Venerdì, 05 Febbraio 2016 00:00

Lavoro: dove non arriva né la legge né la retorica

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Oramai da molti anni, tutti i principali Paesi capitalistici hanno prodotto legislazioni sul lavoro sempre più svilenti, con l'obiettivo di permettere alle imprese di competere sui mercati nazionali ed internazionali comprimendo i salari ed avendo a disposizione una massa di disperati pronti ad accettare ogni condizione.
Una strategia perfettamente in linea con la voracità del sistema capitalistico, un sistema sociale ed economico incapace, per sua natura, di autolimitarsi. Una strategia perfettamente miope, che impedisce, in ultima analisi, lo sviluppo di un solido mercato interno per beni e servizi e che mette, tanto a livello nazionale quanto a quello internazionale, i lavoratori “l'uno contro l'altro come merci nella concorrenza”.

L'indebolimento del movimento dei lavoratori, conseguente a tale legislazione, avvenuto in tutti questi Paesi, non ha fatto altro che accentuare la spinta verso il basso di diritti e salari: un po' come quando si spinge qualche oggetto che sta già rotolando perché si trova in discesa.
Negli ultimissimi anni la deregolamentazione del mercato del lavoro è stata sempre più scavalcata, e poi rincorsa dalle leggi, da meccanismi sempre nuovi di sfruttamento. In principio furono le esternalizzazioni, lo spostamento di servizi in outsourcing (vi sono aziende che di loro non producono null'altro che il marchio, il brand), man mano che la crisi si acuiva e la competizione diventava più spietata sono arrivate forme di lavoro le più stravaganti.

Da alcuni anni, in Italia, si è diffuso il sistema dei buoni lavoro: se si necessita di un lavoro dequalificato ed occasionale il datore di lavoro può ricorrere a dei buoni (costituiti in parte da salario e in parte da contributi) che il lavoratore può cambiare in posta.
All'inizio sembrava una cosa molto bella, capace di far emergere lavoro nero da settori storicamente afflitti da questa piaga (lezioni private, servizi di ristorazione etc.).
A distanza di tempo dalla loro introduzione è però emersa una eterogenesi dei fini (anche se la buona fede è bene non presumerla mai) di proporzioni enormi.
I buoni, infatti, in assenza di controlli degli ispettori del lavoro (sempre pochissimi per altro nella storia d'Italia) e godendo di una legislazione che ne ha esteso l'utilizzo (aumentando la quota massima per committente, non regolando il rapporto numerico lavoratori impiegati con i buoni/lavoratori contrattualizzati etc.) hanno finito, in molti casi, per sostituirsi in tipologie di impiego (ad es. part time verticale nei bar e ristoranti) prima contrattualizzate (e dunque parzialmente garantite sia per la malattia che rispetto ad una continuità d'impiego) o per generare nuovo nero.

Chi, invece, intenda cimentarsi in lavori che genericamente possono essere definiti “intellettuali” (traduzioni, grafica, fotografia, creazione di contenuti etc.) è, oggi, nave in balìa nel mare dei ladri di plusvalore (grandi, medi, piccoli e piccolissimi, tutti ladri parimenti).
Annunci per lavori in nero, piattaforme internazionali di contenuti (content marketplace) con sedi all'estero e con pagamenti su estero (che andrebbero dichiarati comunque, ma è altra storia) che guadagnano nell'intermediazione di lavoro (il capolarato dei cervelli), agenzie che propongono eterni e malpagati stage: sono tutti luoghi, reali o virtuali, nei quali si compie una spietata lotta al ribasso, al salario più infimo, al lavoro più gravoso nel meno tempo possibile, tra disperati di ogni angolo del pianeta, in guerra fra loro per pochi, maledetti e subito euro. Il tutto senza che vi sia la speranza, mai, di un contratto.
Se si possono avere, infatti, i migliori in un campo e pagarli un tozzo di pane perché contrattualizzare qualcuno?

Salari (o compensi) sempre più bassi, dunque, e lavoro sempre più servile in una spirale che avvitandosi scava sempre più nel pozzo di San Patrizio della voracità capitalistica.
Se i lavoratori, e quelli che dovrebbero essere i loro partiti ed i loro sindacati, non avranno la capacità – dall'alto e dal basso, in un singolo Paese, in molte nazioni o soltanto in alcune – di invertire la rotta, di affermare che un salario e condizioni di lavoro dignitose sono giuste di per sé e per la stabilità e la crescita di un'economia inclusiva, non solamente peggiorerà ulteriormente il loro tenore di vita ed i servizi di salute e previdenza sociale a loro destinati ma complessivamente, passo a passo, quanti oggi godono dei benefici del lavoro servile, tra non molti anni verranno spazzati via da ladri più grandi ed efficienti di loro, e così a salire.
Fino a quando, come in tutte le società antiche, vi saranno pochi privilegiati, seduti sui propri allori e senza alcun bisogno di innovare e migliorare quanto da loro prodotto, e sotto di loro una massa di poveri sempre meno in grado di percepirsi tali e di vedere ciò come un'ingiustizia.

Ultima modifica il Giovedì, 04 Febbraio 2016 13:46
Roberto Capizzi

Nato in Sicilia, emiliano d'adozione, ligure per caso. Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.

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