Venerdì, 20 Febbraio 2015 00:00

Gli abiti nuovi del liberismo

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Uno spunto di riflessione

Condivisione, partecipazione e innovazione, sono temi che ricorrono insistentemente in una nuova narrazione dell’economia, del lavoro, della partecipazione politica molto diffusa tra giovani lavoratori ad alta formazione, non di rado freelance o giovani imprenditori.

Questi termini  costruiscono un universo di senso omogeneo e vengono declinati a seconda che l’ambito sia quello dell’economia, quello del sociale o quello della politica: Sharing economy, crowdfunding, coworking, start-up, smart cities, smart economy, innovazione sociale, innovazione culturale, ma anche welfare innovativo, secondo welfare, nuovo mutualismo e altri simili sono tutti pezzi dello stesso racconto.

Questa costruzione narrativa agisce esercitando una grande forza distorsiva sul senso delle parole. Non è chiaro, ad esempio, come sia associabile il termine “condivisione” al commercio di beni e servizi.

L’affitto di stanze per turisti, il noleggio di auto con conducente, l’intermediazione di manodopera,  sono tutte attività tradizionali che vengono completamente ri-narrate raccontando di buoni vicini di casa che si scambiano tra loro servizi essenziali e condividono beni riducendo gli spazi occupabili dall’economia di consumo.

Nella realtà, però, dietro questo racconto dalla grande forza emozionale si nascondono delle vere e proprie multinazionali dello sfruttamento, nate con investimenti di milioni di dollari di venture capital, che, collocandosi nella dimensione immateriale di internet e rappresentandosi come intermediari neutri rispetto alla transazione, operano fuori da qualsiasi cornice normativa, intervenendo su mercati già esistenti offrendo beni e servizi a costi più bassi sfruttando enormi masse di disperati senza lavoro e di lavoratori poveri che si offrono come esercito di riserva per il settore terziario.

In mano a soggetti culturalmente vicini a quelli che promuovono la nuova economia “di condivisione” mediata dalla rete è anche il tema della partecipazione diffusa, la “nuova” partecipazione politica mediata dalla rete. I temi dello “sharing”, della “collaborazione”, della partecipazione disintermediata dalla rete, infatti, attraversano politica ed economia senza alcuna distinzione concettuale incrociandosi e contaminandosi tra di loro.

Anche in questo caso rompendo il velo dell'enfasi retorica, che affascina soggetti sensibili ai valori proposti, non è affatto difficile individuare pesanti contraddizioni. Mentre vengono offerti ai cittadini spazi (fortemente controllati) per agire direttamente nelle decisioni locali, contemporaneamente viene messo in discussione il ruolo dei corpi intermedi e azzerata la democrazia interna ai partiti. D'altra parte, l’enfasi con cui i decisori pubblici promuovono le iniziative di codecisione e partecipazione scompare quando sono i cittadini stessi a reclamare, in vera autonomia, spazi per incidere sulle scelte amministrative dei propri comuni.

In questo senso l’esempio di Bologna è emblematico: il Comune che promuove iniziative di partecipazione (e cofinanziamento) per la tutela dei beni pubblici, è il medesimo che osteggiò il referendum per l'interruzione del finanziamento delle scuole private e ne ignorò i risultati.

La cosa che accomuna tutti questi argomenti è la potente costruzione retorica con cui vengono descritti. La narrazione che viene costruita intorno a questi temi ha la caratteristica di essere fortemente connotata valorialmente, con riferimenti che insistono sullo spazio ideologico tradizionalmente associato alla sinistra.

Condivisione, mutualismo, collaborazione e altri simili sono termini che suggeriscono immediatamente una valutazione etica oggettivamente positiva e forniscono un ingombrante apparato simbolico che, con un linguaggio simile a quello delle idee senza parole descritto da Furio Jesi, affascina chi si avvicina a questi temi facendo leva sull’aspetto emotivo e distrae da una valutazione più obiettiva, ad esempio, delle reali dimensioni dell’economia generata, delle motivazioni che spingono a partecipare a questi circuiti commerciali e professionali, della qualità del lavoro, delle distorsioni che queste attività generano ai mercati tradizionalmente organizzati con cui vanno a competere, del reale impatto sociale e, infine, della loro reale dimensione etica e della loro collocazione ideologica: dietro al tentativo di rappresentare una nuova economia di dimensione più umana non raramente si nascondono fenomeni di sfruttamento o autosfruttamento degni del  peggior capitalismo; dietro alle nuove forme di partecipazione mediate dalla rete non raramente si nasconde un’idea di società di estrema destra, verticale, classista, antidemocratica.

Nonostante utilità ed eticità di queste pratiche siano ancora temi come minimo discutibili, alcuni di questi termini sono diventati parole chiave su cui Unione europea afferma di fondare parte delle proprie future strategie di rilancio dell’economia, mentre in Italia alcuni di questi concetti cominciano a venir tradotti in progetti e politiche dalle pubbliche amministrazioni, che attivano queste iniziative in via complementare o addirittura sostituiva delle azioni che un soggetto pubblico dovrebbe esercitare in forma esclusiva, ad esempio nell’ambito del welfare, della tutela delle fasce deboli della società, della custodia dei beni culturali e ambientali.

Pur trattandosi di termini e pratiche legate a fenomeni ancora “di nicchia”, sono numerosi i profili di interesse e le motivazioni per cui vale la pena di aprire una riflessione su questi temi, riflessione che riteniamo possa attraversare diversi ambiti: l’economia e le moderne incarnazioni del capitalismo, le trasformazioni del lavoro, la crisi dei corpi intermedi e le modalità di  partecipazione dei cittadini alla politica, le pratiche di costruzione del consenso.

Ultima modifica il Lunedì, 23 Febbraio 2015 18:59
Beccai

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