Nessuna ruffiana concessione al mercato però, ma solo l'esigenza artistica di pervenire a una formula pura di art pop. Ecco allora la voce della Holter emergere, cristallina e squillante, su tutte le composizioni e reclamare quella posizione di primo piano che si era nichilisticamente negata nei precedenti dischi. Squarci di azzurro dunque, che non devono però far pensare a una semplificazione della propria proposta: c'è, è vero, una lucentezza nuova che irradia ogni composizione, una leggerezza che abbraccia completamente la sua musica, ma la struttura compositiva resta estremamente complessa ed intricata, mentre le melodie pop, memorabili ma audaci e oblique, hanno pochissimo potenziale radiofonico. E se è vero che "In a more interesting world, it would be all over the radio", come afferma amareggiato il critico del Guardian che sembra non voler accettare come tale splendore possa rimanere un fenomeno underground, è pur vero che siamo in presenza di melodie pop di rara bellezza ma anche di rara complessità, che chiedono all'ascoltatore un'attenzione e un assorbimento nella musica tale, da farlo risultare un prodotto inadatto al music business.
Le abilità compositive della Holter, già in grande evidenza nelle prove precedenti, toccano con questo quarto album vertici di stupefacente inventiva. Ci sono vari momenti da antologia del rock da camera contemporaneo: si noti l'intensità drammatica (come sul capolavoro "Lucette Stranded On The Island", dove il sontuoso dialogare di archi e percussioni sovrasta tutto nel climax finale, per poi ripiegarsi su se stesso e lasciare spazio agli ultimi, strazianti, vocalizzi di Julia), le brillanti e dolcissime atmosfere jazzate ("Vasquez" dove lo spoken word della Holter definisce una ermetica narrazione lirica degna della Kate Bush più ispirata, o "Silhouette", una delle composizioni pop più eleganti degli ultimi anni, retta da un leggero tappeto percussivo che tocca corde quasi lounge), gli splendidi intrecci d'archi (la mitteleuropea "How Long?" che evoca lo spettro di Nico in una composta teatralità gotica che esplode dopo una estenuante attesa) e l'incanto pianistico (che avvolge pezzi di infinita delicatezza e sbalorditiva grazia come l'opening track "Feel You") di un disco che si regge su un miracoloso equilibrio lirico e ritmico.
Molte le innovazioni e le scommesse vinte: dinamica e brillante, "Everytime Boots", coi suoi ritmi frenetici, pare addirittura flirtare con atmosfere cabarettiste, mantenendo però quel distaccato contegno che eleva il rock da camera a messaggio universale. Coraggiosa la bellissima "Sea Calls me Home" dove nelle perfezione timbrica della Holter, a irrompere nella corrente sonora fino a quel momento lineare, è un travolgente doppio sax che eleva tutto a grande numero avanguardistico, lasciando intatto il fascino melodico. "Night Song" fa riemergere una Holter crepuscolare e downtempo, ma con una nuova sensibilità poetica, in quella che è una delle più belle e malinconiche ballate dell'anno. Geniale poi, l'altra grande immaginare "letteraria" che fai il pari con Lucette Stranded on The Island: "Betsy On The Roof" è un overdose di suggestioni, una camaleontica sovrapposizione ritmica, che riscrive un'epica nuova, suggestiva e ricca senza voler essere magniloquente ed eccessivamente enfatica.
Risulta insomma impossibile non perdersi nelle terre selvagge dipinte a tinte leggere da Julia Holter. Ma se nei precedenti lavori lo smarrimento era dovuto al carattere occulto ed ermetico della sua musica, qua si resta disorientati e forse un po' frastornati dalla ricchezza del materiale musicale proposto, di una bellezza che probabilmente non ha eguali nel panorama musicale, almeno di quest'anno.
Voto: 9/10