Lunedì, 07 Novembre 2016 00:00

Costi della politica: tra retorica e riforme

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Costi della politica: tra retorica e riforme (a dieci mani)

Il tema dei costi della politica tiene banco in Italia da ormai dieci anni e di recente è stato ulteriormente rilanciato, da più parti dello schieramento, sia riguardo la riforma della Costituzione sia riguardo una proposta di modifica alle indennità dei deputati. In altri settori che coprono fondamentali bisogni dello Stato o della società (l’esercito, l’istruzione, la sanità, la magistratura, la polizia) il tema della spesa pubblica è affrontato diversamente: in alcuni casi si avverte il bisogno di aumentarla; in altri i governi procedono a tagli, sì, ma presentandoli sotto la buona luce della razionalizzazione degli sprechi; in molti casi, ancora, i cittadini lamentano gli eccessivi tagli di spesa come abbandono da parte dello Stato. Soltanto per l’attività politica appare ancora molto lontana la concezione che essa pure è un bisogno sociale su cui investire risorse. 

Roberto Capizzi

Ormai da alcuni anni il tema dei costi della politica ha letteralmente avvelenato grandi parti dell'opinione pubblica.

La cronaca, anche giudiziaria, ha fornito numerosi esempi di malversazioni e di privilegi intollerabili che hanno, con ogni evidenza, alimentato il fuoco di una rabbia spesso priva di pars costruens.

La sinistra, che pure aveva tutte le carte in regola per affrontare la questione con proposte che tagliassero costi inutili salvaguardando la democrazia (precursori, in anni recenti ma politicamente distantissimi furono Salvi e Villone) ha colpevolmente abbandonato il tema consegnandolo ad una masnada di incapaci che ne hanno fatto ciò di cui sono capaci: carne di porco.

La questione però rimane e va ripresa, anche con una proposta istituzionale costruttiva. Prima del passaggio parlamentare della riforma cui saremo chiamati a votare il 4 dicembre scrivevo su queste pagine che la sinistra avrebbe dovuto proporre l'abolizione del Senato e la costituzionalizzazione del proporzionale per l'elezione della rimanente Camera

Vi è poi un'altra questione, che nessuna riforma, nemmeno la più ardita (non certamente quella che voteremo che anzi alimenta il populismo), può, da sé, risolvere: è l'utilità della politica. Una politica che non interviene in economia - e quando lo fa tutela interessi non certo popolari - che è percepita come inutile può costare anche zero: per molti sarebbe comunque troppo. Può produrre leggi come i bulloni in una fabbrica (altro imbarbarimento della concezione dell'azione legislativa): sarebbe comunque troppo lenta. 

A noi, ma non soltanto a noi, il compito di ricostruire un sentimento democratico avanzato, che faccia riconoscere i rispettivi interessi sociali (di classe) di ogni cittadino e la sua corrispondenza con un determinato soggetto politico.


Alex Marsaglia

l tema dei costi della politica è diventato un cavallo di battaglia dei riformatori e delle opposizioni almeno da Mani Pulite in poi, purtroppo entrambi ne hanno fatto ormai un guazzabuglio di retorica o poco più.

Tra le proposte di riforma, senza dubbio più serie, nate durante la prima Repubblica troviamo tutto il discorso di Berlinguer sulla “Questione morale” che nasce dall’analisi del “processo di distacco tra Paese e istituzioni”. Secondo il leader del PCI il Paese era attraversato da una profonda crisi di fiducia verso le istituzioni e poteva salvarsi solamente con un rinnovamento dell’etica politica. Come sappiamo ciò non avvenne, anzi avvenne l’esatto contrario.

Attualmente siamo nelle condizioni intraviste dallo stesso Berlinguer nel suo “pensiero lungo” sulla politica italiana: partiti sempre più ridotti a “macchine di potere e di clientela”, conseguente “invocazione dell’uomo forte”, fino al “cambiamento del carattere parlamentare della Repubblica”. Il nesso tra questione morale e questione democratica era quindi già presente nella riflessione del PCI e semmai mancò una controproposta forte da opporre al neoliberismo nascente. Tuttavia, ci resta il “pensiero lungo” di Berlinguer da adattare ad un contesto aggiornato, ma non totalmente estraneo alle analisi berlingueriane. Infatti, l’offensiva neoliberista sul piano istituzionale è oggi più forte che mai e impone un ripensamento dell’etica politica e dell’etica delle istituzioni pubbliche basato sul netto rifiuto dell’ideologia dello Stato privatizzato, da cui discendono concetti come quello di “governabilità”, ormai ridotto a puro strumento per tagliar fuori la “rappresentanza” nei vari aspetti che riguardano le complesse democrazie occidentali. 

Alle distorsioni della forma di governo andrebbero poi aggiunte le distorsioni dovute alla cancellazione della sovranità popolare derivante dall’inserimento dello Stato nella dimensione sovranazionale dell’UE, ma il discorso si dilungherebbe e complicherebbe ulteriormente. L’importante è essere consapevoli che un vero rinnovamento della politica istituzionale si ottiene solo partendo da un rinnovamento sociale in grado di realizzare, per dirla con Lenin, una democrazia “della maggioranza e per la maggioranza”, ossia ancora e inevitabilmente una “democrazia delle classi oppresse e non degli oppressori”. A meno di illudersi che il conflitto di classe sia ormai una variabile totalmente avulsa dalle nostre società.

Come ricordavano sia Marx che Lenin, riprendendo i provvedimenti della Comune, sono comunque auspicabili riforme rivolte alla “soppressione di tutte le indennità di rappresentanza, dei privilegi pecuniari dei funzionari e la riduzione degli stipendi assegnati a tutti i funzionari dello Stato a livello di «salari da operai»” (V. Lenin, Stato e Rivoluzione, Editori Riuniti, 1981, p. 106).


Dmitrij Palagi

Mediamente il cittadino occidentale si sente più un consumatore che un attore civico. Il Movimento 5 Stelle ha cavalcato l'idea di portare "persone comuni-normali" (espressione terribile) in Parlamento, in sintonia con uno slogan certamente egemone in Italia: sedere in Parlamento non può essere una professione. Le competenze tecniche sono state a lungo un argomento per i "critici della casta". Monti ed i "ministri tecnici" lo hanno indebolito significativamente, ma rimane una visione di fondo per cui sono i singoli con le loro conoscenze a determinare un'adeguata pratica legislativa.

La sinistra è disorientata nel mercato elettorale: per vincere nelle urne ha accettato di trasformarsi in azienda di mercato. Oggi si è adeguata ad un falso assioma: il prodotto della politica è inadeguato rispetto ai costi pagati dai consumatori (gli elettori), quindi si devono abbassare i prezzi, anziché alzare la qualità. Rispetto ai "costi della casta" e al referendum si conferma il piano sbagliato su cui si è formato il dibattito degli ultimi decenni. La Costituzione italiana prevede la partecipazione alla vita del Paese attraverso i partiti. La crisi della rappresentanza non si può risolvere a partire "dall'alto" (o eliminandola), occorre interrogarsi sulle cause profonde, a partire da ciò che manca in tutta Europa: un dibattito sulle visioni complessive del mondo (sulle ideologie). Per citare un liberale conservatore britannico: "né nel mondo della politica né in quello della letteratura dunque, il rifiuto delle teorie universali si è rivelato un successo. Probabilmente perché molti ideali folli e ingannevoli hanno talora disorientato il genere umano. Ma sicuramente nessun ideale è stato così folle e ingannevole nella pratica dell'ideale della praticità" (G. K. Chesterton).


Jacopo Vannucchi

Il tema dei costi della politica è sempre esistito sottotraccia nel magma della società italiana, che in larghi settori vive lo Stato come un concorrente economico e, se deve avere rapporti con la politica, lo fa appunto a fini clientelari.

Ma questo tema è stato finalmente sdoganato con una sua dignità pubblica da Stella e Rizzo nel 2007, nel quadro di una generale offensiva contro l’allora governo Prodi – “la politica ci costa 4 miliardi l’anno”, disse Montezemolo all’assemblea di Confindustria, mentre, da un altro lato, Grillo preparava il “Vaffanculo Day” (sul quale lascio i commenti ai lettori). Già nel 2005, del resto, Grillo aveva lanciato la campagna Parlamento Pulito – simbolo uno spazzolone su una bandiera italiana – omettendo ovviamente di dire che i condannati erano venti nella CdL e due nel centrosinistra.

Ci furono deboli tentativi di affrontare il tema, nel campo della sinistra; per la campagna elettorale del 2008 l’Italia dei Valori produsse un manifesto raffigurante una bistecca con la frase “Abbiamo tagliato il grasso alla politica, ora tagliamo il marcio”. 

Quello che Stella e Rizzo, così come gli iniziali manovratori di Grillo, non avevano però previsto è che coccolare la bestia è una tattica che non funziona, perché la bestia si sveglia e divora il suo domatore. Ad oggi, infatti, il tema dei “costi” della politica risulta un inutile rimestare in una pozzanghera fangosa così tanto pestata da non contenere quasi più niente. Quando dal M5S si arriva a minacciare di stupro la Presidente della Camera (a proposito, la magistratura ha aperto inchieste?), i costi della politica sono un tema ormai davvero riduttivo.

Montezemolo impostò pretestuosamente il suo attacco alla politica in termini di produttività (ésprit de géométrie!), e anche il povero Bersani nel 2013 propose “una Maastricht dei costi della politica”. Tuttavia il vero impianto ispiratore di chi si appassiona a questo tema è meramente, anzi, ferocemente, punitivo: i “politici” (tutti) devono essere puniti nel valsente non perché poco produttivi o eccessivamente remunerati, ma semplicemente perché esistono, secondo lo stesso schema mentale che serve di base ai genocidii. 

Per tutto quanto detto, non credo che il tema dei costi della politica possa smuovere qualche voto per il Sì o per il No nel referendum costituzionale; d’altro canto è un tema difensivo a cui nessuno dei due campi può rinunziare, perché mentre il parlarne non assicura vantaggi il non parlarne assicura svantaggi.

Ultimamente la Camera è stata anche sfiorata dalla proposta del M5S di dimezzare l’indennità dei deputati, mentre il PD ha proposto di commisurarne l’erogazione all’effettiva presenza in Aula. Forse questo contrasto è l’unico che può ancora fornire una riflessione interessante: la rappresentanza della Nazione è una funzione (per cui l’indennità è corrisposta forfettariamente), oppure un’attività, da retribuirsi in base alle presenze?

Il testo costituzionale, specificando che ogni parlamentare rappresenta la Nazione, mi sembra inclinare decisamente verso la prima ipotesi; sono anche certo, però, che la pratica attuazione della seconda produrrebbe un riavvicinamento sui generis tra elettori ed eletti. Le statistiche mostrano infatti una, sia pur debole, correlazione tra i partiti della polemica antipolitica e l’assenteismo alla Camera.


Alessandro Zabban

Nel pensiero di Hannah Arendt la politica rappresenta la più alta forma di azione e si caratterizza per la capacità di generare mutamento, di cambiare lo status quo. La politica è creatività, è agire di concerto per produrre potere trasformativo. Non è un caso che per la pensatrice tedesca il massimo grado di fecondità politica sia la rivoluzione

Nel mondo attuale dominato dal paradigma della governance, dove attori economici, NGOs e lobby cooperano nella gestione delle "policies", togliendo spazio alle modalità tradizionali del politico, si realizza pienamente quel processo che già la Arendt vedeva con estrema preoccupazione, ovvero la colonizzazione della sfera politica da parte del sociale. Quest'ultima, facendosi portavoce di interessi più legati alla soddisfazione di esigenze immediate, rende la politica mera amministrazione, incapace di creare quel potere trasformativo che la dovrebbe contraddistinguere.

L'efficienza diventa oggi il paradigma di riferimento del nuovo sistema globalizzato che trasforma l'agire politico in mera amministrazione dell'economia globale, modalità organizzativa che abbiamo visto essere però efficiente solo per pochi benestanti e drammaticamente negativa per il resto della popolazione. Attecchisce allora un populismo che percepisce la politica come inutile, proprio perché incapace di generare veri processi trasformativi.

La crescente demagogia sui costi della politica si alimenta con la percezione di inutilità che l'intero sistema trasmette. Questa visione si può combattere solo ridando senso e finalità alla categoria stessa di agire politico. Occorre che la politica torni a essere il luogo dove ci si mette in gioco per produrre azioni innovative e non quello in cui ci si candidi a meri gestori delle politiche neoliberiste.

 

Ultima modifica il Lunedì, 28 Novembre 2016 00:13
Dieci Mani

Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al "tema della settimana". Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).

A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.

www.ilbecco.it/diecimani.html
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