Domenica, 11 Febbraio 2018 00:00

Il burocrate nero: il fallimento della politica sull'immigrazione del ministro Minniti

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Il burocrate nero: il fallimento della politica sull’immigrazione del ministro Minniti

In queste ultime settimane di campagna elettorale, Matteo Renzi sta facendo girare come una trottola per l’intera penisola Marco Minniti, per sfoggiare i suoi risultati di Ministro dell’interno del governo Gentiloni. Applicando delle politiche e una chiara strategia voluta dal segretario nazionale del PD per trattenere l’elettorato di destra che, con la rinascita di Berlusconi e Forza Italia, sta tornando alla sua tradizionale collocazione dopo alcuni anni: uno dei tanti flussi elettorali che stanno fuoriuscendo dal Partito Democratico da tutte le direzioni politiche, la cui quantità sarà misurabile solamente dopo il voto. Dopo aver posizionato pedine (al momento) fedeli nei Collegi per reggere l’urto di una possibile sconfitta e schiacciare una minoranza infuriata, Renzi utilizza la ricetta Minniti contro l’incalzante quanto fomentato malcontento della popolazione italiana verso i rifugiati e migranti. Una ricetta basata su due pilastri fondamentali: il decreto sicurezza Minniti-Orlando (l’inserimento del nome del guardasigilli è una chiara mossa politica) e il Minniti Compact sull’immigrazione.

Fa sorridere che un ex uomo di fiducia di Massimo D’Alema sia adesso una delle principali barriere di Matteo Renzi contro un possibile urto elettorale e una delle sue maggiori figure di spicco all’interno del partito. Marco Minniti, figlio di un generale, ex sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio nei Governi D’Alema I e II, sottosegretario al Ministero della Difesa del Governo Amato, Viceministro dell’Interno con Prodi, delega ai Servizi Segreti come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Letta, è l’ultima evoluzione del burocrate. Una carriera politica nata nella FGCI calabrese, proseguita nel PDS, poi DS e nel Partito Democratico. Uno dei tanti dannosi e pericolosi discepoli di D’Alema, Minniti è un ex comunista che ha abbandonato i panni dell’uomo di sinistra per trasformarsi in un burocrate governativo la cui principale missione politica è il mantenimento e controllo del potere. Guardando in giro per l’Europa esempi di ex comunisti e uomini di partito trasformati in burocrati di potere, un brivido corre lungo la schiena. Senza scomodare figure come Slodoban Milosevic, Franjo Tudiman, Vladimir Putin o altri ex ferrei dirigenti comunisti dei maggiori partiti dell’Europa Orientale, basta andarsi a leggere la triste storia politica di alcuni ex comunisti italiani nati e cresciuti nel PCI. La conversione di Bertinotti alla maggiore setta cattolica italiana è solamente un esempio.

Il piano di Minniti per fronteggiare l’emergenza migranti in Libia è un sistema repressivo e di contenimento che ha effetti sul breve periodo, un cartello elettorale dai pesanti costi umanitari e una soluzione proposta all’Unione Europea per risolvere il problema con pochi costi. Dopo anni di battaglie contro i CIE, a cui aveva partecipato in passato anche il Partito Democratico, questi centri perdono la loro denominazione ma non la loro funzione: vengono solamente ridotti come dimensioni e aumentati di numero sul territorio nazionale. Inoltre vi è un piano di finanziamento ai comuni libici per il controllo dei centri in Libia, che è in realtà un accordo con chi controlla l’intero sistema dei flussi legale o illegale. La Marina libica è autorizzata a intercettare ma non a soccorrere i barconi presenti nelle acque di loro competenza, su segnalazione spesso della Guardia Costiera italiana. Vengono in teoria portati in centri di detenzione in Libia, assolutamente definiti come detenuti legali. A questo piano di controllo, vi è una parallela campagna portata avanti contro le ONG che operano nel Mediterraneo. La cosa più clamorosa dell’intero pacchetto Minniti su sicurezza e immigrazione, è che la legge Bossi-Fini rimane quasi del tutto intatta, insieme alle sue contraddizioni e ai suoi enormi problemi logistici legati ai nuovi centri per l’immigrazione (CIE 2.0) e al sistema di rimpatrio. Un sistema quello di Minniti che prosegue sulla stessa linea fallimentare della chiusura delle frontiere, degli accordi informali, della continua collusione tra legalità e illegalità a causa dei taciti accordi con i trafficanti e di chi guadagna su questo sistema detentivo.

Questa politica è anche il tacito fallimento del Migration Compact del governo Renzi e portato avanti da Carlo Calenda: la promozione di investimenti e relazioni con i paesi dell’Africa subsahariana, che sono diventati premi economici in cambio del controllo dei flussi migratori e l’addestramento della polizia di frontiera di questi paesi che blocca nel deserto, senza acqua e viveri, i migranti in viaggio verso la Libia. In particolare risulta fallimentare il piano di aiuti e patto per la stabilità italiano nel sud dello stato libico, nella regione del Fezzan. Luogo cruciale del paese sia come crocevia dei flussi migratori attraverso il deserto, sia per il suo ruolo strategico per la stabilità del paese e le sue risorse naturali. Di fatto il piano di cooperazione Italia-Libia avanza con difficoltà e dagli organismi internazionali arrivano condanne per la complicità con chi viola i diritti umani. Più che fondi per la sicurezza e la repressione, buoni per coprire il vuoto politico e diplomatico, servono risorse per lo sviluppo. Si rischia infatti di dare denaro a chi traffica con le vite, offrendogli la possibilità di giocare la partita del ricatto: il calo del 32 per cento degli sbarchi, sottolineato da Minniti, potrebbe infatti capovolgersi in vista delle elezioni in Italia e trasformarsi in un’arma di pressione. Nel frattempo, tra resistenze e interessi, la realizzazione di progetti in grado di migliorare le condizioni della popolazione del sud risulta sempre più complicata. “Aiutiamoli a casa loro” è diventata una falsa promessa perduta e insabbiata nel deserto del sud della Libia.

Eppure esistono alternative a questa politica: frontiere gestiste che puntino sul reinsediamento dei profughi tramite mezzi alternativi a quelli proposti dai trafficanti e mezzi legali, con una identificazione alla loro partenza. Un piano, questo, proposto dalla stessa Unione Europea agli stati membri, ancora riluttanti. Si può risolvere il problema dei migranti economici con accordi regolarizzati e procedure comuni consolidate per garantire il problema del rimpatrio degli irregolari, aumentando al contempo i visti di lavoro per i regolari. Non si è capito che il nostro sistema di controllo dell’immigrazione che si sta cercando di chiudere è aperto a moltissime irregolarità e aumenta un problema che oltretutto nel nostro paese non è ancora un’emergenza. Tramite la politica di Minniti l’Italia ha voltato le spalle alla Commissione europea che ha proposto un aumento di fondi per quegli stati che siglino accordi regolarizzati con i paesi di origine dei maggiori flussi migratori. Presentato come unica soluzione possibile, il piano di Minniti approfitta della scarsa solidarietà europea in realtà giustificandosi con questa scusa, alla prova dei fatti non molto veritiera. In realtà, è una delle ancore di salvezza al prossimo appuntamento elettorale della coalizione di governo (o meglio di ciò che ne rimane).

La dottrina Minniti ha anche scaldato il cuore a molti elettori del PD, che hanno approvato il cambio di rotta di questi ultimi anni del partito sulle politiche di immigrazione. Molte volte ingannati e ignari sui reali costi di ciò che comportano politiche di questo tipo, ideate appositamente per trattenere un elettorato di destra in fuga acquisendo una posizione di forza propagandistica su uno dei maggiori temi della campagna elettorale. Come sempre in Italia, l’immigrazione non viene affrontata in un quadro logico e di lungo periodo ma sempre accompagnata da tanta retorica e violenta propaganda da tutti i partiti. Ora che nel PD ci sono stati numerosi fuoriusciti e rabbiosi abbandoni, e vi sono tanti elettori delusi e arrabbiati, o anche smarriti, a Renzi non rimane che compattare il partito intorno a figure come Minniti e alle loro politiche, molte volte spacciate come grandi risultati e in realtà fallimentari e molto vicine a quella destra che dichiarano incessantemente di combattere. Servono ad alimentare il sogno chiamato Palazzo Chigi, che sfuma sempre di più ogni giorno che passa verso il 4 marzo, dopo il quale non si sa cosa succederà.

Ma un grande discepolo dalemiano saprà sempre su quale zattera rifugiarsi, aspettando un’altra grande occasione o un inatteso premio. A differenza di quei disperati che muoiono nelle loro zattere nel Mediterrano o in mezzo a un deserto, oppure torturati in qualche prigione libica, grazie alla grande politica riformista targata Marco Minniti. Un’altra triste storia di un ex comunista divenuto burocrate di governo, per il quale nessun prezzo è abbastanza alto pur di mantenere quel poco di potere politico acquisito. Persino vietare una manifestazione antifascista in un luogo in cui il fascismo ha aggredito alcuni immigrati, pur di non intaccare il proprio consenso.  


Immagine ripresa liberamente da www.lastampa.it

Ultima modifica il Domenica, 11 Febbraio 2018 11:44
Marco Saccardi

Nato a Bagno a Ripoli (FI) il 13 settembre 1990, sono uno studente laureato alla triennale di Storia Contemporanea presso l’Università di Firenze, adesso laureando alla magistrale di Scienze Storiche. Appassionato di Politica, amante della Storia, sono “fuggito” dal PD dopo anni di militanza e sono alla ricerca di una collocazione politica, nel vuoto della sinistra italiana. Malato di Fiorentina e di calcio, quando gioca la viola non sono reperibile. Inoltre mi ritengo particolarmente nerd, divoratore di libri, film e serie tv.

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