Se l'impianto politico del partito che nascerà appare più o meno delineato, e più o meno delineati saranno i protagonisti materiali della sua realizzazione, rimangono sul tavolo alcuni nodi che la ristrettezza degli spazi che a sinistra sono rimasti impone di risolvere. In primo luogo, il come rapportarsi con quanti hanno scelto di non entrare a far parte di Sinistra Italiana (o come il congresso di dicembre deciderà dovrà chiamarsi il nuovo partito).
Su questo tema la linea portata avanti da SEL e dagli altri appartenenti al gruppo parlamentare è stata espressa con chiarezza cristallina: “si al partito no agli accrocchi”, è stato proprio questo il termine usato dal coordinatore Fratoianni.
Se la chiarezza in politica è un merito (e lo è), e se è vero (e lo è) che tentativi di accordi pattizi tra le formazioni esistenti sono tutti naufragati - e tutti sul terreno dell'altro, del PD (in parole povere: se allearsi o meno, segno di una subalternità tra le più pure, sia che la risposta sia sì, sia che sia no) - il tema del come rapportarsi con chi è rimasto fuori dalla porta (Possibile, ciò che resta del PRC ed il Pdci, quest'ultimo a sua volta intento a coagulare, ma su una cultura politica diversa da quella di Diliberto, altri pezzi di sinistra comunista) rimane. Rimane in primo luogo perchè, per quanto il nuovo soggetto sarà comunque innegabilmente più robusto di quanto gli starà, e sta, intorno, esso ha bisogno, in termini assoluti e non percentuali, di poter contare, almeno nell'immediato su altre forze (a meno di non avere una capacità di azzeramento per attrazione degli altri soggetti, cosa in linea ipotetica possibile).
L'altro rischio che il nuovo soggetto sta già correndo, prima ancora di nascere, riguarda la solidarietà (e solidità) interna: anche qui oggetto del contendere è il posizionamento elettorale. Vicende come quelle di Milano e Bologna, che vedono linee di frattura che daranno luogo a liste diverse e tra loro contapposte, rischiano di ripetersi, e di provocare nuove fuoriuscite, anche a livelli più alti.
Sono vicende, queste, che indicano la necessità di come, prima ancora di far nascere una grande sinistra, far convivere quella piccola (anche all'interno dello stesso partito). Se a sinistra infatti, non vi sarà la capacità di comprendere che, già da diversi anni, i numeri non danno più la possibilità di uscire indenni (nessuno, né chi compie la scelta vincente né chi quella perdente) da tali fratture, se non vi saranno meccanismi di riconoscimento interno tali da far accettare lealmente a chi si è ritrovato in minoranza le decisioni della maggioranza (che debbono essere democratiche, e per quanto possibile di sintesi e non sotto forma di imposizioni) nessun passo in avanti nella costruzione di un partito dei lavoratori con aspirazioni egemoniche sarà possibile.