Sabato, 18 Giugno 2016 00:00

La situazione politica in Perù dopo la sconfitta di Keiko Fujimori

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La situazione politica in Perù dopo la sconfitta di Keiko Fujimori

 

In un clima politico favorevole alle forze politiche di matrice neoliberista e legate a Washington, anche il Perù sembra adagiarsi senza troppa difficoltà al nuovo vento di destra che spira su gran parte dell'America Meridionale.

La sconfitta per una manciata di voti di Keiko Fujimori al ballottaggio nelle elezioni presidenziali dello scorso 5 giugno fa tirare un sospiro di sollievo ma non può rassicurare più di tanto: se è vero che il paese andino ha evitato per un soffio di finire nelle mani di Forza Popolare, il partito autoritario e demagogico della Fujimori, è anche vero che il volto più rassicurante del neopresidente Pedro Pablo Kuczynski, ex Ministro dell'Economia e membro del FMI, non è certo garanzia di un cambio di rotta rispetto alle inique misure neoliberiste che il Perù ha messo in pratica già da molti anni.
Data per strafavorita fino alla vigilia del ballottaggio, la figlia del dittatore Alberto Fujimori si era imposta al primo turno con quasi il 40% dei consensi, ma ha clamorosamente dissipato un vantaggio enorme nel giro di un paio di mesi.

Almeno due sembrano essere i motivi principali che hanno permesso una insperata rimonta a Kuczynski. Il primo è un gigantesco scandalo di traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco venuto alla luce a metà dello scorso maggio al quale sono stati associati i nomi di diversi esponenti del partito della leader populista, fra cui quello del Segretario generale Joaquín Ramírez. Questa indagine, portata avanti dal dipartimento anti-droga statunitense (DEA) ha indubbiamente contribuito a ridare vigore a un Kuczynski che ha colto la palla al balzo per fare del principio della legalità e della lotta al narcotraffico una delle sue bandiere.
Una seconda motivazione è invece più strettamente politica e fa riferimento all’appoggio fornito all’ultimo minuto della coalizione della sinistra al banchiere peruviano, un invito a un voto critico per salvare le istituzioni democratiche dalle mire autoritarie dell'estrema destra del Fronte Popolare1.

Nonostante i terribili crimini compiuti dall’ex Presidente Alberto Fujimori, ora in carcere per violazione dei diritti umani e corruzione, crimini commessi durante una dittatura che si è protratta dal 1992 (anno del cosiddetto “auto-golpe”) fino al 2000, non si può ignorare come vi sia quasi una metà della popolazione peruviana che si riconosce nel populismo di destra della figlia Keiko che ha saputo presentarsi come la paladina delle classi popolari e protettrice delle fasce più deboli della società.

Si apre ora una fase politica del tutto nuova, potenzialmente instabile in cui avranno un ruolo decisivo i sistemi si alleanze e di compromessi. Non solo infatti il nuovo Presidente non potrà non tener conto che la sua vittoria elettorale è avvenuta per meno di 40,000 voti (un rocambolesco 49,9% contro 50,1%), ma sarà anche fortemente limitato nel suo potere dal Congresso della Repubblica, che esercita il potere legislativo. L’organismo monocamerale è stato infatti eletto in Aprile sulla base dei voti dati al primo turno delle elezioni, nel momento di massima popolarità di Keiko Fujimori che potrà ora contare su una maggioranza assoluta (73 seggi su 130) alla Camera. Solo diciotto invece i seggi conquistati da “Peruanos Por el Kambio”, la lista di Kuczynski. Per quest’ultimo inoltre, ulteriore elemento di debolezza è costituito dal forte debito che ha nei confronti della coalizione della sinistra radicale del Frente Amplio, che sotto la guida combattiva della giovane Veronika Mendoza ha ottenuto il 18,7% dei suffragi e venti seggi al Consiglio, diventando la seconda forza politica. Come detto, l'appoggio della Mendoza a Kuczynki, in chiave anti- Fujimori, ha contribuito in maniera decisiva alla vittoria dell’economista peruviano, soprattutto negli stati del Sud, tradizionalmente avversi alla famiglia Fujimori che invece ha trionfato in tutte le regioni del nord del paese2.

In debito con la sinistra ma pressato dalla destra estremista e populista, il nuovo Presidente sarà sicuramente costretto a scendere a compromessi. Il compito delle forze progressiste sarà quello di scongiurare una alleanza de facto fra le forze del centrodestra liberale con quelle populiste e autoritarie, che potrebbero trovare un accordo su ciò che maggiormente lega i due schieramenti politici, ovvero su una politica economica di stampo neoliberista.

Ultima modifica il Venerdì, 17 Giugno 2016 22:11
Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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