Questione catalana e sinistra
Il referendum autoconvocato dalla Catalogna sulla questione dell’indipendenza evoca analogie e differenze con il caso scozzese. Una regione ricca chiede di separarsi per poter avere il controllo completo delle proprie risorse; il governo centrale di Madrid ha risposto però in modo molto diverso rispetto a quello di Londra, negando ogni spazio per un processo legale verso l’indipendenza (e reprimendo ovviamente il processo illegale).
A sinistra si sono avuti giudizi diversi sulla vicenda: per alcuni non vi è differenza tra il governo regionale di Barcellona e l’egoismo fiscale della Lega Nord; per altri la lotta contro Madrid può essere un grimaldello per rompere l’equilibrio costituzionale spagnolo e passare a uno Stato federale e repubblicano.
La crisi è spagnola non solo catalana
La richiesta di indipendenza dal regno di Spagna da parte di una maggioranza (o, fino a tempi recenti, forse non esattamente una maggioranza) della popolazione catalana ha motivazioni dirette o indirette non molto diverse da analoghi fenomeni altrove in Europa. Al fondo gioca l’intenzione di tenere per sé, essendo un territorio ricco, il più possibile delle proprie tasse. Giocano inoltre grandi differenze di storia, di cultura e di lingua. E gioca, molto pesantemente, la lunga non encomiabile storia della Spagna sul versante delle popolazioni di lingua non castigliana.
La Spagna e le autonomie regionali: il vero quesito dietro al voto referendario in Catalogna
In queste ultime settimane il dibattito politico europeo ha avuto, insieme alle elezioni federali in Germania, come argomento principale il referendum per l’indipendenza della Catalogna. Il Parlamento catalano e il leader Carles Puigdemont avevano annunciato lo scorso giugno il referendum, il secondo dopo il voto del 2014 considerato dal governo spagnolo come consultivo e non vincolante. Motivo per il quale anche la partecipazione dei catalani al voto era stata deficitaria (solamente il 35 % degli aventi diritto per il quale non fu raggiunto il quorum, 80 % dei votanti favorevole alla indipendenza della Catalogna). In realtà la contesa iniziò nel 2010, quando la Corte Costutizionale annullò la legge varata con un referendum dal governo di Zapatero che regolava i rapporti tra stato spagnolo e autonomia regionali.
Instabilità-bis, questa la fotografia che, per la seconda volta negli ultimi sei mesi, ci consegnano le elezioni spagnole. Per quanto concerne la Camera il Partito Popolare del premier Mariano Rajoy si rafforza, rispetto allo scorso dicembre, passando dal 28% (e 123 seggi) al 33% (e 137 deputati). Una marea blu appare sulla cartina spagnola: i popolari sono, infatti, primo partito dalla Galizia fino a Cadice e Granada.
Seconda forza politica i socialisti di Sanchez, che evitano il sorpasso di Unidos Podemos, e, con il 22,6%, ottengono 85 seggi (ne avevano conquistati 90 a dicembre).
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