes a rivendicare l'aspetto solare e godereccio delle melodie contenute su Art Angeles quando, sulla già citata "California", si rivolge in maniera critica nei confronti della rivista musicale Pitchfork (che in realtà aveva contribuito a farla emergere promuovendo il suo Visions e annoverando il singolo "Oblivion" come la migliore canzone della decade fino a quel momento) rea, a suo avviso, di elogiare i suoi lavori solo quando suonano "tristi".
Questa Grimes sempre strana, schizofrenica, ma anche molto più esuberante e vivace, impone un nuovo protagonismo alla voce, sempre fanciullesca e orientaleggiante (fra Enya, Bjork e una star K-pop), ma decisamente più in primo piano: sparisce l'estetica dream pop di Visions, si eleva il cantato sopra i beat e la strumentazione, restituendo una sensazione generalizzata di pulizia e nitidezza. La versione ripulita di "Realiti", retta su appiccicose atmosfere r'n'b vicine ai Poliça, molto più asettica di quella demo, è prova lampante di un processo di sterilizzazione che si diffonde a macchia d'olio su tutto il disco ("Easily" o "Butterfly").
Art Angels sembra insomma avere il potenziale di attrarre un bacino più ampio di ascoltatori, grazie alla sua memorabile sequenza di pezzi dal grande impatto melodico e davvero "addictive", ma sembra perdere in ricchezza e in creatività, almeno rispetto al precedente Visions.
Guai però a considerarlo un banale disco dance pop.
voto: 7/10