Domenica, 17 Agosto 2014 00:00

Per cinquecento euro al mese

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Nonostante sia Ferragosto, nonostante con le riforme costituzionali cerchino di far parlare di tutt'altro, alle volte gli scappa proprio. Un po' perché i dati parlano di un'Italia nuovamente in recessione, un po' perché Alfano, con i degni compari, si è sentito un po' messo da parte ed ha ritirato quindi fuori la storia dell'articolo 18 che, secondo Sacconi, “inibisce la propensione ad assumere”.

Resta il fatto che si torna sempre lì, al lavoro. E questo governo, che davvero si sforza tanto, ma davvero tanto di piacere, di essere “giovane” e vicino alla gente (vedi gli ottanta euro, che poi non abbiano spostato di una virgola i consumi delle famiglie italiane è un altro par di maniche), di certo non può ignorare l'argomento. Ciò che lascia sgomenti (e uso parole buone) è che ancora, dopo anni, si continui a parlare di flessibilità, di un mercato che avrebbe tanto posto per accogliere giovani competenti e preparati ma che, capiamolo, ha bisogno che le tutele e i diritti vengano ridotti.

Ed ecco che arriva il caso emblematico che, assieme ad un gran giramento di scatole, mi ha fatto venire anche le parole per questa riflessione. Giusto qualche giorno fa è apparso sui social network lo sfogo di un graphic designer che, dopo un colloquio avuto con la Repubblica, rende pubblica l'offerta di lavoro ricevuta: un contratto per due mesi da 500 euro al mese per 9 ore di lavoro al giorno. Conti alla mano, circa 2 euro l'ora. Offerta di lavoro ovviamente rifiutata.

Come se non bastasse, non si è fatta attendere la risposta di Vittorio Zucconi, direttore dell'edizione web di Repubblica, il quale ha affermato con un tweet: “Sdegno per la misera paga offerta al graphic designer. Giusto, gli altri giornali e siti, di carta o on line, invece quanto avevano offerto?

Quindi, certo, il mondo del lavoro fa schifo, le prospettive per chi ha studiato decenni e ora cerca di trovare quella stabilità lavorativa che gli permetta di iniziare una vita indipendente fanno un po' schifo ma cosa ci può fare Vittorio Zucconi? Cosa può farci Repubblica, che nonostante tutto continua a fregiarsi dell'appellativo di “maggior quotidiano italiano”, titolo conquistato per la resistenza al berlusconismo e gli attacchi sferrati a quel birbone di Silvio (qualcuno, in mala fede eh, potrebbe anche parlare di ossessione per celare altro)? Repubblica che prima da Monti, passando per Letta ed arrivando a Renzi, non ha mancato di mostrare il proprio appoggio al governo, quale che fosse la situazione, a prescindere dal buono o dal cattivo tempo. Repubblica che, e qui tutto torna, implicitamente assume il ragionamento di chi dice che, sotto sotto, se oggi i trentenni non trovano lavoro la colpa è loro che non sono abbastanza flessibili.

Non sono abbastanza flessibili da saper campare con 500 euro al mese, non sono così flessibili da potersi permettere di lavorare 50 o più ore a settimana, non sono così flessibili da riuscire a vivere cambiando lavoro ogni novanta giorni. Il vero problema è che questa logica oramai è stata fatta propria da ampi settori della società. Non solo da chi oramai lavora da una vita, magari ha anche la piccola azienda (o la aveva ma l'ha persa con la crisi) ed è convinto che, come si è rimboccato le maniche lui, lo stesso debbano fare gli sfaticati di oggi, ma dagli stessi ragazzi che oramai, a forza di sentirsi dire che “è colpa della crisi”, non sono mai riusciti ad immaginare un futuro diverso. E se nessuno ti viene a dire che in realtà un tempo un mondo diverso è esistito, un tempo dove il lavoro più o meno si trovava ed era una lavoro vero, con tanto di contributi, malattia e ferie pagate, tu quel mondo di certo non te lo immagini. Ed è così che nascono le discussioni tra coetanei (giuro che mi ci sono imbattuta) sul come si debba accettare tutto perché di meglio non c'è. E non solo devi accettare tutto, a prescindere da quanto tu abbia studiato, ma devi anche ringraziare, perché se non era per quei 300 euro al mese magnanimamente elargiti, tu avresti avuto entrate zero.

Seguendo il ragionamento, quindi, se il lavoro non è più un diritto ma diventa uno stato di grazia concesso, che senso ha continuare a discutere di articolo 18? O almeno, per coloro che, da residui di quella cosa, così brutta agli occhi del governo, che chiamiamo Novecento, ancora conservano un lavoro a tempo indeterminato può avere senso. Per tutti gli altri, non ha senso. Quelli che hanno studiato per lavorare in un ospedale e ora si ritrovano una partita IVA, quelli che hanno seguito la passione dell'informatica pensando che grazie a questa avrebbero inseguito il futuro e ora invece si sentono offrire compensi da fame perché ci sarà sempre qualcuno che il tuo lavoro lo fa per meno, quelli che avrebbero avuto trasmettere ad altri le proprie passioni attraverso l'insegnamento ma si son ritrovati ad avere a che fare con concorsi scolastici che sembrano barzellette, ecco, questi l'articolo 18 non se lo riescono nemmeno ad immaginare.

E, se permettere, la colpa è anche un po' di quelli come Vittorio Zucconi.

Immagine tratta da: www.danordasudparliamone.wordpress.com

Ultima modifica il Sabato, 16 Agosto 2014 22:09
Diletta Gasparo

"E ci spezziamo ancora le ossa per amore
un amore disperato per tutta questa farsa
insieme nel paese che sembra una scarpa"

Cit.

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