Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al "tema della settimana". Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.
Elezioni statunitensi: declino e stallo? (A dieci mani)
I morti dei quali periodicamente parlano i telegiornali e le micro-rivolte (dalla provincia di Ferrara a via XX Settembre a Genova) sono due facce di un problema, quello delle migrazioni (per fame o per guerra) con le quali chi ha avuto la fortuna di nascere in questa parte di mondo deve confrontarsi oggi e dovrà farlo ancora per i prossimi decenni.
Vogliamo provare, questa settimana, ad affrontare razionalmente il tema rifuggendo da narrazioni che, tutte, sembrano mostrare ipocrisia ed inefficacia alla prova pratica.
Elezioni statunitensi: declino e stallo? (A dieci mani)
Quando ci si riferisce agli Stati Uniti lo si fa spesso in termini altisonanti quali “la più longeva democrazia del mondo”, la quale troverebbe le ragioni della sua sopravvivenza proprio nella sua capacità di autorigenerarsi spontaneamente con la sola forza della dialettica.
Questa narrazione si scontra con tutte le analisi di coloro che hanno intravisto una decadenza dell’Impero americano che, come ogni altro impero del passato, è destinato a fare il proprio tempo, lasciando spazio a nuove potenze. Le ultime elezioni presidenziali del post-Obama sono un esempio della difficoltà di questo impero nell’esercitare le proprie capacità di autorigenerazione. La crisi economica e sociale ininterrotta, riducendo all’osso i margini di scelta elettorale, ha messo in crisi intellettuale anche il fior fiore della cultura antagonista. Gli esempi portati da un Noam Chomsky adeguatosi al voto per Hillary Rodham Clinton come voto antifascista e di Slavoj Žižek che in una delle sue celebri giravolte postmoderniste è riuscito ad appoggiare Trump, potrebbero essere sintomatici di uno stallo nel pensiero occidentale che, anche nei suoi elementi più radicali, fatica a metabolizzare l’idea di un’effettiva lacuna democratica nel paese che continua a costituire il riferimento culturale imprescindibile.
Costi della politica: tra retorica e riforme (a dieci mani)
Il tema dei costi della politica tiene banco in Italia da ormai dieci anni e di recente è stato ulteriormente rilanciato, da più parti dello schieramento, sia riguardo la riforma della Costituzione sia riguardo una proposta di modifica alle indennità dei deputati. In altri settori che coprono fondamentali bisogni dello Stato o della società (l’esercito, l’istruzione, la sanità, la magistratura, la polizia) il tema della spesa pubblica è affrontato diversamente: in alcuni casi si avverte il bisogno di aumentarla; in altri i governi procedono a tagli, sì, ma presentandoli sotto la buona luce della razionalizzazione degli sprechi; in molti casi, ancora, i cittadini lamentano gli eccessivi tagli di spesa come abbandono da parte dello Stato. Soltanto per l’attività politica appare ancora molto lontana la concezione che essa pure è un bisogno sociale su cui investire risorse.
Democrazia o mercato: dilemma europeo (a dieci mani)
Non è un periodo fortunato per i trattati transnazionali del commercio. Il TTIP (tra Unione Europea e Stati Uniti d’America) ha visto naufragare il confronto tra le parti per l’opposizione di molti governi nazionali, probabilmente in seguito alle pressioni delle opinioni pubbliche di molti paesi (tra cui quelle di Francia e Germania). Le trattative per il CETA (tra UE e Canada) parevano essere ormai concluse, ma l’opposizione della Vallonia ostacola la firma del Belgio (tutti e 28 gli stati membri dell’UE devono ratificare gli accordi). Sul Sole 24 Ore sono usciti articoli (qui e qui) che esplicitamente affrontano il tema della democrazia come ostacolo al progresso economico (la Brexit è il richiamo più immediato, ma anche i referendum della Grecia non sono così distanti nel tempo).
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