Venerdì, 29 Luglio 2016 00:00

Potere: condividere un significato

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Dal numero cartaceo di aprile Comunicazione e(') potere

Il problema della comunicazione appartiene al novero delle questioni non affrontate o poste in modo errato nel dibattito diffuso della sinistra italiana, di cui fanno parte anche le comuniste e i comunisti. Non è evidente o immediato, ma la costruzione del consenso è un tema che non appartiene in modo caratterizzante alla contemporaneità: l’evoluzione dei mezzi di comunicazione non può sostituire la consapevolezza del passato.

Retorica, teatro, stampa, radio, cinema, televisione, internet: sono solo alcuni dei passaggi più noti del flusso di tecnologie ed invenzioni che hanno segnato la storia. Il linguaggio e l’espressione sono imprescindibile parte dell’essere umano: se un’idea non può essere comunicata, semplicemente non è.

La stessa questione del potere attiene ad un problema di condivisione del significato. Chi ha attraversato l’esperienza del “movimento dei movimenti”, l’importante realtà nata in risposta ai processi di globalizzazione, sul finire del XX secolo, ricorda la suggestione di alcune impostazioni che rifiutavano il potere in quanto tale. La definizione del lèmma suscita facilmente repulsione: costringere qualcuno a fare qualcosa che altrimenti non farebbe non è gesto pacifico. Siamo abituati a pensarci emancipati, abbracciati ad una coperta su cui è cucita l’espressione: la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri. Parlando di potere si è portati a pensare ad una forma di repressione, il cui volto è spesso anonimo: una divisa, un casco, un manganello.

Nell’immaginario di inizio nuovo millennio si sono diffuse distopie narrative di grande successo, anche nelle sale cinematografiche. Per almeno una generazione Matrix ha rappresentato un riferimento imprescindibile, sfruttato anche da alcuni docenti di filosofia per la spiegazione del genio maligno di Cartesio o del mito della caverna di Platone. La maschera di V per Vendetta è oggi un simbolo che compete con il volto di Che Guevara.

Nel confronto che viene proposto si danno per scontate alcune posizioni: la validità delle classi sociali e dei rapporti economici all’interno della società per leggere la realtà, la necessità di utilizzare le categorie politiche della destra e della sinistra. Si tratta di due presupposti minoritari rispetto alla percezione diffusa del dibattito politico, anche tra l’elettorato attivo. La sinistra oggi viene associata a sentimenti di nostalgia, rivalutando persino le esperienze dei due governi Prodi (di cui il 2016 rappresenta rispettivamente il ventennale e il decennale). Le comuniste e i comunisti hanno invece attraversato anni di progressivo oblio sul piano della comunicazione pubblica.

Il titolo del dibattito “La sinistra mette tristezza?” ha suscitato prevedibili (e ricercate) reazioni negative tra alcuni compagni. Come se l’immagine di Tafazzi non venisse spesso associata alla nostra parte politica. L’uomo in calzamaglia messo in scena da Aldo, Giovanni e Giacomo saltella sul palco (o nello schermo) colpendosi ripetutamente l’inguine, in modo volontario e traendone apparente piacere. La lettura autolesionista è però consolatoria, nonostante la tristezza che provoca. La ritroviamo anche nel film Il caimano, di Nanni Moretti. Nonostante venga riferita a tutta l’Italia: “ogni volta noi pensiamo che voi italiani finalmente avete toccato il fondo e invece no, state lì che scavate, scavate, scavate, e andate ancora più giù”, dice uno straniero al personaggio interpretato da Andrea Orlando.

Matteo Renzi è secondo alcuni il miglior erede di Berlusconi, sul piano della comunicazione politica. Questa considerazione è trasversale ai suoi denigratori e ai suoi sostenitori. La passione per l’aspetto esteriore della politica viene da lontano e da anni la sinistra italiana (intesa come corpo elettorale diffuso) guarda con sospetto alla televisione, ritenendola responsabile dei primi successi di Forza Italia, con tutto ciò che ne è conseguito.

Nel voler affrontare il tema della comunicazione, ci è venuto in mente Stefano Benni, uno degli autori contemporanei più capaci di suggestionare la fantasia attraverso i suoi racconti. Così è emersa dalla rete un’intervista a Curzio Maltese, su la Repubblica, del 13 gennaio 1996.

"Sì, questa sinistra mi mette tristezza e non me ne frega più niente di dirlo. A costo di far rivoltare nella tomba mio nonno stalinista. Non capisco questa corsa al Grande Centro che poi è un centrino da tavola, con due o tre ideuzze perbene apparecchiate. Non capisco questo mimetizzarsi da camaleonti dentro una politica che non s'interessa più della polis, della comunità, ma solo della lotta per il danaro e per il potere. Tanto che bisognerebbe cambiarle nome, invece di Politica che so, Lucratica, Imperiotica. Sono stufo di sentirli parlare soltanto di Borsa e cambi. Di vederli copiare l'avversario, alla rincorsa dell'immagine. Berlusconi veste i suoi da ginnasti dell'Ottocento e li porta alle Bermuda? D'Alema convoca i Vip in convento. Dov'è la differenza?". Già, dove sta la differenza fra destra e sinistra? "Nella fatica di pensare, credevo almeno. Stare a sinistra ti costringe a farti venire qualche idea, ad avere immaginazione. La destra se l' è sempre cavata con quattro fesserie, Legge e Ordine, Dio patria e famiglia, un milione di posti di lavoro...". E la sinistra non vuole più faticare? "Né pensare. Diciamo che il Cavaliere ha perso, ma alcune sue idee, e non delle migliori, hanno penetrato profondamente le file nemiche". [...] A proposito, a Tristalia si salvano soltanto i bambini, anzi salvano tutti gli altri. Nemmeno i giovani. "I giovani, ora, mi sembrano molto passivi. Anche quelli di sinistra, che poi sono più che altro consumatori di una gamma di prodotti di sinistra".

La questione è forse mal posta in questo modo. Le frasi di Benni rientrano in una lettura diversa dall’idea dell’Ulivo trasmessa, invece, dalla satira dell’Ottavo Nano. Dall’intervista di Repubblica non passa l’idea di un’armata brancaleone, con Francesco Rutelli vittima sacrificale, Romano Prodi in versione semaforo umano e Fausto Bertinotti intento a dividere la sinistra in microrganismi. Si va formando quella prospettiva tra l’alto ed il basso così diffusa oggi. Una classe di corrotti che aspira al potere e chi il potere non lo ha. Da qui nasce un intreccio di sentimenti controversi, dall’invidia alla rabbia, passando per frustrazione e senso di impotenza.

In Francia il dibattito sulla comunicazione ha seguito un percorso interessante, o almeno così ci è parso sulla base di alcuni autori che abbiamo incrociato. Di Christian Salmon è possibile reperire in italiano almeno due titoli editi da Fazi Editore: La politica nell’era dello Storytelling e Storytelling. Nel primo di questi due libri un capitolo si apre con la descrizione della scena di apertura del film Il Ministro - L’esercizio dello Stato.

“Non va cercata in questo sogno un’allegoria del potere, della sua voracità, del suo erotismo, il film non propone un enigma da decifrare così come non offre un’intepretazione di quello che avviene di oscuro e di fatale ai vertici dello Stato. La giovane donna che fa irruzione negli uffii del ministero è una creatura del desiderio, non incarna nulla, né lo Stato né l’uomo politico. Ossessione le notti del Potere. Non l’Ambizione famelica tante volte evocata al cinema, ma il desiderio, ul suo cpro nudo e il suo divoramento. «Dimentichiamo per un’ora e cinquanta le questioni di destra o di sinistra», scrive Pierre Schoeller, il regista del film. «Guardiamo il potere, i suoi rituali e i suoi umori, il sudore, il sangue, la libido». È quello che ci invita a fare il film e questo esergo ne è come il proptocollo, cioè un’esperienza o, se si vuole prendere il titolo seraiemtne, un esercizio. Il ministro - L’esercizio dello Stato o il divoramento del politico”.

Salmon usa il film per spiegare come secondo lui il potere abbia perso contatto con la realtà. Per evitare di allungare eccessivamente il ragionamento qui è necessario limitarsi a segnalare la necessità di separare la dimensione del governo politico, formale, dai meccanismi del potere reale. Può essere convincente la teoria che descrive lo svuotamento degli organismi rappresentativi e delle istituzioni, rispetto alla loro possibilità di incidere, ma è impossibile accettare l’idea che il potere oggi non agisca nella realtà, poiché non può esistere potere che non produca degli effetti nella realtà. Si tratta di un tema da approfondire ma solo legato alla questione della comunicazione.

Nella prefazione alla traduzione italiana di un altro libro francese (Mitocrazia, Yves Citton) Wu Ming 1 scrive: «Salmon descriveva un grande e maligno complotto finalizzato a imporre un Nuovo Ordine Narrativo (Non) per mezzo di un’arma di distrazione di massa chiamata - appunto - storytelling. [...] Al fondo, c’era un ‘incomprensione del rapporto tra esser umani e storia, ovvero l’idea che i primi possano fare a meno delle seconde». L’attacco è frontale e anticipa un testo di grande suggestione, nella cui introduzione è possibile cogliere un’impostazione di fondo di tutta l’opera.

L’ipotesi è che lo smarrimento attuale della “sinistra” (quella ufficiale abbia a che vedere con un blocco e con un deficit inerenti all’immaginario del potere che essa non è riuscita a rinnovare. Il patetico disorientamento dei suoi dirigenti e delle sue organizzazioni collettive, in Francia come in numerosi altri paesi europei, che contrasta con la vitalità di certi movimento “para-politici” di resistenza e di creazione, può essere in larga parte attribuito alla mancanza di una “colla” immaginaria che permetta di tenere insieme tutte le sensibilità, i sentimenti, le evidenze, le speranze, le paure, gli slogan e le rivendicazioni di cui facciamo l’esperienza isolata, senza tuttavia riuscire a imprimervi una forza collettiva di partecipazione condivisa. Quando si parla (a torto) di “fine delle ideologie”, che sia per rallegrarsene o per rimpiangere l’epoca dei grandi antagonismi binari e strutturanti, ci si fa sfuggire la specificità di ciò che oggi è importante ricostruire: non tanto un sistema i idee, coerente e totalizzante, fermamente ancora al rigore del concetto e capace di rassicurare gli animi inquieti con la pretesa d’avere una risposta per tutto (un’ideologia), bensì piuttosto un bricolage eteroclito di immagini frammentarie, di metafore dubbiose di interpretazioni discutibili, di intuizioni vaghe, di sentimenti oscuri, di folli speranze, di racconti senza cornice e di miti interrotti che prendano insieme la consistenza di un immaginario, tenuto insieme, ancor prima che da una coerenza logica, dal gioco di risonanze comuni che attraversano la loro eterogeneità per fermare la loro fragilità singolare.

In vista dell’iniziativa un compagno ci ha inviato del materiale utile, che fa riferimento a Debord, così come numerosi riferimenti alla filosofia sono diffusi nei libri succitati. Spinoza, Foucault, Nancy sono solo alcuni dei nomi più diffusi. È chiaro quindi che l’iniziativa di oggi deve rappresentare, per avere un senso, un avvio di riflessione. Oggi mettiamo alcune premesse, tutte da verificare nel corso dei prossimi mesi, se non anni.

La sinistra non mette tristezza, la sinistra si è persa, quindi trasmette disorientamento e si immola in ogni momento rispetto a quel che ritiene la sua battaglia del momento (per anni il centrosinistra si è identificato nella crociata contro Berlusconi). La caduta del Muro di Berlino rappresenta la fine di un ciclo narrativo, ma esiste ancora spazio per la costruzione di un’alternativa di società rispetto al capitalismo. Il problema è capire come sono mutati i meccanismi del potere, agirvi all’interno e costruire al contempo un campo d’azione alternativo, perché è chiaro che se le regole del gioco vengono scritte dall’avversario, sarà impossibile ottenere una vittoria. Il funzionamento della realtà non riguarda ovviamente solo chi insiste a porsi il tema del comunismo, ma è impossibile pensare di “superare lo stato di cose presenti” se non si ha presente quale è “lo stato di cose presenti”.

Ultima modifica il Giovedì, 28 Luglio 2016 19:39
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

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