Nonostante sia Ferragosto, nonostante con le riforme costituzionali cerchino di far parlare di tutt'altro, alle volte gli scappa proprio. Un po' perché i dati parlano di un'Italia nuovamente in recessione, un po' perché Alfano, con i degni compari, si è sentito un po' messo da parte ed ha ritirato quindi fuori la storia dell'articolo 18 che, secondo Sacconi, “inibisce la propensione ad assumere”.
Un ufficio scolastico territoriale - quelli che un tempo in maniera altisonante si chiamavano “provveditorati agli studi”- di una città di provincia, di quelle ricche e rosse oltre l'appennino. Pomeriggio tranquillo con solo qualche schizzo di pioggia e l'immancabile funzionario di polizia a far da compagnia ai circa trenta docenti riunitisi davanti i cancelli dell'edificio che ospita la locale legazione del MIUR.
Le motivazioni della mobilitazione sono apparentemente incomprensibili, e ognuno che abbia – a qualsiasi titolo – incrociato il lavoro, onorevole e frustrante, dei precari della scuola non potrà che convenire che alcune cose possono capitare solo quando lo Stato smette di garantire il bene comune, abbracciando il ruolo di opportuno miscelatore di interessi e di poteri.
Nella maggior parte dei casi quando si parla di “lavoratori precari”, l’immagine che viene subito alla mente è quella dei tanti ragazzi e ragazze impiegati nei call-center per conto delle grandi aziende, costretti a turni estenuanti e ad un lavoro monotono e frustante. In verità quella appena descritta è solo una delle realtà che costituisce l’universo dei cosiddetti lavori precari che, seppur rilevante, non esaurisce di certo la fin troppo vasta tipologia di impieghi di questo genere, con cui sono costretti a scontrarsi i ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro.
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