Pillole dal Giappone #257 – Intenso lavoro diplomatico all'Assemblea ONU
Una situazione demografica particolarmente compromessa: è quanto emerge scavando nel dettaglio all'interno dell'ultimo censimento diffuso lo scorso 13 luglio. La popolazione dai 15 anni in su (quasi 111 milioni di persone) che lavora è pari 66.213.000 unità mentre coloro che non lavorano sono 44.763.000 (di questi appena 6.487.000 sono studenti).
Un dato positivo riguarda l'occupazione femminile nella fascia tra i 25 ed i 39 anni: qui il tasso di partecipazione al lavoro è del 75,7% con un aumento del 5,9% rispetto al 2012.
L'Italia può farcela. Equità, flessibilità e democrazia. Strategie per vivere la globalizzazione di Alberto Bagnai, edizioni Il saggiatore
Nel mirino del fuoco di Bagnai finisce tutta la politica europeista dell’ultimo quarto di secolo e anche più. La demolizione dell’attuale situazione socio-politica viene portata sufficientemente a fondo e spinta al punto di rottura. Quello di Bagnai è un vero e proprio attacco al blocco sociale che continua a sostenere l’immobilismo politico. La cosa più curiosa è che tale colpo venga inferto da un economista keynesiano, eterodosso e anti-euro, inquadrato come capofila di un fronte sovranista e nazionalista foriero di venti reazionari. Sembra scontato dire che una politica deflazionistica stia alla base di ulteriore disoccupazione, meno scontato è individuare il perché questa politica abbia ricevuto un convinto consenso da parte di larghe fette della popolazione. Eppure se si pensa all’innalzamento dell’età media in Italia si capisce che una larga fetta dei pensionati legati alle organizzazioni sindacali, di categoria e di partito hanno respinto le politiche inflazionistiche per garantire se stessi e i propri crediti. Purtroppo la difesa del potere d’acquisto delle pensioni con politiche deflazionistiche è un vicolo cieco, minando l’occupazione che regge la base di ogni sistema previdenziale.
Crisi in Venezuela: che destino per la rivoluzione bolivariana?
Il governo venezuelano di Maduro in questi ultimi mesi si trova di fronte a una grave crisi di consenso che tuttavia andrebbe indagata a fondo per capirne le reali cause. Se da un lato vi sono stati errori strategici di gestione della rivoluzione, già chiaramente riconoscibili nell'ultimo periodo di governo Chavez, oggi siamo di fronte alla stretta finale di ciò che resta della rivoluzione bolivariana.
La borghesia compradora ancora fortissima in un paese dal passato coloniale così importante è tornata a sferrare il suo attacco nel momento di maggior fragilità e isolamento del Venezuela incamminato sulla strada del Socialismo del XXI secolo. Non ci sono più né Fidel Castro né Hugo Chavez e il contesto internazionale, con l'imperialismo di Trump scatenato, appare propizio.
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