Note storiche
La Repubblica Egiziana nasce nel 1952 a seguito di un, sostanzialmente incruento, sollevamento militare, effettuato/guidato dall’organizzazione clandestina definita Unione dei Liberi Ufficiali; quest’ultima costituiva lo sviluppo di precedenti aggregazioni maturate in ambito militare fin dai primi anni del ‘900 sull’esempio di quanto si era determinato nell’Impero Ottomano (Turchia) che nel 1907 aveva visto l’Esercito imporre al Califfo/Sultano il ripristino della Costituzione (già ottenuta, sempre per iniziativa di una parte dei Quadri militari, nel 1877, ma poi riassorbita ed infine totalmente svuotata dal partito tradizionalista Ottomano).
Tralascio, per ovvi motivi, ogni ulteriore riferimento all’influenza che la Guerra Russo-Giapponese (1904 / 1905) prima e la sua appendice rivoluzionaria russa (1905) poi, ebbero in tutto il Vicino e lontano Oriente (dalla Turchia, all’ Iran, all’ India, all’ Afghanistan, alla Cina).
Tornando all’Egitto: lo sviluppo del sentimento anticoloniale (l’Egitto era dal 1882 un protettorato inglese) e conseguentemente anti monarchico (vista quest’ultima non solo come strumento del “collaborazionismo” con gli stranieri colonialisti, ma anche responsabile della debolezza economica e statuale del paese, cause della debolezza dell’Egitto e perciò della sua caduta sotto l’influenza del “colonialismo” imperialista) si era andato sviluppando soprattutto in ambienti che potrebbero essere definiti piccolo borghesi (impiegati, artigiani, operai specializzati, commercianti, ecc) e borghesi, anche se quest’ultima classe sociale (come del resto in tutto il Vicino Oriente) soffriva dell’handicap di essere formata in maggioranza dalle comunità non arabe, ma bensì da europei (italiani, francesi, greci, ebrei, armeni, ecc) o da Cristiano Coopti.
Insomma da gruppi etnicoculturali (e “religiosi”) minoritari rispetto all’insieme della popolazione (in gran parte infatti Fellah, cioè braccianti agricoli del tutto asserviti ai latifondisti e, in parte, al clero musulmano sunnita). L’Esercito egiziano dal 1882 in poi era sottoposto ad un rigido controllo da parte delle autorità inglesi, con tutto ciò che questo comportava, sia di naturale frustrazione che anche sul terreno, più prosaico, delle remunerazioni, delle carriere).
Oltre alla già ricordata rivoluzione militare (di palazzo) avvenuta a Istambul (1907) la prima guerra mondiale fu un ulteriore elemento di tensione, pur controllato dalle autorità coloniali. Questo sia per il sentimento di scarsa simpatia verso i turchi, diffuso un po’ in tutto il mondo arabo che non aveva dimenticato l’assoggettamento al loro dominio, subito per oltre tre secoli, sia per il fatto che la Sublime Porta (cioè il sultano di Costantinopoli) rappresentasse in qualche maniera l’umma dei credenti, soprattutto rispetto alle potenze dell’Intesa (tutte cristiane, cattoliche o riformate). Non poteva risultare del tutto indifferente fra la popolazione e soprattutto nel clero musulmano sunnita ( i “Sunniti” sono largamente maggioritari in Egitto.
Al termine della prima guerra mondiale (1919) la Gran Bretagna (logorata da quattro anni di durissimo conflitto ed impegnata dalle agitazioni indipendentiste diffuse su diversi suoi domini, dall’ Irlanda all’ Afghanistan, ecc) promise di allentare il suo controllo sull’Egitto: infatti nel 1926 il Regno Egiziano stipulò un trattato per cui Londra riconosceva l’indipendenza del paese nordafricano pur mantenendo il controllo “militare” del Canale di Suez, nonché una serie di basi militari. Non casualmente è proprio in quegli anni che nasce la così detta Fratellanza Musulmana (fine 1929, inizio 1930): tale organizzazione (semiclandestina) fu più che tollerata proprio dagli inglesi in funzione anti WAFHD (cioè il movimento/partito costituzionalnazionale egiziano, d’ispirazione laica, liberale e progressista-moderata), un soggetto che minacciava gl’interessi imperialisti britannici in un paese strategico, quale appunto l’Egitto, posto sulla vitale via imperiale per l’India.
È in tale contesto che si comprende anche un certo, (reciproco) strumentale, interesse degli ambienti anticolonialisti egiziani nei confronti del fascismo italiano, il quale al di là della feroce repressione condotta in Libia (1925/1933, condotta dal generale R. Graziani) si presentava come “amico” dell’Islam sia in concorrenza delle altre potenze colonialiste (Gran Bretagna e Francia) sia, in seguito, in funzione anti cristiano-coopta in Etiopia.
La fine della seconda guerra mondiale con il conseguente “declino” delle tradizionali potenze coloniali europee (Francia e Gr.anBretagna) e l’aumentato prestigio dell’URSS sarà, però, segnato dalla nascita dello Stato d’Israele (1948) e perciò dalla prima guerra Israelo-Araba, che vedrà la, sostanziale, sconfitta degli stati arabi coinvolti, primo fra tutti l’Egitto.
La guerra vedrà distinguersi un giovane ufficiale egiziano che pur nella semidisfatta subita dal suo esercito riuscirà a salvaguardare la propria unità mantenendola tale anche nel ripiegamento, nella ritirata dalla penisola del Sinai verso le coste del Canale e del Mar Rosso. Quell’ufficiale si chiama A. Jamal Nasser. Così alle tradizionali problematiche economico-sociali si somma la frustrazione per il semidisastro bellico subito e negli anni seguenti si avranno notevoli agitazioni sociali (soprattutto ad Alessandria, nelle città lungo il canale nonché al Il Cairo) che faranno da sfondo alla rivoluzione nazional-repubblicana del 1952 che porterà al potere attraverso il Consiglio del Comando della Rivoluzione i dirigenti dell’Unione dei Liberi Ufficiali presieduti dal colonnello Negib che ha al proprio fianco il maggiore Nasser.
L’azione dei militari sarà rapida e, praticamente, incruenta: il Re Faruk, personaggio più mondano che politico, partirà, tranquillamente, per un dorato esilio in Italia.
Del resto gli autori del sollevamento / pronunciamento militare oltre ad avere la simpatia dell’insieme della popolazione avevano, informalmente, concordato l’azione con varie espressioni organizzate della società, urbana, egiziana, sia di sinistra che di destra, fra quest’ultime la stessa Fratellanza Musulmana. Brevemente sugli sviluppi della vicenda politica
- nel 1954 Negib viene sostituito da Nasser):
- 1956 nazionalizzazione del Canale di Suez e conseguente aggressione tripartita (Francia, Gran Bretagna e Israele), conseguente avvicinamento della Repubblica Araba Egiziana all’URSS e ai paesi “socialisti”
- partecipazione alla Conferenza di Bandung (1955) in Indonesia dove nasce il Movimento dei Non Allineati (India, Egitto, Indonesia, Yugoslavia ecc)
- 1958 unione con la Siria nella R.A.U. (Repubblica Araba Unita)
- 1961 nascita del nuovo partito unico Unione Arabo Socialista del Popolo Egiziano, ecc….
Si comprende bene come le forze armate di questo paese siano tradizionalmente, storicamente, soggetto di valenza politica inserito a pieno nella vicenda nazionale moderno-contemporanea del paese figlio e frutto del Nilo.
Ho fatto questa rapida carrellata dei principali avvenimenti che hanno segnato l’Egitto per sottolineare la stupidità, oltre a tutte le ulteriori considerazioni, propria dei giudizi falsamente moralistici (ipocrisia ideologica, subalternità alla mistica liberale-occidentale, cioè all’imperialismo) che anche in occasione dei presenti sommovimenti in atto sulle rive del Nilo si sono espresse a sinistra, compresi alcuni sedicenti “comunisti”
La presente congiuntura
Alcune considerazioni sulla presente congiuntura e su alcuni dati strutturali del paese in questione (Egitto) al di là della specificità del ruolo dei militari egiziani (non dissimile da quello rivestito nei paesi non dominanti ma sottoposti al colonialismo prima e al neocolonialismo imperialista poi).
Ritengo che si dovrebbero fare alcune considerazioni razionali quali: la legge elettorale con la quale Morsi è stato eletto, al secondo turno, è non solo ademocratica in assoluto ma è del tutto disorganica rispetto alla realtà del paese, infatti radicalizza le contrapposizioni e non promuove la mediazione. Oltre a ciò si deve ricordare che il neoeletto Morsi ha tentato di concentrare su di se poteri esorbitanti rispetto alla definizione di una riforma costituzionale e l’ulteriore assoggettamento della magistratura che avrebbe trasformato il presidente in una versione aggiornata di emiro. Tutto ciò costituisce, anche formalmente, un vero e proprio attentato all’ordinamento istituzionale dello Stato: dunque se di golpe si deve parlare allora si tenga presente che è stato proprio l’esercito ad impedirlo. Oltre ad evitare (particolare non del tutto marginale) quanto meno un bagno di sangue e molto probabilmente una vera e propria “guerra civile”.
Mi appare totalmente fuori dalla razionalità pensare ad un rapido reinserimento dell’Egitto in uno schieramento apertamente e conseguentemente antimperialista e perciò “ostile” e militante in chiave anti-USA. Tale evoluzione è, a mio parere, impedita non solo e non tanto dalle caratteristiche soggettive delle gerarchie militari e dalla presenza, non marginale, di forze sì laiche e liberaldemocratiche, ma certamente moderate, quanto da fattori strutturali non superabili semplicemente per volontà:
1) l’Egitto è fortemente indebitato (35 miliardi di dollari)
2) oltre il 50% del pane consumato dalla popolazione (derrata alimentare ancora fondamentale per la dieta quotidiana di circa il 70% della popolazione) proviene, direttamente o indirettamente, dagli USA
3) inoltre l’equilibrio, sia pure instabile, militare regionale si basa sul sostegno USA alle forze armate egiziane che beneficiano di forniture (a speciali condizioni economiche) belliche in misura da collocare l’Egitto quale secondo fruitore, superato solo da Israele (circa “1,5” miliardi di dollari l’anno all’ Egitto).
Infine non vedo nessuna altra potenza mondiale in grado di potersi candidare quale alternativa al ruolo che gli USA giocano, ormai da oltre 30 anni, nei confronti di questo strategico paese. Infatti non credo che la Russia e tanto meno la Cina sarebbero disponibili ad operazioni tanto costose e pesanti dal punto di vista economico/finanziario, quanto di drammatizzazione nelle relazioni bilaterali con Washington.
Onde per cui l’unica prospettiva, positiva (per cui tutt'altro che scontata) seriamente ipotizzabile è una guidata ricollocazione egiziana verso una posizione realmente di moderazione delle tensioni presenti nell’area del Vicino Oriente: ovvero disincagliarsi dalla subalternità operativa verso l’imperialismo senza però schierarsi con le forze direttamente in conflitto con esso.
Operazione estremamente difficile ma non impossibile. Segnali incoraggianti non mancano: l’indicazione di un primo Ministro non integrato nella sfera dei “dipendenti” del dipartimento di stato USA, il mantenimento di una rappresentanza, nel nuovo esecutivo, di esponenti (ragionevoli) della Fratellanza Musulmana (tre ministri) e soprattutto un deciso contrasto nei confronti di coloro che soffiano sul fuoco, ed infine, ma non certo per significato ed importanza, l’accordo per la riapertura delle sedi consolari fra Egitto e Siria.
Le prossime settimane renderanno ancora più chiaro e definito il percorso che questo fondamentale Stato arabo, a cavallo fra Africa ed Asia, sarà in grado di percorrere. E dalla sua bontà o meno ne risentirà l’intera situazione internazionale.