Il nuovo governo di Mariano Rajoy dal 2011 non ha continuato il processo di riforma delle autonomie locali della Costituzione. La questione del rapporto tra autonomie regionali e stato centrale è fondamentale per comprendere la storia della Spagna e per studiare certi fenomeni quali il movimento per l’indipendenza dei Paesi Baschi e quello catalano. Si risale alla costituzione della monarchia spagnola con l’unione dei regni di Castiglia e di Navarra per comprendere la profondità di questa problematica. Per garantire l’autonomia regionale della Navarra vennero confermati e rivisti i codici medievali del 1258 dei Fueros, con i quali si garantiva l’autonomia della regione i riconoscimento reale di un corpo di leggi regionali che derivano da consuetudini e costumi locali. Vennero istituiti in seguito strutture amministrative sempre nella forma dei Fueros anche in Vizcaya, Guipùzkoa e Alava. Il Consiglio reale di Navarra, la Cortes, presieduta da un Viceré direttamente collegato alla corona spagnola, è l’unico consiglio reale al di fuori della Castiglia. Il meccanismo fondante dell’autonomia derivata dai Fueros era costituito dal diritto di sobrecarta, ovvero nel diritto delle istituzioni locali di respingere gli ordini o le leggi emanate dal Regno di Spagna. In questo modo le direttive reali dovevano conformarsi all’autonomia locale, che si riservava il diritto di adeguarle alla tradizione legislativa della provincia.
Questo sistema giuridico che ricalcava e rispettava le consuetudini locali attraverso la sua marcata impostazione autonomista influenzerà nei secoli successivi gran parte della letteratura nazionalista, che sottolineava il carattere indipendentista dei Fueros, considerandoli vere e proprie costituzioni storiche. Ma i Fueros furono aboliti nel corso delle cosìdette Guerre carliste nella seconda metà dell’Ottocento, lasciando un quesito importante per il secolo successivo sul rapporto tra autonomie regionali con forti identità e il governo centrale spagnolo. Il disastro del 1898 della Spagna durante la guerra ispano-americana trasformò la monarchia spagnola da residuale impero coloniale in una media potenza ormai interamente europea. In questo clima di sconfitta in Spagna avvengono molte trasformazioni ed emergono molto movimenti autonomi del regionalismo spagnolo, fino a quel momento ridotti a puri movimenti culturali, come ad esempio la trasformazione del movimento catalano che compie un decisivo salto qualitativo diventando un movimento nazionalistico in tutti i suoi aspetti. Si aprì una stagione di profondo dibattito politico interno tra partiti politici e movimenti come quello catalano e basco che portavano avanti le istanze di comunità che rivendicavano una propria identità nazionale rispetto a quella spagnola.
Occorre ricordare che il concetto di nazione e di stato non hanno lo stesso significato: la nazione è riconducibile a una lingua, cultura e storia comuni, mentre lo stato è un artificio giuridico di leggi, diritti e doveri che controlla una o più comunità nazionali. Numerosi nella storia sono i casi di stati il cui territorio comprende più gruppi nazionali, non etnograficamente omogenei. Il problema della Spagna fu quello di ricercare una formula di integrazione e di equilibrio tra regioni che esprimevano diverse identità. Anche caratteristiche economiche, sociali e culturali diverse. Il processo di industrializzazione aveva trasformato Paesi Baschi, Valencia e Catalogna nelle regioni più prospere della Spagna, già arricchite durante il periodo della colonizzazione grazie ai commerci e alle esportazioni. Regioni come Murcia, Castiglia, Estremadura erano le più fedeli alla corona spagnola e più rurali ed arretrate dal punto di vista industriale.
L’ascesa al potere del generale Primo de Rivera nel settembre del 1923 interrompe l’attività politica intorno alla ricerca della risoluzione di questo problema legato a una forma di federalizzazione della Spagno. L’Unìon Patrìotica di Primo de Rivera diviene per volere dello stesso dittatore l’unico partito del paese e viene emanato un decreto antiseparatista il 18 settembre nel quale i movimenti nazionali come quello catalano e basco vengono dichiarati illegali, insieme a tutte le organizzazioni politiche che lottano per l’autonomia regionale. Per la prima volta il separatismo viene condannato come reato. Una scelta accentratrice e profondamente autoritaria favorita dalla stessa monarchia spagnola, appoggiata dai proprietari terrieri aristocratici. È in questo periodo che mette le radici e inizia a crescere quel grande fenomeno autoritario e fortemente nazionalista identificato successivamente nel franchismo, con la presa al potere del generale Franco dopo la guerra civile spagnola. Questo conflitto, che ha fatto da preludio alla Seconda Guerra Mondiale, non è stato solamente ideologico e nutrito dalla forte contrapposizione tra ideali di ispirazione nazifascista e democratici o comunisti.
Senza sminuirne l’importanza, la guerra civile spagnola è stato anche la contrapposizione tra una idea di Spagna autoritaria e fortemente centralizzata, con la matrice castigliana e monarchica imposta a tutte le altre identità che convivono nello stato spagnolo, che invece premevano per una Spagna più federale, attenta alle esigenze delle varie regioni. La restaurazione democratica, la nuova Costituzione e la pacificazione dei Paesi Baschi non hanno ancora dato una risposta a un quesito ormai secolare sul rapporto tra lo stato spagnolo e le sue forti identità regionali. In questo periodo di recessione economica che la Spagna sta ancora in parte attraversando, come in tutti i momenti di crisi della sua storia, le differenze di una regione come la Catalogna si accentuano.
Una regione che conta un quarto delle esportazioni della Spagna, che incide fortemente sul PIL dello stato, che ha un tasso di occupazione maggiore e uno di disoccupazione minore rispetto alla media nazionale, che possiede alcune delle zone industriali più importanti del paese. Il netto rifiuto di Rajoy a questa consultazione referendaria non è altro che una strenua ricerca di consenso in un momento in cui il suo governo è da mesi sotto pressione, dalla rielezione a segretario del PSOE di Pedro Sànchez. La sua chiusura a un nuovo patto di governo con i popolari, distanza dall’esecutivo di larghe intese in carica e la ricerca di un asse con Podemos di Pablo Iglesias sono una dichiarazione di guerra politica. Oltre ovviamente a una chiara impronta nazionalista e centralistica del Partito Popolare spagnolo.
La questione vera non è tanto l’indipendenza e il fattore principale che ha mosso la grande protesta non solo catalana, ma nazionale, è la libertà dell’esercizio della democrazia. Nel campionato spagnolo di calcio, in queste ultime due settimane, abbiamo assistito in diversi stadi non solo catalani a una protesta pacifica sugli spalti. Molti cartelli del referendum sono stati agitati, scanditi dal coro “Votarem”. La libertà di scegliere autonomamente del proprio destino è sempre stato un forte desiderio delle tante comunità che vivono nella Spagna. La Guardia Civil che viene mobilitata contro le operazioni di voto ha rievocato i fantasmi di un passato ancora pressante nell’immaginario collettivo spagnolo. Una mossa intransigente e nazionalista di Rajoy dettata dal suo sfrenato leaderismo e dalla ricerca di consenso che, come abbiamo visto anche nel Regno Unito, è diventata una trappola politica pericolosissima. Se pochi mesi fa i catalani potevano non votare l’indipendenza, oggi il pronostico è molto incerto. Nonostante la protesta contro il governo sia incentrata sulla libertà dello svolgimento di questo referendum.
La Spagna non può continuare a ignorare la richiesta di maggiore autonomia non solo della Catalogna, ma anche dei Paesi Baschi e della regione di Valencia. Persino il monarca spagnolo Felipe ha aperto e auspicato un nuovo dibattito delle autonomie regionali. Deve essere intrapreso un processo di riforma federale dello stato spagnolo, senza per forza intaccare la sua natura monarchica e tradizionale. L’esempio del Belgio, monarchia federale suddivisa in tre regioni, può essere auspicabile per una situazione come quella spagnola. Cercando di superare la partigianeria tra Spagna e Catalogna indipendente, tenendo conto delle spinte di frammentazione che stanno attraversando non solo il continente europeo ma tutto il mondo, la vera questione riguarda il dibattito su un nuovo rapporto istituzionale tra lo stato centrale e le sue regioni.
La nascita di nuovi stati raramente è un processo pacifico e stabile, come la storia ci ha insegnato in più occasioni. L’ostruzionismo di Rajoy e dei popolari, allineatosi alla destra europea sempre più impregnata di propaganda nazionalista e sovranista, devono essere superati grazie a una protesta volta a riaprire il dialogo su una riforma federale della Spagna, chiuso ormai quasi un secolo fa. Sànchez e Iglesias insieme devono costruire una intesa politica ed elettorale, coinvolgendo i soggetti autonomisti catalani e delle altre regioni, per portare avanti questo processo di riforma federale. Un processo il quale deve essere favorito dalla stessa Unione Europea, che giustamente deve preservare l’autorità e l’integrità dello stato spagnolo ma andando incontro alle istanze democratiche e di rispetto delle autonomie regionali che sono alla base della stesso grande sogno condiviso di una Europa sempre più unita. Con la speranza che questa domenica non si trasformi in una maledetta sanguinosa domenica come altre ne abbiamo vissute nella storia contemporanea europea.