Sabato, 19 Maggio 2018 00:00

A Cannes Garrone mostra l'incapacità italiana di vedere oltre le apparenze

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A Cannes Garrone mostra l'incapacità italiana di vedere oltre le apparenze

Nel 2008 "Gomorra" consacrò ufficialmente l'entrata di Matteo Garrone tra i registi di punta del nostro cinema. Anche uno specialista come Martin Scorsese osannò pubblicamente il giovane regista italiano. Da lì in poi sono arrivati gli ottimi Reality, Il racconto dei racconti e adesso Dogman. Al Festival di Cannes è ormai ospite fisso. Insieme a Sorrentino e Moretti. è uno degli autori più amati in Francia, tanto che la casa transalpina Le Pacte cofinanzia le sue opere (insieme a Rai Cinema e l'Archimede Film dello stesso Garrone). Bisogna dire però che sei anni prima di Gomorra, uscì un film visto da pochi di cui bisogna tener conto, L'imbalsamatore (trovate il trailer qui). Un noir italiano fuori dal comune che parla

dell'incontro tra un ragazzo ventenne e un nano imbalsamatore. Quest'ultimo gli propone di diventare suo assistente e di lavorare per lui. Quello che non sa il ragazzo è che il nano lavora per la camorra. Durante un viaggio di lavoro, si innamorerà di una ragazza e questo altererà gli equilibri tra i tre. L'atmosfera (e la struttura) di questo noir è molto simile a quella di Dogman, presentato in anteprima al 71° Festival di Cannes. Dopo il "Grand Prix" nel 2012 per Reality, stavolta auspico che vinca la Palma d'Oro. Perché Garrone, ancora una volta, mostra un'Italia incapace di guardare oltre le apparenze.

Già il titolo merita rispetto: Dogman d'accordo strizza l'occhio al fatto di cronaca del "Canaro della Magliana". A Garrone tutto ciò interessa relativamente: ciò che conta è la contraddizione insita nelle persone tra il lato umano e la bestialità dell'individuo. Questo delitto è uno tra i più atroci, misteriosi e feroci di sempre. Il delitto del Canaro è l'omicidio del pugile e criminale Giancarlo Ricci, avvenuto nel 1988 per mano di Pietro De Negri, proprietario di una toilette per cani alla Magliana (per maggiori approfondimenti vedere qui). Tuttavia la madre della vittima, Vincenzina, si è scagliata contro il film sostenendo che ci sono ancora parecchi punti oscuri (leggi qui).

Garrone in realtà si è solo ispirato al fatto di cronaca, per realizzare un'opera molto coerente con il suo modo di fare cinema. A "Vanity Fair" il regista ha detto:

"Il film è ispirato lontanamente, molto lontanamente a questo fatto. Ho avuto un rapporto altalenante con questa storia. Ero affascinato ma, più passava il tempo, più i dettagli sanguinolenti mi respingevano. La sceneggiatura è cambiata di continuo, non so contare quante volte. In teoria, avendo per le mani un soggetto simile, un produttore può entrare nel campo di un genere, l'horror, che spesso è parecchio redditizio. Ma non è il nostro caso. Dico nostro perché io, nel frattempo, sono anche diventato produttore. Non di un film "splatter", però. Anzi, lo scriva: chi si aspetta un film pieno di scene raccapriccianti, meglio che non ci vada, al cinema, perché resterebbe deluso."

Adesso concentriamoci sulla trama. Siamo ai margini di una Capitale "gomorrizzata", stile periferia suburbana di Ostia (anche se in realtà è stato girato all'abituale Villaggio Coppola di Castelvolturno, provincia di Caserta). Immerso in una natura selvaggia e ostile stile western dei Fratelli Coen, vive Marcello (Marcello Fonte). Un uomo piccolo e mite con una vita indifferente e sempre uguale, divisa tra la gestione di una toilette per cani e la sua adorata figlia Sofia (Alida Calabria). Il negozio è una sorta di bunker/rifugio che Marcello si è costruito per difendersi dal "pitbull" Simoncino (Edoardo Pesce), un ex pugile che tiene in scacco e terrorizza l'intero quartiere. È proprio quest'ultimo il simbolo della decadenza italiana. La sua vita è divisa tra cocaina, donne, slot machine e i "compro oro". Incute timore a tutti e con la violenza ottiene ciò che vuole.

Un giorno però Simoncino sceglie il negozio di Marcello come base e caveau. Stremato da una vita di umiliazioni e deciso ad abbattere la solita routine, Marcello diventa involontariamente suo complice finendo per tradire sé stesso e i suoi compaesani. Fino a che ad un certo punto nella sua testa scatterà qualcosa che modificherà i suoi rapporti con Simoncino. Come diceva Bud Spencer, "non c'è peggior cattivo di un buono quando diventa cattivo". Qui "Dogman" si rifà chiaramente ai temi portanti e alla struttura de "L'imbalsamatore".

Garrone si è ispirato a questo fatto di cronaca per parlare agli italiani. L'Italia, specialmente il Mezzogiorno, è una sorta di posto di frontiera (stile "Sicario" di Dennis Villeneuve) dove il degrado, la violenza e la guerra tra poveri hanno allontanato la gente dall'essenza della vita e della solidarietà. Molti cittadini sono persone comuni, dal carattere mite. Purtroppo però la gente si inasprisce per cercare di sopravvivere in contesti duri dove la competizione ti porta dove non avresti mai sognato. In poche parole, nell'uomo convivono umanità e bestialità, ma è la seconda che spesso emerge e prende il sopravvento per riacquistare la dignità agli occhi della società. Finalmente il cinema italiano centra il bersaglio, andando a parlare di due tipi di violenza che i più dimenticano: quella psicologica e quella indotta.

Il problema vero è che le persone non riflettono più alle conseguenze delle proprie azioni. Quindi succede che molti si vendono senza rendersene conto. Marcello è stato definito dal regista come "un povero Cristo che si deve portar dietro la croce" (notare la locandina) che ricorda molto l'Alberto Sordi "borghese piccolo piccolo" (regia di Mario Monicelli) o il protagonista di "Quel pomeriggio di un giorno da cani" (interpretato da Al Pacino). La tesi di Garrone è affascinante, i temi sviscerati nei suoi film sono sempre interessanti. "Dogman" è un capolavoro, la summa del cinema del regista romano: ecco che in questa pellicola ritroviamo "L'imbalsamatore" e "Gomorra", "Reality" e "Il racconto dei racconti". I personaggi hanno di fronte scelte complicate dettate da ambienti e persone ostili. I buoni vengono sopraffatti, inglobati dai cattivi. L'unica soluzione per restare a galla è diventare come questi ultimi. In Italia gli esempi di questo tipo sono molteplici. È risaputo che il lato oscuro ha più audience del lato chiaro. Prendete il cinema. Quando sta per uscire un nuovo film attesissimo, la notizia non la fa il protagonista, ma l'antagonista (esempio classico la trilogia del Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan).

Marcello è un mite, un buono, ma sotto sotto la sua ambizione è quella di diventare "qualcuno". Vuole essere rispettato come Simoncino e comincia ad emularlo. Nella testa di molti un uomo che si libera dalla routine e dalle umiliazioni è considerato un ganzo. La bravura di Garrone e dei suoi fedeli sceneggiatori (il chiantigiano Ugo Chiti e Massimo Gaudioso) è quella di aver cercato di far capire al pubblico che Marcello non è un uomo libero né prima né dopo. È ingabbiato come Luciano di "Reality": non sa distinguere tra apparenza e realtà. Crede di aver reagito, di aver trovato la libertà e l'approvazione del quartiere, di esser diventato famoso, ma a nessuno gliene può fregar di meno. Il finale è bellissimo, uno delle più belle chiuse del cinema italiano degli ultimi anni. Il richiamo a "Reality" è tangibile (il protagonista Aniello Arena fa anche un piccolo cameo nei panni di un poliziotto).

"Dogman" è un'opera ruvida, selvaggia, sporca, violenta, con pochi fronzoli e poche parole, malinconica e vera allo stesso tempo, con insistiti primi piani che indagano sulla sofferenza umana. Non è un film per chi è animato da ragionamenti di pancia. Qui si ragiona con la testa. Il regista e i suoi collaboratori azzeccano ogni mossa. C'è solo da guardare e ammirare, tutto è coerente con la storia che si vuol raccontare: le influenze pittoriche di Hopper e Caravaggio (Garrone originariamente era un pittore), la fotografia del danese Bruel (dominata da luci gialle su sfondi grigi e neri, squarciati da lampi di rosso), la scenografia, l'ambiente e le location protagoniste assolute del film, la sceneggiatura (che sceglie di non far un film sul fatto di cronaca del Canaro mantenendosi in bilico tra fiaba e realtà), il cast d'attori. Il non professionista Marcello Fonte, dopo "Io sono tempesta", ancora una volta ha il classico volto da "ultimo" neorealista, dal volto scavato e sofferente, Edoardo Pesce (bravissimo) interpreta il "forte" Simoncino creando una sorta di doppio di Marcello (ciò quello che inconsciamente vorrebbe diventare). Nei ruoli di contorno da segnalare Nunzia Schiano (la mamma di Simoncino, già nota per essere la spalla di Siani in "Benvenuti al sud"), il proprietario del "compro oro" Adamo Dionisi (lo zingaro di "Suburra") e Francesco Aquaroli di "Smetto quando voglio" e "Diaz".

Alla fine quando esci dalla sala, non ti rendi conto che sono passati 102 minuti. Tuttavia il film inquieta, ti fa andare in apnea, ti fa soffrire, ti mette di fronte ai tuoi istinti più animali, ti costringe a pensare (ad esempio analizza il tema del bullismo in maniera quasi scientifica) e ti azzanna alla giugulare come un pitbull lasciato libero, senza guinzaglio e museruola. Non ci sono errori, non ci sono difetti. Anche se a volte i dialoghi bisogna immaginarseli. Chapeau a Garrone. Il mio naso sente un forte d'odore di Palma. Mercoledì il film ha ricevuto oltre 10 minuti di applausi all'anteprima. Nel 2008 e nel 2012 ha vinto a Cannes il Grand Prix speciale della Giuria con "Gomorra" e "Reality". Sarà la volta buona per lui e per il cinema italiano? Tutti noi lo speriamo.


Dogman ****1/2

(Italia/Francia 2018) 
Genere: Western / Noir/ Drammatico
Regia: Matteo GARRONE
Sceneggiatura: Matteo GARRONE, Ugo CHITI, Massimo GAUDIOSO
Fotografia: Nicolaj BRUEL
Cast: Edoardo PESCE, Nunzia SCHIANO, Marcello FONTE, Adamo DIONISI, Francesco AQUAROLI, Alida CALABRIA, Aniello ARENA
Durata: 1h e 42 minuti
Produzione: Rai Cinema, Le Pacte e Archimede
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita: 17 Maggio 2018
IN CONCORSO AL 71° FESTIVAL DI CANNES
Trailer www.youtube.com/watch?v=eum93mpzpE0
VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI
LA FRASE CULT: In questo quartiere mi vogliono tutti bene

Ultima modifica il Venerdì, 18 Maggio 2018 17:20
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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