Contro la fabbrica del pop: una conversazione con i False Heads

In un'epoca in cui la scena musicale appare sempre più dominata da talent show di vario genere e dai loro vincitori, che occupano le classifiche con carriere tanto esplosive quanto spesso brevi, è diventata quasi una rarità imbattersi in una band che si fa strada fino ai grandi festival partendo dai locali del proprio quartiere.

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Quando il cabaret combatte contro il cancro: un'intervista con Rose Thorne 

Tra tutte le forme d'arte, il cabaret è storicamente forse quella più strettamente legata al mondo dell'underground e della controcultura.

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Il cambiamento culturale parte dal basso: una conversazione con i Welcome Back Delta

In un certo senso, i Welcome Back Delta sono l'esempio perfetto di quello che viene in mente quando ti viene chiesto di immaginare un progetto musicale interessante e fuori dal mainstream, con l'abilità di dimostrare che non c'è bisogno di una grande label per attrarre un seguito, farsi strada attraverso una serie impressionante di concerti e festival, e ritrovarsi con una consistente produzione di buona musica come prova di tutto questo.

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Cronache dal Sottosuolo: L’Italian Occult Psichedelia
Su “Nostra Signora delle Tenebre”, la neopsichedelia italiana omaggia il cinema del brivido e le sue colonne sonore

Si è sempre un po’ scettici di fronte a quei lavori volti a inquadrare un’intera scena o movimento musicale. Spesso questi progetti finiscono per dare una idea stereotipata, didascalica, semplicistica o eccessivamente (auto)celebrativa della ricchezza artistica che contraddistingue un particolare contesto musicale. Ma ci sono anche grandi eccezioni, come la storica “No New York” assemblata da Brian Eno, uno spaccato fondamentale della radicale e nichilista scena No Wave newyorkese o le ”Nuggets”, serie di album che raccoglievano il meglio dell’underground garage degli anni sessanta.

Nel suo piccolo, anche “Nostra Signora delle Tenebre” è un esempio di un lavoro che riesce nell’intento di fotografare in maniera precisa e puntuale un movimento intero, restituendone la forza espressiva e la sua ragion d’essere. Il genere in questione, la cosiddetta Italian Occult Psychedelia, è fra i più interessanti emersi dall’underground nostrano negli ultimi anni.
Il disco si presenta sotto le sembianze di un tributo al cinema horror e giallo e alla sue musiche. Non si tratta dunque di un assemblaggio di composizioni estratte dagli album di ciascuno degli artisti presenti in scaletta, ma piuttosto di una serie di rivisitazioni di alcuni pezzi di grandi compositori di colonne sonore quali Ennio Morricone, Nico Fidenco, Stelvio Cipriani Nino Rota, ed Egisto Macchi.
Ne emerge una costellazione di musicisti amanti dell’occulto e del claustrofobico come del trascendente e dell’onirico che stanno rivitalizzando la musica indipendente italiana e che in molti casi stanno avendo anche una discreta affermazione internazionale. Emergono, insomma, i tratti salienti di un movimento all’apice della sua forma e al culmine della sua creatività.

Su queste stesse pagine, è stato a più riprese affermato come la musica popolare sia in una (ennesima) fase di grande rivisitazione degli anni sessanta psichedelici, filtrati tramite nuove sensibilità e un’impostazione prevalentemente “indie”. L’Italia, pur col suo consueto ritardo, non è da meno in questo processo di riscoperta. Rispetto all’Inghilterra dove imperversa un pop psichedelico piacevole ma accessibile (Tame Impala, Temples), la peculiarità italiana sta nel l’oscurità e nello sperimentalismo che contraddistingue buona parte dei protagonisti del movimento. Movimento che, avanguardista e sotterraneo, sebbene abbia dato vita a molte collaborazioni, non presenta comunque quella omogeneità stilistica né quella vicinanza geografica da poter permettere di poter parlare di una vera e propria “scuola”.
Fra gli artisti presenti nella raccolta si possono infatti rintracciare approcci diversi alla materia psichedelica: c’è, chi fa maggior riferimento all’esperienza più vicina alla world music e al kraut rock che fu, con composizioni aperte e oniriche, eteree e allucinate, chi poi guarda con maggiore convinzione ai classici della psichedelica degli anni sessanta mentre altri ancora preferiscono esplorare piuttosto il lato claustrofobico e opprimente, viscerale e rumorista dell’acid rock.

Fra i più apprezzati internazionalmente, si distinguono i Lay Llamas che producono per la mitica Rocket Recordings (che ha in squadra pezzi da novanta come Oneida e Goat), uno delle case discografiche più importanti al mondo in ambito psichedelico. La loro rivisitazione di “Palude”, seconda composizione in scaletta, è una spasmodica danza collettiva, un adrenalinico ed effervescente rituale pagano in onore del dio sole. Altrettanto rinomati fuori dai confini nazionali, gli Heroin in Tahiti (il nome è tutto un programma) presentano una calda e avvolgente “Nuda per Satana” su riff di abbagliante sensualità e ipnotica visionarietà. Al fervore mistico quartomondista si abbandonano però anche i Mamuthones, progetto parallelo di Marco Fasolo (Jennifer Gentle), che crea variegati paesaggi lisergici in cui l’horror vacui si esprime in tutto il suo angosciante turbamento e l’enigmatico e talentuoso Gianni Giublena Rosacroce che presenta qua un “incubo sulla città contaminata”, maestoso trip lisergico che vive di un’impalpabile inquietudine senza fine. Compagni di etichetta di quest’ultimo (la Yerevan Tapes, una delle protagoniste assolute nel dare visibilità al movimento tutto) sono i Cannibal Movie, autori di impressionanti cavalcate allucinogene e di dirompenti fiumi sonori in area post e kraut rock. Sullo sfondo, i nomi tutelari di Ash Ra Tempel e Popul Vuh ma anche i contemporanei Sun Araw, Peaking lights e Goat sono influenze marcate per questi artisti.

Il versante più nichilista e cupo del movimento, esprime invece il suo spirito lisergico tramite un approccio più marcatamente rumoristico. I Mai mai mai sono il prototipo della psichedelia che invece che guardare in alto, verso il cielo, fissa lo sguardo a terra e prova a penetrare il sottosuolo. Anch’essi prodotti dalla Yerevan Records, si presentano qua con una spigolosissima interpretazione di “sette note in nero” sintomatica della loro esigenza comunicativa: perturbanti increspature industriali, oscuri battiti notturni per un opprimente suono dell’oltretomba. Non sono da meno i Father Murphy (“l’alba dei morti viventi”) in cui la mistica occulta si trasforma in un disagio ansiogeno quasi fisico, né gli OvO, impeccabili architetti sonori del vuoto e dell’abisso.

Forme meno estreme ma comunque alternative di neopsichedelia vengono poi da due dei protagonisti più celebri del movimento, Edible Woman (ottimi i loro intrecci di strumentazioni tradizionali e sintetiche) e Jennifer Gentle, in tour coi Verdena, qua nella veste taciturna e riflessiva della sensuale ninnananna Chanson de la nuit.
Second H Sam, Lamusa, Maria Celeste, Slumberwood e Beautiful Bunker arricchiscono un progetto ben riuscito e che immortala un movimento sotterraneo che merita di essere portato alla luce.

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