Mercoledì, 21 Febbraio 2018 00:00

Il cambiamento culturale parte dal basso: una conversazione con i Welcome Back Delta

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Il cambiamento culturale parte dal basso: una conversazione con i Welcome Back Delta Headbangers Balls / DJE Images

Il cambiamento culturale parte dal basso: una conversazione con i Welcome Back Delta

In un certo senso, i Welcome Back Delta sono l'esempio perfetto di quello che viene in mente quando ti viene chiesto di immaginare un progetto musicale interessante e fuori dal mainstream, con l'abilità di dimostrare che non c'è bisogno di una grande label per attrarre un seguito, farsi strada attraverso una serie impressionante di concerti e festival, e ritrovarsi con una consistente produzione di buona musica come prova di tutto questo.

Il quartetto rock proveniente da Cheltenham, Gloucestershire, mette a dura prova le categorie di genere – chi li ascolta li definisce in una varietà di modi che include 'rock classico' come anche 'probabilmente punk metal' – ed è stato una presenza ricorrente sulla scena musicale del Regno Unito fin dal 2011. In questi anni hanno prodotto due album in studio, collezionato performances in contesti di ogni tipo, e si sono guadagnati un buon numero di – meritate – recensioni positive. I loro fan provengono dal Sud-Ovest dell'Inghilterra e oltre. In questa conversazione con Joe Kelly, voce e chitarra elettrica della band, abbiamo parlato della futilità delle categorizzazioni, del futuro della musica rock (tutta quanta) e del genere di incidenti folli che possono succedere mentre si è in tour.

CS: Presentatevi in poche parole.

JK: In linea di massima ci definiamo come una band rock-blues. Siamo stati presenti sulla scena per sette anni circa, e abbiamo partecipato a un buon numero di festival nel Regno Unito oltre a suonare in locali più piccoli. Abbiamo anche aperto concerti per band come Clutch e per Nick Oliveri dei Queens of the Stone Age, nel suo tour solista.

CS: Il vostro stile è a suo modo unico – certamente contiene delle suggestioni metal, ma anche classic rock e un po' di punk. Che genere di suono stavate cercando di ottenere, e quali sono le vostre influenze principali? 

JK: È difficile da definire con esattezza. Tutte queste cose ci sono certamente. I vari membri della band ascoltano cose diverse, e quindi hanno portato a influenze diverse nella nostra musica. Ci hanno descritti in tutto un numero di modi, a un certo punto perfino 'stoner rock'. Ci sono canzoni che hanno quel ritmo più veloce tipico del punk, altre che si rifanno più al rock classico, e altre che ogni tanto scendono nei suoni più scuri del metal. Il lato positivo è che quando la gente viene ad ascoltarci, di solito trova qualcosa che gli piaccia, anche quando ha interessi diversi. Se c'è una canzone che non è proprio il loro genere di cosa, con un po' di fortuna la successiva gli piacerà di più. Abbiamo una tendenza a cercare di far entrare le cose in qualche genere di scatola a ogni costo di questi tempi, e questo porta a dividere la musica in categorie, e sotto-categorie, e sotto-sotto-categorie. Era una cosa utile quando si andava in un negozio di musica e i generi rendevano più facile trovare quel che stavi cercando. Di questi tempi, invece, la gente compra musica in maniera diversa, soprattutto online, oppure direttamente ai concerti. Quindi si guardano semplicemente intorno, o ascoltano un consiglio, e trovano cose che gli piacciono che possono essere anche molto diverse tra loro. Così le categorie finiscono per non avere più molta importanza. 

CS: È sempre più frequente che la musica che non è semplicemente pop commerciale venga considerata 'di nicchia', o 'una sottocultura'. Che cosa ne pensi? 

JK: Se ci pensi la musica pop è semplicemente quello che dice l'abbreviazione, musica popolare. Adesso c'è un tipo particolare di suono associato a questo ampio pubblico, una specie di pop plasticoso che include il marketing intensivo di band che sono state messe insieme forzatamente, cantano canzoni scritte da qualcun altro, e hanno un suono e un'estetica specifici, e questo è quel che si trova in cima alle classifiche. Certamente c'è una grossa fetta di pubblico interessata a questo genere di cosa, che contiene un forte elemento di intrattenimento – si potrebbe dire che la musica è tutta intrattenimento, ma con le band meno mainstream ci si avvicina molto di più all'arte, e l'enfasi è sul cercare di ottenere un certo tipo di suono. Mentre con questa musica commerciale la cosa più importante spesso è il gossip – molto spesso la gente inizia ad ascoltare un certo artista perché riconosce la persona che ha visto su una rivista, e gli interessa il gossip che lo circonda. C'è un sacco di marketing, mentre con gli artisti al di fuori del mainstream uno deve andarseli a cercare, quindi in un certo senso è una sottocultura. Ma non la chiamerei una nicchia. In termini di numeri, potremmo aver raggiunto un punto in cui se sommi le fette di pubblico che seguono ogni sottocultura la somma è in effetti maggiore, o sul punto di diventare maggiore, del pubblico della musica commerciale. Potrebbe essere una controcultura nel senso che si oppone effettivamente a quel genere di musica.

CS: Che cosa ne pensi delle performance dal vivo – è meglio un concerto in un piccolo locale o a un grande festival, e quali sono gli elementi fondamentali dei vostri concerti?

JK: Sono esperienze molto diverse, è difficile scegliere. Nei locali più piccoli, e abbiamo fatto concerti anche in locali molto piccoli, fino a certi pub dove non c'era neppure un palco e la gente era seduta per terra, puoi avere un contatto molto più ravvicinato con il pubblico. Il modo in cui il pubblico reagisce tende a influenzare il modo in cui suoni, anche. E capita di riconoscere persone che sai che ti seguono, e che conoscono la musica. C'è stata una volta che ho notato qualcuno tra il pubblico che conoscevo da certi video che aveva messo su Youtube, che conosceva le canzoni e le sapeva suonare, quindi gli ho passato la mia chitarra e l'ho fatto suonare con noi. Poteva finire in un disastro, ma per lui è stata un'esperienza, poter suonare con la band, ed è stato un bel momento per tutti. Trovare una connessione con il pubblico è estremamente importante – parlare con la gente che viene a sentirti, restare a bere qualcosa con loro dopo un concerto e così via. Nei grandi festival questo succede di meno, ma in cambio sono possibili altre cose, come il fatto di poter raggiungere un pubblico molto più vasto in un colpo solo – in un piccolo locale puoi raggiungere forse cento persone in una serata, a un festival ne hai cinquecento, o anche di più. E c'è molto più spazio sul palco che si può usare, e questo aggiunge un elemento di performance che va oltre la musica. 

CS: Credi che alla musica rock e metal serva avere il senso dell'umorismo? 

JK: Non necessariamente il senso dell'umorismo. Noi certamente lo abbiamo ed è qualcosa a cui non rinunceremmo, ma non direi che è una cosa strettamente necessaria. Ma certamente serve non avere troppo ego, avere l'abilità di non prendersi troppo sul serio, quello è indispensabile. L'ego è una cosa che può rovinare un concerto. Abbiamo suonato con varie grandi band e tutte avevano imparato a non prendersi troppo sul serio. Quando aprivamo i concerti per Nick Oliveri, lui era lo stereotipo della rockstar – offriva da bere alla gente prima di un concerto e così via – ma non era affatto pieno di sé. Invece succede sempre più spesso che le band più giovani pensano di essere i futuri principi della classifica, e questo può rovinare completamente l'esperienza con il pubblico. 

CS: Qual è la cosa più bizzarra che vi è mai successa durante un concerto?

JK: Ce ne sono parecchie, di cose bizzarre che sono successe. Una volta il nostro bassista si era messo un plettro in bocca e l'ha ingoiato per sbaglio, che non deve essere stato piacevole. Ha dovuto lasciare il palco perché stava soffocando, e noi cercavamo di coprirgli le spalle, 'un attimo, torniamo subito...' Alla fine l'ha davvero inghiottito. Ma è tornato e ha finito la serata. Un'altra volta ci stavamo preparando per suonare a Birmingham quando è partito l'allarme antincendio, e abbiamo dovuto andarcene e aspettare fuori dal locale, lasciando dentro gli strumenti, gli amplificatori, tutto. Speravamo che non fosse niente, che fosse solo un tostapane che aveva fatto partire l'allarme o qualcosa del genere, finché a un certo punto non ha iniziato a venir fuori acqua da sotto la porta del locale. Viene fuori che il palazzo accanto al locale ha avuto un incendio per davvero, e sono venuti i pompieri per spegnerlo, ed è partito l'impianto antincendio. E noi siamo bloccati fuori a chiederci, se il locale è allagato, abbiamo perso gli amplificatori? Alla fine quando siamo riusciti a rientrare erano le undici di sera passate, ma fortunatamente il palco era rialzato – nemmeno troppo, uno scalino di quindici centimetri – ma ha salvato gli amplificatori. Le prese elettriche erano inutilizzabili, quindi non abbiamo potuto suonare comunque, ma ci hanno invitato un'altra volta e ce l'abbiamo fatta, finalmente. E c'è stata una volta a un festival in cui stavamo suonando in un parco, e stava diluviando. Il palco era coperto da un telo, ma c'era vento e pioveva orizzontale, e l'acqua passava da dietro, dov'era la batteria. Il nostro batterista spruzzava acqua dappertutto mentre suonava, e ne sono uscite fuori delle foto bellissime, ma c'erano delle pozzanghere sempre più grosse sul palco, e abbiamo suonato tutto al doppio della velocità e siamo scappati prima di prendere la scossa. Ma la gente è rimasta lì ad ascoltare lo stesso, anche sotto la pioggia!

CS: Cosa pensi che ci sia nel futuro della musica rock? Le cose andranno meglio, o peggio?

È difficile dire cosa succederà, ma la mia speranza è che la separazione tra quel genere di musica commerciale di cui abbiamo parlato e tutto il resto, la musica di sottocultura o controcultura o come vogliamo chiamarla, continui a crescere. C'è un gran numero di band giovani che stanno facendosi strada e che fanno cose interessanti, sperimentali, con tipi nuovi di suono. Per esempio nel regno unito il movimento grime (un genere che mischia industrial rock e musica elettronica, nato nelle comunità afrocaraibiche di Londra, NdI) sta diventando sempre più interessante. E nuovi festival stanno iniziando a essere promossi, altri stanno diventando sempre più grandi, e il pubblico che attraggono è molto entusiasta. La speranza quindi è che le cose vadano meglio nel senso che questa rete di contatti continuerà a svilupparsi. Un sacco di band di questi tempi non hanno un contratto con una label, e hanno trovato modi diversi di finanziarsi, vendendo i loro gadget, vendendo musica online o ai concerti, creando dei network tra di loro per organizzare concerti insieme. Per esempio, a breve suoneremo al Riffolution Festival a Manchester, insieme a varie band del Nord del Regno Unito che sono meno conosciute nel Sud-Ovest, che è dove abbiamo iniziato. Poi porteremo alcune di queste band con noi per suonare il Venerdì Santo al Frog and Fiddle Pub a Cheltenham. Sono iniziative create direttamente dalle band e in costante crescita, e il network che stanno creando è sempre migliore. Ci sono persone là fuori che hanno un talento eccezionale – esiste certamente il potenziale perché qualcosa di davvero interessante possa succedere.

 

Immagine ripresa liberamente da welcomebackdelta.bandcamp.com

Ultima modifica il Lunedì, 19 Febbraio 2018 18:17
Chiara Strazzulla

Nata in Sicilia, ha studiato a Roma e Pisa e vive a Cardiff, in Galles, dove lavora a un dottorato in Storia Antica e insegna latino. Autrice di prosa e teatro, è pubblicata in Italia da Einaudi Editore.

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