Ombre della sinistra europea in Italia
Mentre si avvicina il voto del 4 marzo, Daniela Preziosi, su il manifesto ha scritto un articolo da titolo «Le figurine della sinistra europea nella sfida italiana». Le elezioni nazionali non hanno chiaramente al centro la dimensione continentale, ma più che in passato c'è un certo imbarazzo - trasversale - a rapportarsi con i vicini dell'Unione (Europea!).
Le sinistre italiane si confermano contenitore di grande confusione. La visita di Grasso a Corbyn, l'iniziativa di Fratoianni con una esponente della Linke, le relazioni di Potere al Popolo con il GUE appaiono come timidi echi di pratiche del recente passato.
Proviamo a concentrare le nostre dieci mani a partire da due notizie di attualità.
A fine gennaio Mélenchon ha chiesto l'esclusione di Syriza dal Partito della sinistra europea, con una dura replica di Tsipars ("noi non siamo una sinistra sola a parole"). L'allarme frattura pare essere rientrato ma certo la tensione rimane e appaiono lontani i tempi dell'asse greco-francese in chiave solidaristica.
Il PSE non se la passa meglio. Schulz pareva dover rafforzare il vento di Sanders e Corbyn, con una campagna di rilancio della SPD (eletto come candidato con il 100% dei voti del partito) incentrata sul rifiuto delle grandi coalizioni. Ha dovuto fare passi indietro su numerose questioni di principio e infine ritirarsi anche dal ruolo concordato con la CDU di Ministro degli Esteri. Le sue dimissioni dalla presidenza del partito ricordano più la disfatta di Hollande che il successo narrativo del Labour.
Di tramonto delle sinistre europee abbiamo sempre scritto sul Becco, queste Dieci Mani provano ad aggiornare la riflessione.
Il nesso tra la concezione occidentale del mutamento sociale radicale (quello che ora chiameremmo “rivoluzione”) e l’escatologia cristiana non è un mistero per nessuno: storicamente le troviamo fuse in più di un’occasione.
Dall’istante in cui si realizza il fatto della venuta del Regno nulla nel mondo è più ciò che era, tutto è santificato o condannato per sempre. Similmente, si pensa che, conquistato “il potere”, che purtroppo è perlopiù concepito come il controllo dell’apparato statale, una realtà umana come un leader o un partito possa fare tabula rasa del vecchio stato di cose e instaurarne uno nuovo radicalmente diverso. Se ciò non accade è per il tradimento (vecchio refrain stalinista) o per la pusillanimità di chi di dovere, oppure per la malvagità del vecchio mondo che non accetta di perire.
È facile comprendere come una simile concezione abnorme dell’essere umano non possa non essere frustrata dalla realtà. È infatti un’ovvietà assoluta che la storia vada avanti per processi, e non per salti repentini, così come dovrebbe essere un’ovvietà che qualunque mutamento sociale ed istituzionale, proprio in quanto è oggetto della storia umana, tenda ad essere marcatamente path-dependent: fatti e decisioni del passato vincolano il presente, riducendo il campo del fattibile.
Ciò non significa che il mutamento, anche radicale, di istituzioni, modelli economici e costrutti socioculturali sia da escludere; significa però che avviare un processo storico di lunghissimo periodo è cruciale, che nel breve e medio periodo è d’uopo darsi obiettivi realistici e non investire gli strumenti del potere di una mistica che non gli appartiene.
Lo stato sociale non è un’invenzione del Messia Roosevelt o del Messia Attlee, è un punto in un processo storico iniziato quasi un secolo prima in Prussia, a sua volta parte del più ampio processo storico del capitalismo; così come la controrivoluzione thatcherian-reaganiana di fine anni ‘70-inizio anni ‘80 che ha profondamente modificato quel sistema ha radici nell’Europa dilaniata dalla Seconda guerra mondiale, per esempio. Nell’immediato dopoguerra, nei dipartimenti di economia delle università più prestigiose del Vecchio e del Nuovo mondo gli studiosi istituzionalisti o keynesiani erano l’assoluta maggioranza; oggi ciò che non si basa su una matematizzazione estrema ed esasperata e/o sulla fede nel pallido mainstream propinato dai 2-3 manuali di macroeconomia “ufficiali” o nelle teorie neomonetariste rischia di passare per pseudoscienza: l’importanza assoluta di conquistare e tenere casematte.
Ultimo a fare le spese della confusione tra storia ed escatologia il premier greco Tsipras. Su SYRIZA la sinistra europea ha investito un enorme carico emotivo, ma purtroppo poche energie intellettuali. L’errore di Tsipras (che comunque nei sondaggi viaggia intorno al 20% stabile, perdendo non contro forze antiausterity ma contro la destra di ND) non sta in qualche fantomatico “tradimento”, vale a dire nell’aver voluto governare una situazione reale, già gravemente compromessa e condizionata da decenni di scelte sbagliate che non si possono realisticamente cancellare con un colpo di spugna, ma nell’aver pensato che bastasse vincere, che il potere potesse destrutturare e ristrutturare a piacimento la realtà, che il vecchio contesto si sarebbe arreso di fronte al nuovo che viene.
Un errore replicato da tutti coloro che, in giro per l’Europa, continuano a sostenerlo o al contrario lo denigrano, come Mélenchon. “Fare qualcosa” e “cambiamo tutto” continuano ad alimentare investimenti emotivi ed entusiasmi, mentre si trascura completamente la preparazione necessaria per quando il momento di fare qualcosa arriverà davvero e si vive di belle idee astratte e belle intenzioni. Al contrario di molti, ho sempre preso molto seriamente (e in parte condivido) l’idea che al governo non ci si debba andare, che sia meglio costruire contropotere che prendere il potere.
Se si decide altrimenti, però, al potere è utile arrivarci solo alla fine di un processo consapevole.
Il tradimento verso il popolo greco del governo Syriza-Anel deve aver screditato ciò che resta della sinistra europea se lo stesso Melenchon è arrivato al punto di chiedere l'espulsione di Syriza dal Partito della Sinistra Europea.
La risposta di Syriza sembra un bieco tentativo di arrampicarsi sugli specchi accusando di antidemocraticità e di irresponsabilità chi si è quantomeno indignato per la macelleria sociale del governo Tsipras.
L'unica sensata accusa che si sarebbe potuta muovere a chi ora punta l'indice contro Syriza è cosa avrebbero fatto al loro posto, dovendo mantenere l'appartenenza all'Unione Europa.
Con quale linearità e coerenza si sarebbe potuto mantenere l'ideale di un'altra Europa in un contesto dove è risultato evidente che di Europa ne esiste una sola e non è certamente disposta a farsi riformare da qualsiasi movimento di sinistra alternativa continentale?
Insomma, Melenchon pensa di avere un Piano B e va in giro con Varoufakis a spiegarcelo da quel maledetto 5 luglio 2015. L'unico pulpito da cui proviene la predica è basato su quello striminzito Piano B che pensa di donarci un'altra Europa dal volto umano.
L'unica base di una politica economica neokeynesiana per formare un'altra UE è basata su politiche di redistribuzione della ricchezza con creazione di opportunità di lavoro dignitoso e transizione ecologica in opposizione al modello neoliberista su cui è storicamente fondata l'UE.
La sola partecipazione democratica dovrebbe magicamente donarci questa nuova prospettiva idilliaca, anche se abbiamo già visto il totale fallimento di questo percorso.
Le perplessità non mancano neanche verso Melenchon e la sua voglia di rilanciare la Sinistra Europea all'interno delle istituzioni ordoliberali.
La nascita del GUE e del Partito della Sinistra Europea sono una diretta responsabilità della cultura politica italiana. Abbiamo già avuto modo di sottolinearlo sul Becco già qualche anno fa ormai, ma alcuni nodi di fondo dei problemi europei rimangono non affrontati. Certo le analisi devono essere aggiornate ma l'atteggiamento generale pare essere ossessivamente "cerchiamo qualcosa che funzioni per aggrapparci da una zattera all'altra".
Sabina Guzzanti non è una politica, ma il suo documentario Viva Zapatero!, collegato al recente sostengo per Potere al Popolo (con una convergenza dell'ex socialista Mélenchon) potrebbe interrogarci su quali sono i percorsi di maturazione delle varie narrazioni, spesso estemporanee e prive di processi stratificati, che dovrebbero portare a robuste sedimentazioni organizzative.
Il livello delle sinistre sul piano continentale è un disastro. È stato Renzi a portare il Partito Democratico nel PSE, mentre questa famiglia continua a registrare numerosi insuccessi, con l'informazione schierata a sostenere il fenomeno Corbyn, il cui profilo non entusiasma i dirigenti dei vari partiti europei.
L'isolamento della Grecia ben si conferma con l'attenzione di Tsipras a ciò che avviene in Germania (con tanto di invito a creare un nuovo governo di grande coalizione, scavalcando la linea ufficiale di Schulz da destra).
La replica di Syriza ("noi non siamo di sinistra solo a parole") non è che una ferita già aperta in Italia, se uno ripensa al dibattito interno a Rifondazione per il sostegno all'Unione (intesa come coalizione del "secondo Prodi").
Quale è la cultura di governo della sinistra socialista? E quale quella della sinistra di alternativa?
C'è qualcosa di male ad ammettere di non avere ancora elaborato una complessiva capacità di governare ma voler rappresentare la difesa degli interessi di chi subisce questo sistema? Il potere e il governo sono categorie collegate ma distinte, far finta che esista un obbligo storico perché continuino a esistere "destre" e "sinistre" non farà che rafforzare i sostenitori del superamento di queste categorie.
Per chi è convinto della necessità di una sinistra di classe si tratta di non rassegnarsi ai tempi brevi, alla tattica e allo scoraggiamento, pur insistendo nella ricerca di equilibrio per agire nel presente.
La scorsa settimana è stato diffuso il primo sondaggio che evidenzia in Germania un sorpasso di AfD sulla SPD (16% contro 15,5%). Molti sono stati così impegnati ad allarmarsi da non prendersi la briga di ricercare quel sondaggio e consultarlo nella sua interezza. Se lo avessero fatto, avrebbero scoperto che la somma di SPD, Linke (11%) e Grünen (13%) porta la sinistra complessivamente al 39,5: un vantaggio di fatto abissale su AfD e quasi appaiato alla coppia CDU-CSU (32) e FDP (9). Inoltre, la somma di queste somme porta a un oltre 80% per le forze politiche democratiche.
La crisi della SPD è vecchia di molti anni, ma non è stato possibile sinora affrontarla per la doppia sordità delle sue due anime. La dirigenza e i giovani movimentisti, infatti, condividono la medesima radicalità anticomunista che impedisce l’unità delle sinistre e, sebbene si dichiarino antifascisti, continuano ancora ad accettare, a ventisette anni dall’unificazione, l’assenza di una Costituzione tedesca e la permanenza della provvisoria “Legge fondamentale” creata nel 1949 per la zona occidentale sotto tutela anglo-franco-americana. La disconnessione con la realtà rasenta a tratti l’inverosimile: nei sondaggi Schulz aveva inizialmente agguantato la parità con la CDU, ma che il suo faccione rassicurante non bastasse era diventato noto fin dalle prime occasioni di voto reale (e non demoscopico) per i parlamenti regionali a maggio 2017. Nonostante questo, la SPD ha continuato su una linea politica schizofrenica, che rifiutava la Grosse Koalition e neppure considerava una politica unitaria a sinistra.
Questa linea suicida è la medesima battuta anche in Francia da Mélenchon e in Italia da alcune sparute forze di sinistra. Il primo, invece di accettare la sfida di Macron sulla «societé du travail», si è limitato a contestarlo sulla memoria storica negando le responsabilità della Francia nei rastrellamenti e deportazioni degli ebrei. In Italia i paradossi sono esemplificati da Fratoianni che invoca il fronte democratico per battere il fascismo (quindi per questo se ne sta fuori dal centrosinistra e inveisce contro il fronte democratico Pd-Forza Italia) e da Rizzo che invece di lottare per un governo comunista europeo vuol far precipitare l’Italia nel baratro dell’isolamento (per la serie: amo così tanto Serbia e Transnistria che voglio essere come loro).
Nessuno, in tutto questo, si è fermato a riflettere sulla svolta politica post-elettorale di Corbyn, che ha riconosciuto la necessità per i partiti socialisti di essere al centro della società (leggasi: Partito della Nazione). Grasso era troppo occupato a tradurre dall’inglese lo slogan elettorale “For the many, not the few” per documentarsi su cosa è successo dopo.
La sinistra, almeno in Occidente, sta facendo di tutto per rendere il celebre ammonimento reazionario di Margaret Thatcher, "There is no Alternative" (non c'è alternativa al neoliberismo), una vera e propria profezia.
In crisi di egemonia e di legittimità, la sinistra europea lavora duramente per ottenere un minimo di visibilità, di credibilità e di consenso in un campo dominato dal realismo capitalista. Le poche energie vengono necessariamente mobilitate nel breve periodo: si guarda alle prossime elezioni, ci si organizza come si può per provare a fermare la prossima legge che precarizza (ulteriormente) il mercato del lavoro, e così via. La debolezza cronica della sinistra ha così necessariamente spinto in secondo piano il fondamentale problema del "che fare?" una volta vinte le elezioni e preso il potere politico.
Il neoliberismo è un modo di governare l'economia e la società che ha una sua logica intrinseca.
Esistono ovviamente delle varianti nazionali e geopolitiche nella sua governance ma queste condividono tutte una serie di ricette e di modi di organizzare la realtà specifici.
Nell'apparante caos dell'ordine globalizzato e post-westfaliano attuale, il neoliberismo segue una sua cinica ma coerente logica.
Forse ha torto Foucault quando afferma che al socialismo è sempre mancata una sua specifica governamentalità ma è evidente che in questa fase storica, manca un modo coerente e complessivo di pensare l'alternativa politica. Come vogliamo che sia l'economia? Come deve essere la società? Come vogliamo che sia l'individuo all'interno di questa società?
Il neoliberismo sa benissimo ciò che vuole mentre mi pare che manchi una visione d'insieme a sinistra sulla società del futuro da costruire (non si è nemmeno d'accordo su come deve essere pensata la coppia sovranità/globalizzazione).
In questa fase storica l'ammonimento di Foucault va dunque preso sul serio: manca un progetto politico reale e ci si appoggia su governamentalità già esistenti: forze come Podemos, Linke, La France Insoumise sembra che facciano molta fatica a proporre qualcosa di più che non sia la solita ricetta socialdemocratica e keynesiana.
Ma che succede quando queste ricette sono sostanzialmente inapplicabili? Vincoli di bilancio, creditori internazionali, trattati di libero scambio, accordi europei non rendono quasi mai possibile mettere in atto reali misure redistributive (se stai all'interno delle regole del gioco la coperta è sempre cortissima).
Quello che è accaduto a Syriza in Grecia è paradigmatico. Una volta vinte le elezioni, tutte le promesse elettorali fatte si sono dimostrate immediatamente irrealizzabili. Restavano due strade: una rottura drastica resa proibitiva proprio dalla mancanza di un progetto politico e di una logica di organizzazione dell'economia e della società nuovi e diversi oppure una gestione politica nella cornice delle logiche neoliberiste, non difformemente da quanto fatto da tutte le altre forze politiche.
Syriza, in mancanza di una realistica alternativa, ha optato fin da subito per la seconda ipotesi e sarebbe ingenuo pensare che se vincesse l'estrema sinistra in Francia, Spagna o Italia sarebbe diverso. Conta poco il potere istituzionale se poi non si ha un' arte di governo in grado di trasformare la realtà.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.wikipedia.org
Di tempo e potere, una conversazione con Valerio Evangelisti
L'autore dell'intervista si assume la responsabilità per eventuali errori od imprecisioni nella trascrizione della conversazione.
(DP) Il ritorno al ciclo di Eymerich, dalla trilogia del Sole dell’Avvenire, ha un valore molto particolare per chi ti segue, ma offre l’occasione per tornare a chiederti del tuo rapporto con la storia. Lasciato alle spalle il Novecento hai riabbracciato il Medioevo e la dimensione distopica, scegliendo di andare molto in avanti con la dimensione del futuro, ma sempre rifiutando il fantasy. Grande attenzione per la ricostruzione del passato ed elementi fantascientifici ritornano insieme all’inquisitore...
(VE) Per quanto riguarda il perchè ho ripreso il personaggio di Eymerich posso dire che ero arrivato ad una specie di punto morto. Non sapevo come andare oltre il Sole dell’Avvenire, in qualche modo. Poi c’è da dire che la nuova formazione del mio editore, che ha cambiato personale e quadri molte volte, non aveva amato affatto il Sole dell’Avvenire, non lo aveva promosso, sembrava un peso morto.
(DP) Comunque è andato bene!
(VE) Sì, sì, anche se si può notare il fatto che stanno ritardando la pubblicazione degli Oscar del terzo volume, che invece è richiestissimo, soprattutto nelle regioni di cui tratta il libro...
Quindi c’era questa svogliatezza da parte dell’editore e, da un’altra parte, c’era il mio desiderio di recuperare una parte del pubblico precedente che era rimasto perplesso rispetto all’operazione del Sole dell’Avvenire. Sentivo, al di là delle pressioni che ricevevo, l’impulso a tornare al mio personaggio più tradizionale, quasi come un ricominciare da capo. Ci sono stati poi altri motivi secondari, oltre a quelli monetari (ero sicuro che Eymerich avrebbe venduto più di ogni altra cosa).
Per quanto riguarda la concezione del tempo ed i vari piani che si intrecciano: è la continuazione di un discorso già avviato con i precedenti romanzi, che potrebbe riassumersi nel tema che tutto si tiene, tradotto dal francese tout se tient. Ogni cosa ha un precedente e delle conseguenze. A volte c’è come un girare su se stesso del tempo, per cui i riflessi di cose che sono state, o che verranno, li possiamo constatare nella nostra quotidianità.
La concezione della storia che metto in scena, malgrado questa circolarità, quasi mistica, in realtà è abbastanza strettamente materialistica. Nulla di quanto avviene è dovuto a circostanze esterne, ad un intervento divino od altre cose di questo tipo, bensì è frutto di rapporti materiali nelle diverse società. Io resto legatissimo al marxismo come concezione di interpretazione della storia e se uno legge bene si accorgerà che anche nei momenti più legati al passato c’è sempre un discorso di analisi delle classi, in qualche misura. Nell’ultimo romanzo c’è una classe di emarginati totali, ci sono lotte tra feudatari, la Chiesa e così via.
Dunque credo di essere rimasto coerente a quello che era il progetto originale. Adesso vedremo gli sviluppi, perchè poi io non li conosco. Li costruisco di volta in volta, ma a partire sempre da come vedo la storia e le cose.
(DP) Non so se sei d’accordo, ma mentre rispondevi mi veniva in mente come con il cristianesimo si superi in qualche modo l’idea di circolarità del tempo, mentre tu scegli di recuperarla senza il suo elemento mitologico del mondo antico. Mi verrebbe da dire che la tua visione del tempo recupera dal cristianesimo il portare la storia nel mondo terreno, mentre lo emancipa dalla religione attraverso il tutto si tiene, senza un Dio sovrastante, con noi come unici protagonisti.
(VE) Sì, va detto che la concezione del tempo, propria della Chiesa, era di derivazione aristotelica, sostanzialmente. Il pensiero aristotelico ha immobilizzato praticamente il pensiero ecclesiastico per tantissimo tempo, con qualche eccezione. Ad esempio io cito spesso Origene, che era un pensatore piuttosto anomalo fra i padri della Chiesa.
In ogni caso non è che io creda in una circolarità del tempo. Credo in una circolarità dei meccanismi di causa-effetto. Andrebbe visto non come un cerchio ma come una spirale, perché ogni volta si spinge un po più in là. Un fattore che in fisica è detto tau. Questo è molto importante per capire sia il libro che ho appena scritto, sia quello che scriverò.
Non è tutto così calcolato. Volendo evitare il genere fantasy e volendo invece rimanere ancorato alla fantascienza, pur mettendoci dentro tantissime cose, era inevitabile che mi interessassi alle evoluzioni del pensiero scientifico, anche se ritengo che siano tutte, per ora, approssimative e prive di prove sperimentali. La concezione del tempo nella scienza è cambiata molto più in fretta di quanto non sia cambiata nella Chiesa: il tempo diventa una dimensione, non è più esattamente lineare, sono teoricamente possibili anche balzi all’indietro, … Ma soprattutto è la questione causa-effetto, che diventa nel mio caso poco aristotelica.
(DP) Non hai mai la tentazione di proporre richiami più espliciti e strumentali nei tuoi romanzi rispetto a situazioni contemporanee, a costo di ignorare l’effettivo svolgersi della storia? In Eymerich risorge il riferimento al Movimento No Tav è evidente, ma dopo il Sole dell’Avvenire avresti potuto volere un richiamo più macroscopico.
(VE) Non potevo farlo più esplicito, a meno di non falsare il corso degli eventi. In generale poi dirò una cosa: c’è una grande esaltazione da parte di alcuni di queste forme di eresia. La realtà è che l’eresia non avrebbe costruito praticamente nulla. Se fossero stati i valdesi a governare il cristianesimo, il tentativo di ricostituire l’impero romano in altre forme non sarebbe mai passato.
Alcuni teorici, piccoli teorici, della Val di Susa, vanno a recuperare queste esperienze antiche, pensando che siano i prodromi di quello che fanno loro. Il problema attuale, legato molto all’evoluzione tecnologica, non deve essere affrontato con lo spirito di ritorno a mitiche origini, che non ci sono mai state, ma con tutt’altro spirito. Io perchè ho inserito la Val di Susa? Per dimostrare in qualche modo simpatia verso quello che fanno, ma non è che io aderisca a tutto quello che ci costruiscono attorno. Soprattutto io sono lontano da forme di anarchismo, con tutta la simpatia possibile. Sono come le eresie, danno soddisfazione a chi le professa, ma della società non cambiano una virgola.
(DP) Fra Dolcino reso grande da Dario Fo...
(VE) Fra Dolcino è grande per come è morto, grazie ai suoi nemici. I nemici erano senz’altro peggio di lui, però che proponesse di qualcosa di fattibile… Anche DeriveApprodi mise fuori una rivista dolciniana, che era simpatica, ma non se ne traeva molto di particolarmente significativo.
(DP) Rispetto alla categoria del potere ti faccio l’ultima domanda. Nel Medioevo la sua rappresentazione era più evidente, mentre oggi si è fatto tutto meno chiaro. Dopo i disastri del Novecento è passata l’idea, a sinistra, che sia bene rifiutare il potere, senza intenderlo come possibilità di incidere e mutare il presente. C’è una sorta di resa, per cui si contesta ma non si costruisce per timore di sporcarsi le mani?
(VE) In realtà ci si sporca le mani anche peggio. È un discorso complesso. Le forme di potere, oggi, non è che siano radicalmente difformi dal passato. Cambia l’assetto, perché il potere si distribuisce, diventa meno visibile e si sparge questa idea di democrazia, completamente diversa da quello che era il concetto originale di democrazia. Noi oggi vediamo quasi dappertutto delle oligarchie al potere. L’inganno pericoloso di questa cosa è che una parte del movimento antagonista ha assunto, senza accorgersene, degli aspetti di liberalismo, di pensiero liberale.
In realtà senza un discorso preciso politico, tutto finisce semplicemente in cambiamenti di costume, che sono importanti ma non automaticamente portano a cambiamenti politici (anche se magari ci riescono nel tempo). Secondo me, anche se ha tanti aspetti sgradevoli, la politica resta necessaria. Io posso rifiutare totalmente le istituzioni, mettermici contro, ma se faccio così cambierò magari me stesso, ma ben difficilmente cambierò il contesto sociale.
Non bisogna finire per accantonare il problema di chi comanda sul lavoro e chi invece deve lavorare, cioè il problema di classe, magari mettendo avanti istanze peraltro giustissime (il femminismo, la parità sessuale in tutte le sue forme od altri aspetti certamente fondamentali). Se non parti da un problema di classe non vai da nessuna parte o rischi addirittura di finire dall’altra parte. Ad esempio, i cosiddetti rossobruni sembrano dire cose simili alla sinistra, ma non citano mai l’elemento delle classi subalterne.
E nessuno mi venga a dire che tutto il lavoro è cognitivo, significa non vedere la realtà. Certe mansioni una volta tipiche dei ceti medi si sono proletarizzare, come gli stessi ceti medi. Ma questi non vuol dire che il meccanismo di fondo sia diverso da quello che il marxismo aveva identificato. Tu lo potrai raffinare il discorso marxista, adeguare, et cetera, ma non sostituirlo con una visione puramente liberale o libertaria.
(DP) Rispetto a quello che dicevi sulla politica e le istituzioni, mi viene in mente la scelta di Socrate, nel rifiutare di fuggire dalla città pur essendo condannato a morte. Rigettare il modo in cui è organizzata la società vuol dire mettersi fuori dalla città (intesa come comunità politica), mentre per cambiarla occorre agire al suo interno...
(VE) Concordo totalmente con Socrate, ma anche con il buon senso.
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Viviamo all’interno di un gigantesco vuoto di potere in Occidente ed è sempre più difficile girarci attorno, anzi direi che è divenuto ormai impossibile. In Europa si è passati per il declino del socialismo reale e delle socialdemocrazie, mentre negli Stati Uniti si assiste chiaramente all’estremizzazione dello spettro politico.
LE FACOLTÀ DEL POTERE
Call For Papers
1 dicembre 2016
Proponente: Associazione Il Becco con il sostegno dei fondi del DSU Toscana destinati alle attività studentesche
Scadenza candidature: Domenica 20 Novembre 2016
Informazioni/contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.; Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Keywords: potere, soft power, hard power, società, politica
Dal numero cartaceo di aprile Comunicazione e(') potere
Il problema della comunicazione appartiene al novero delle questioni non affrontate o poste in modo errato nel dibattito diffuso della sinistra italiana, di cui fanno parte anche le comuniste e i comunisti. Non è evidente o immediato, ma la costruzione del consenso è un tema che non appartiene in modo caratterizzante alla contemporaneità: l’evoluzione dei mezzi di comunicazione non può sostituire la consapevolezza del passato.
Retorica, teatro, stampa, radio, cinema, televisione, internet: sono solo alcuni dei passaggi più noti del flusso di tecnologie ed invenzioni che hanno segnato la storia. Il linguaggio e l’espressione sono imprescindibile parte dell’essere umano: se un’idea non può essere comunicata, semplicemente non è.
Stimolata dalle domande di Palagi, Sara Nocentini, già assessora alla Cultura per la Regione Toscana, prende la parola. Le questioni sollevate dal Segretario PRC di Firenze riguardano il rapporto tra potere e governo, e tra governo e comunicazione, se questa ad esempio possa aver svuotato l’idea di governo inteso come progetto e se è possibile agire all’interno di questo stesso sistema per dar vita a dei “corto-circuiti” per provare a risolvere le contraddizioni interne ad esso, o se l’unica soluzione che resta sia quella di operare al di fuori, creando un “contro-potere”.
Il Becco è una testata registrata come quotidiano online, iscritto al Registro della Stampa presso il Tribunale di Firenze in data 21/05/2013 (numero di registro 5921).