Martedì, 23 Luglio 2013 00:00

La tortura medievale dei praticanti avvocati

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Nella maggior parte dei casi quando si parla di “lavoratori precari”, l’immagine che viene subito alla mente è quella dei tanti ragazzi e ragazze impiegati nei call-center per conto delle grandi aziende, costretti a turni estenuanti e ad un lavoro monotono e frustante. In verità quella appena descritta è solo una delle realtà che costituisce l’universo dei cosiddetti lavori precari che, seppur rilevante, non esaurisce di certo la fin troppo vasta tipologia di impieghi di questo genere, con cui sono costretti a scontrarsi i ragazzi che si affacciano sul mondo del lavoro.

In particolare vi è una categoria su cui non si accendono spesso i riflettori, complice anche una totale mancanza di coesione ed una soccombenza verso chi già è iscritto all’albo e detta le regole del gioco, ma che si compone di circa l’80% di studenti che conseguono una Laurea in Giurisprudenza. Stiamo parlando dei praticanti avvocati.

Sul punto è necessario partire dall’ultima Riforma Forense approvata prima di Natale 2012 la quale, tralasciando le novità per chi già è Avvocato, si è rivolta con alcune norme anche ai praticanti.

In questa sede non ci si vuole soffermare su quelle che sono state le modifiche all’esame di stato, volte in ogni caso a rendere più ostico e difficoltoso l’accesso alla professione e ancora più complicato un esame che già adesso sembra più vicino ad una “tortura medievale” che ad una abilitazione. Quello che qui interessa descrivere è cosa significa svolgere, all’interno di uno studio legale privato, la pratica professionale oggi.

La predetta riforma forense stabilisce alcune novità, in particolare: la durata del tirocinio è ridotta da 24 a 18 mesi; il compenso per i giovani tirocinanti non è obbligatorio e scatta solo dopo i primi 6 mesi di pratica negli studi; pieno rimborso delle spese sostenute per conto dello studio; tenere conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio da parte dei giovani. In base a quanto stabilito dalla riforma quindi, “il tirocinio professionale non determina di diritto l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale”. Da ciò consegue che non è previsto alcun compenso obbligatorio per i praticanti, salvo, almeno per quanto riguarda gli studi legali privati, il rimborso delle spese sostenute per conto dello studio presso il quale svolge il tirocinio. La corresponsione di un compenso per i praticanti, pertanto, può essere disposto discrezionalmente dal dominus.

Infatti, decorso il primo semestre, possono essere riconosciuti al praticante, con apposito contratto, un’indennità o un compenso per l’attività svolta per conto dello studio, commisurati all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni e tenuto conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio da parte del praticante stesso.

Queste novità creano non poche perplessità. Uno studio legale che volesse pagare il proprio praticante nei primi sei mesi di pratica potrebbe farlo o dovrebbe in ogni caso aspettare il decorso di tale termine? Cosa comporta il riferimento all’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio da parte dei giovani? Si intende che al praticante andranno addebitate le telefonate oppure parte del costo delle bolletta per il riscaldamento invernale? Al di là di queste riflessioni, restano delle mancanze e delle lacune che neanche la riforma ha colmato, anzi. Chi inizia a fare pratica si ritrova per tutta la sua durata sbattuto in un limbo in cui non si ha alcuna certezza.

Ogni giorno si svolge un lavoro all’interno dello studio, giorno dopo giorno si acquisiscono abilità e competenze, ed il lavoro stesso diventa più complesso. Tutto questo di contro non corrisponde ad un riconoscimento economico, né molto spesso, ad un riconoscimento umano. Il praticante si trova semplicemente a svolgere la professione per cui ha studiato ed investito tempo e denaro, ma allo stesso tempo, non vede davanti a sé una strada certa né tantomeno un traguardo da tagliare. Quello che rimane, sicuramente troppo spesso, è solo la comodità per uno studio legale di avere forza lavoro a costo zero da poter utilizzare per ogni possibile esigenza. La mancanza di una retribuzione certa e di una certezza economica inoltre impedisce ai giovani praticanti qualsiasi progetto di vita o comunque il raggiungimento di una tranquillità personale, dovendo molto spesso rimanere a carico dei propri genitori ben oltre il voluto e quindi minando anche la dignità di tanti ragazzi. Sicuramente la nuova riforma forense ha perso l’occasione di effettuare un cambiamento di rotta rispetto al quadro sopradescritto, o forse più semplicemente non vi è mai stata la volontà politica di farlo. In fondo, perché in un parlamento in cui gli Avvocati siedono in modo più che cospicuo, si sarebbe dovuto prestare attenzione o modificare uno status quo di cui loro stessi traggono tutti i vantaggi.

Ultima modifica il Lunedì, 22 Luglio 2013 12:14
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