Firmato ad Atlanta, negli Stati Uniti, lo scorso 5 ottobre, l'accordo quadro del Trans-Pacific Partnership Agreement (TTP). L'accordo di libero scambio interessa alcune delle più importanti economie che si affacciano sull'Oceano Pacifico (su tutte: Stati Uniti, Giappone, Vietnam, Perù, Australia) e che rappresentano il 40% del PIL mondiale.
Soddisfazione è stata espressa dal viceministro allo Sviluppo Economico italiano Carlo Calenda, intervistato da Il Sole 24 ore di martedì, per il quale la firma dell'accordo per l'area del Pacifico faciliterà quella del suo gemello euro-americano TTIP.
L'accordo dovrà ora essere approvato dai parlamenti nazionali. Scontata l'approvazione da parte della Dieta del Giappone, meno quella del Congresso statunitense.
La storia coloniale del Giappone rimane tema di quotidiano dibattito politico: l'ultima vicenda in ordine di tempo riguarda la revisione del comunicato di Kono (all'epoca Segretario generale del Gabinetto, una posizione simile al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in Italia) del 1993 nel quale si riconosceva ufficialmente la schiavitù delle cosiddette comfort women.
A richiedere la revisione del comunicato Hiroshi Yamada, parlamentare del Partito della Restaurazione del Giappone. Il premier Abe ha espresso “gratitudine” per questa richiesta. Forte opposizione è stata manifestata dal Partito Comunista tramite il parlamentare Kenji Kokuta.
Alcune clausole del Trattato di Libero Commercio Trans-Pacifico (TPP la sigla in inglese) sarebbero in conflitto con la Costituzione giapponese: a segnalarlo un gruppo di avvocati capeggiati dall'ex presidente della Federazione delle Associazioni Forensi Kenji Utsunomiya e dall'avvocato Kouji Iwatsukui, i due giuristi hanno affermato che la clausola sulle dispute tra Stato ed investitori mina le leggi nazionali a tutela dei consumatori, violerebbe l'articolo 76 della carta costituzionale che tutela l'indipendenza dei giudici nonché l'articolo 41 che attribuisce unicamente alla Dieta il potere legislativo.
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