Nel 1961 la rivoluzione assume il carattere socialista, gli Stati Uniti danno il via ad una guerra economica e diplomatica contro Cuba, non disdegnando di ricorrere all'infamia del terrorismo. Cuba nonostante il potente vicino sviluppa quella che ieri il Presidente uruguayano Mujica ha definito una “rivoluzione della dignità”: scuole, sanità, ricerca scientifica ed una pratica di solidarietà internazionalista rivelatasi in alcuni casi come quello angolano decisiva per la vittoria di forze progressiste.
Sono proprio le personalità internazionali presenti ieri nel cortile del Moncada a raccontare di una rivoluzione che a differenza di quell'assalto di sessant'anni fa è tutt'altro che sconfitta: Nicolas Maduro per il Venezuela, Daniel Ortega per il Nicaruaga, il ministro degl'esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, il Presidente boliviano Evo Morales, i capi di governo di Dominica, Saint Vincent e Grenadine, Antigua e Barbuda, Santa Lucía.
Dopo anni di isolamento in conseguenza del crollo dell'URSS Cuba oggi non soltanto non è più sola all'interno del proprio stesso continente ma è protagonista del processo di integrazione sovrana dell'America Latina, ascoltata e rispettata - ben oltre quello che ci si attenderebbe dalla ridotta estensione geografica - in organismi regionali non più subalterni agli yanquis: in primo luogo ALBA e CELAC.
Una rivoluzione ancora in marcia ed il cui tagliando è rappresentato dalle misure di aggiornamento e perfezionamento del socialismo approvate alcuni anni fa con estrema prudenza e a seguito di un dibattito che ha coinvolto l'intero Paese. “Una rivoluzione giovane come eravamo giovani noi allora” ha dichiarato nel proprio discorso il Presidente Raul, una rivoluzione che pur tra inefficienze, embargo e ricorrenti catastrofi naturali (ricordate proprio ieri da Raul citando i pesantissimi danni causati dall'uragano Sandy lo scorso anno) non rappresenta soltanto un sogno romantico per nostalgici con i paraocchi, ma un Paese che nel XXI secolo prosegue nell'edificazione del socialismo indicando ad altri popoli del mondo la possibilità di un diverso ordine sociale.