La mia generazione è colpevole di non aver lasciato nulla a quelle successive" - ha detto Alessandro Gassmann alla stampa. Un Paese dove c'erano tre canali Rai, non esistevano ancora la Tv commerciale e gli smartphone, internet e i social network. C'erano i videogiochi, i ghiaccioli tricolori, il calciobalilla, le figurine dei calciatori, i flipper e i bar, come raccontato spesso da Max Pezzali nelle canzoni degli 883. Politicamente eravamo divisi tra Dc e il PCI, c'era la paura per la Guerra Fredda, ma anche per la Banda della Magliana. Da un punto di vista strettamente musicale, la disco music e il rock dominavano le classifiche. C'erano le pubblicità del pennello Cinghiale, del coniglietto Duracell. In tv c'erano Mike Bongiorno, Pippo Baudo e Heather Parisi. Al cinema c'erano Blade Runner e Ritorno al futuro, ma anche opere come "Non ci resta che piangere" con Troisi e Benigni (1984).
Questa è la cornice utilizzata da Massimiliano Bruno e i suoi sceneggiatori (tra cui Guaglianone e Menotti de "Lo chiamavano Jeeg Robot") per questa commedia all'italiana atipica basata su un viaggio spazio temporale abbastanza breve (poco meno di 40 anni) che strizza l'occhio, almeno a livello di espediente narrativo, a Midnight in Paris e a Ready Player One, passando per il recente Notti magiche di Paolo Virzì.
Il film inizia nel 2018 a Roma. Tre amici sfigati (Moreno - Giallini, Giuseppe - Tognazzi e Sebastiano - Gassmann), con pochi soldi, hanno un'intuizione: far intraprendere ai turisti un "Tour Criminale" di Roma nei luoghi dove, a partire dal 1975, la Banda della Magliana fece parlare di sé. Con le gesta di gente come Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino e Renatino De Pedis (raccontate, con nomi camuffati, nel film "Romanzo Criminale" di Michele Placido). Esperti della Banda e muniti di abiti d'epoca (giubbotti di pelle, Ray Ban, stivaletti, jeans a zampa d'elefante), i tre cialtroni si lanciano nell'impresa convinti di fare soldi a palate. La realtà è che ognuno ha i suoi problemi (chi con la moglie, chi con il suocero, chi è disoccupato). Il progetto non decolla.
Un giorno, per sfuggire al pedante ex compagno di scuola, Gianfranco (interpretato dal regista Massimiliano Bruno), finiscono in un cunicolo spazio-temporale all'interno di un bar. Uno strano scherzo del destino li porta indietro nel tempo, nel 1982, nel locale dove si riuniva la vera Banda della Magliana. Nel frattempo in Spagna erano in corso i Mondiali di calcio. L'Italia diventerà campione del mondo (ricordate il famoso urlo di Marco Tardelli?). Come Biff Tannen di "Ritorno al futuro", cercano di far soldi attraverso le scommesse. I tre sfigati però incontreranno il vero boss della Banda, De Pedis (Edoardo Leo). Sebastiano si innamorerà della pupa del Boss (Ilenia Pastorelli che ha la tutina di Heather Parisi dei tempi di "Disco Bambina"). Ovviamente ne combineranno di tutti i colori, compresa la divertente rapina in banca vestiti e truccati come i Kiss (un estratto della scena la potete vedere qui). E qui iniziano i problemi, anche perché il film poi diventa più cialtrone, strizzando l'occhio nel finale ad eventuali sequel (ci sarà una trilogia?).
Sicuramente l'operazione è un gigantesco omaggio a Troisi e Benigni, ai codici visivi del cinema di Castellari usando perfino la tecnica dello split screen (schermo diviso). Bruno non fa i "revival nostalgici" dell'epoca come Fausto Brizzi (ricordate Notte prima degli esami?). La macchina da presa scorre su auto da corsa o direttamente a mano con inquadrature dal basso (la Pastorelli che balla è una citazione dei film di genere degli anni '80). Tutto il contrario della cultura pop e della generazione del "Like". Massimiliano Bruno sceglie di prendere in giro tutti i cliché sia del cinema sia dei costumi degli anni 80, ma cerca disperatamente di staccarsi di dosso l'etichetta di commedia. Già dalla fotografia si avverte che l'operazione non è (totalmente) compiuta. Il film non si sforza minimamente di essere un noir o un romanzo criminale (basta guardare il film di Placido per rendersene conto), è un'accozzaglia di situazioni che porta inevitabilmente a catalogare la pellicola come una commedia italiana contemporanea. Nel bene e nel male.
Il film è tutto sommato divertente, ha ritmo e vive dell'intesa tra i protagonisti. Lo "Steve Jobs" di Giallini è sicuramente il migliore, ma Gassmann e Tognazzi (entrambi figli d'arte di indimenticabili interpreti del cinema italiano degli anni d'oro) si conoscono bene e riescono a lavorare in armonia. Il secondo specialmente è la rivelazione della pellicola con un'interpretazione riuscita che spazia dal dramma alla commedia con ottime tempistiche (notare l'omaggio alla commedia americana "Come ammazzare il capo e vivere felici" verso il finale). Al suo personaggio tocca anche una chicca di sceneggiatura di Guaglianone: negli anni '80 ha una parrucca, nel presente è pelato. Sembra una sciocchezza, ma oggi l'uomo calvo è considerato sexy e mascolino, mentre nel passato era considerato uno sfigato. Non male nemmeno Edoardo Leo nei panni del cattivo, ripetitiva la Pastorelli (d'altronde gli sceneggiatori di Jeeg Robot e di Benedetta follia di Verdone, guarda caso, sono Guaglianone e Menotti). L'onnipresente Nicola Guaglianone (che ha studiato in America) cerca disperatamente di voltare pagina e di creare "generi nuovi" per il nostro cinema contaminandoli in modo da disorientare lo spettatore. Menotti ci mette la sua esperienza da fumettista specie nella grafica e nei titoli di coda.
Il film a tratti è tirato via (soprattutto la parte finale), anche nella colonna sonora: se negli '80 si passa da "I fought the law" ai Duran Duran e ai Kiss di "I was made for loving you", gli anni 2000 sono rappresentati da "Dammi tre parole" di Valeria Rossi (che tristezza!). Nel complesso si ride e la pellicola alla fine non demerita, ma non eccelle in maniera particolare rimanendo volutamente nel limbo. Come la maggioranza dei film italiani contemporanei di genere. I colpi di scena sono un po' meccanici perché seguono lo schema della sceneggiatura "all'americana", le svolte non sono mai tali. Si doveva osare di più e contaminare di più i generi per togliere la sensazione di commedia all'italiana "industriale" che aleggia sull'intera operazione. Commercialmente funziona (ha già incassato oltre 2 milioni di euro), ma a livello di qualità ancora non ci siamo del tutto. Serviva maggior acidità alla Smetto quando voglio che, non a caso viene preso come modello, e minor ricerca dell'ordinario. Fateci caso anche gli omicidi (che in un film che parla di criminalità ci dovrebbero essere) vengono sacrificati o mitigati. Ancora una volta il problema del cinema italiano è la carenza della cura della sceneggiatura: se si prendono i film scritti da Benvenuti- De Bernardi, Age e Scarpelli, ma anche l'americano Ritorno al futuro di Zemeckis, la differenza è palese e notevole. Segnale inequivocabile che l'operazione è stata concepita in una direzione ben diversa da quella che ci si doveva aspettare.
Regia *** Interpretazioni ***1/2 Fotografia *** Sceneggiatura *** Montaggio *** Film ***
Non ci resta che il crimine
Genere: Commedia
Regia: Massimiliano Bruno
Sceneggiatura: Nicola Guaglianone, Menotti, Massimiliano Bruno, Andrea Bassi
Cast: Alessandro Gassman, Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi, Ilenia Pastorelli, Edoardo Leo
Fotografia: Federico Schlatter
Durata: 1h e 42 minuti
Produzione e Distribuzione: Rai Cinema e 01 Distribution
Uscita: 10 Gennaio 2019
Trailer qui
La frase cult: Facciamo una start up per esportare le olive ascolane in Arabia!
Immagine tratta liberamente da www.corrieredellosport.it