Giornalismo di analisi, ergo terrorismo neoliberista
Davvero impressionante l’articolo di prima pagina “L’analisi – Il confine dello 0,9%” su la Repubblica di pochi giorni fa a firma di Claudio Tito. Riassumo: il fatto che Lega e Movimento 5 Stelle si rifacciano pubblicamente alla possibilità di portare il deficit italiano al 3% (la Lega a ciò aggiunge che, se ritenuto necessario, si potrebbe anche andare oltre), allo scopo di realizzare determinati obiettivi di tipo economico e sociale automaticamente renderebbe queste forze politiche “irresponsabili”.
Il risultato elettorale: ha vinto l'altra nazione?
«Ha vinto il partito dell’altra nazione»
- Claudio Cerasa, 5 marzo, 00:29
Il risultato elettorale del 4 marzo è non soltanto tellurico ma, ancor di più, incomprensibile a prima vista.
Viene duramente punita la coalizione di governo, che si attesta al 23%, mentre sono premiate le forze di opposizione e, tra queste, quelle più antisistema (M5S 33%, Lega 17%).
Dopo il voto
I dati ci danno l’esatta immagine del paese. Basterebbero quindi i numeri per comprendere la volontà del popolo italiano.
Potrebbe accadere – scenari post elettorali
A pochi giorni dal voto è realistico ipotizzare che nessuno degli schieramenti politici attuali disporrà della maggioranza parlamentare, ed è realistico ipotizzare che quindi avrà luogo, in un modo o nell’altro, un’intesa di governo tra PD renziano e suoi alleati di destra (Lorenzin, Bonino, ecc.) da una parte e dall’altra Forza Italia e suoi alleati di centro, dato che tale intesa ragionevolmente disporrà di tale maggioranza.
Verso la conclusione della campagna elettorale: considerazioni sulla situazione
Si chiude la stagione dei sondaggi, mentre la campagna elettorale entra nelle ultime settimane. Se si vuole credere alle rilevazioni e all'opinione di commentatori e politici in vena di sincerità ci si avvia – complice la crisi che sembra stia vivendo il Partito Democratico e l'ingombrante presenza del M5S – verso una situazione di stallo, con nessuno dei tre poli principali in grado di conquistare una maggioranza di seggi nei due rami del Parlamento, e quindi o verso grandi coalizioni, che però potrebbero scontrarsi contro i numeri, o verso inevitabili nuove elezioni.
Il burocrate nero: il fallimento della politica sull’immigrazione del ministro Minniti
In queste ultime settimane di campagna elettorale, Matteo Renzi sta facendo girare come una trottola per l’intera penisola Marco Minniti, per sfoggiare i suoi risultati di Ministro dell’interno del governo Gentiloni. Applicando delle politiche e una chiara strategia voluta dal segretario nazionale del PD per trattenere l’elettorato di destra che, con la rinascita di Berlusconi e Forza Italia, sta tornando alla sua tradizionale collocazione dopo alcuni anni: uno dei tanti flussi elettorali che stanno fuoriuscendo dal Partito Democratico da tutte le direzioni politiche, la cui quantità sarà misurabile solamente dopo il voto. Dopo aver posizionato pedine (al momento) fedeli nei Collegi per reggere l’urto di una possibile sconfitta e schiacciare una minoranza infuriata, Renzi utilizza la ricetta Minniti contro l’incalzante quanto fomentato malcontento della popolazione italiana verso i rifugiati e migranti. Una ricetta basata su due pilastri fondamentali: il decreto sicurezza Minniti-Orlando (l’inserimento del nome del guardasigilli è una chiara mossa politica) e il Minniti Compact sull’immigrazione.
False notizie, libertà di informazione ed elezioni
Tra le domande del sondaggio Facebook in cui può capitare una persona iscritta al social network, in questi giorni, c'è anche quella legata a quanto si ritiene affidabile la qualità delle informazioni che vi si trovano.
Mark Zuckerberg si affida (almeno nelle dichiarazioni) agli utenti per avviare un meccanismo di selezione delle fonti web per le notizie, dopo aver già dato priorità alle relazioni familiari e amicali. Il grande clamore suscitato da queste scelte contribuisce a percepire Facebook come il principale luogo in cui il cittadino occidentale mediamente forma le proprie opinioni. Così non è, nonostante Ministero dell'Interno e Polizia di stato abbiano contribuito a questa idea diffusa nell'opinione pubblica. A poche settimane dal voto è stato presentato un sistema che permetterà la segnalazione di false notizie sul web alle forze dell'ordine.
Nella serata di venerdì 12 gennaio scorso l’assemblea lombarda degli aderenti a Libere/i e Uguali ha votato quasi all’unanimità (notabene) in quel di Cinisello Balsamo una partecipazione alle elezioni regionali separata dal PD. Molto opportunamente nei giorni precedenti erano venute meno le pressioni dal lato nazionale orientate invece all’accordo, ovviamente sulla base di una convergenza dei programmi. Tra i motivi dell’unanimità c’è stato anche, palesemente, il fastidio di compagne e compagni per il modo di queste pressioni, avendo esse sistematicamente evitato un confronto aperto a Milano o altrove in Lombardia tra figure nazionali e l’assemblea degli iscritti lombardi, o i loro delegati, benché continuamente da essi sollecitato. Non è vero quel che scrive il quotidiano del PD renziano e liberal-liberista la Repubblica, che dal lato nazionale non siano state assunte rivolte critiche e sollecitazioni ai lombardi, dato il loro evidente rifiuto dell’alleanza con Gori: tutt’altro. Accenno a tutto questo non per motivi polemici, oggi non solo inutili ma suscettibili di immettere code sgradevoli nel terreno più che necessario del riconsolidamento di reciproci rapporti di fiducia: ma perché è necessaria una discussione su cosa debba validamente comportare il ruolo dirigente. Nessuno, che io sappia, in Lombardia intende contestare quello attuale: anzi richiede che esso sia effettivamente dirigente, nei modi di esercizio di tale ruolo, inoltre perché allargato a quadri locali, a giovani, a donne, a figure di lavoratori dipendenti, ecc. È chiaro che tra i difetti che abbiamo vissuto c’è che il gruppo dirigente è tuttora, sostanzialmente, maschile e costituito da parlamentari.
Il Partito Radicale e il suo ruolo nella politica italiana
Nato nel 1956 da una scissione interna al Partito Liberale Italiano, il Partito Radicale si è assiduamente impegnato nella promozione e nella lotta per affermare i diritti civili e politici in una Italia percepita come tradizionalista, conservatrice ed eccessivamente legata all'influenza della Chiesa Cattolica e alla sua gerarchia clericale. Unendo a una concezione liberale e liberista una forte propensione libertaria e antiautoritaria, i Radicali, nei loro oltre sessanta anni di attività, pur non godendo di una grande forza elettorale, hanno però molto spesso avuto un certo peso e una discreta attenzione mediatica quando si è trattato di combattere le loro numerose battaglie politiche che hanno spaziato dall'aborto, al divorzio, all'eutanasia, all'antiproibizionismo, alle libertà sessuali, al problema del sovraffollamento delle carceri, senza rinunciare a impegnarsi entro una più ampia dimensione internazionale.
Sull'affossamento dello ius soli
A 70 anni dall'entrata in vigore della Costituzione ci troviamo di fronte alla fine della XVII legislatura, a parere unanime di molti opinionisti di destra e di sinistra una delle peggiori se non la peggiore in assoluto.
Una legislatura iniziata con la celebre sentenza della Corte Costituzionale che dichiarò le Camere legittime soltanto per mantenere la “continuità dello Stato”. La ragion democratica avrebbe richiesto di procedere al voto seguendo il sistema elettorale che era venuto fuori dalla pronuncia.
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