Martedì, 17 Gennaio 2017 00:00

Il freddo, i migranti e il giornalismo di emergenza

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Di Elena Papucci

Il freddo, i migranti e il giornalismo di emergenza

È gennaio ed è freddo. Questo fatto, per tanti aspetti semplice e banale, sta da giorni tenendo banco nelle conversazioni e su giornali e trasmissioni televisive. Si riempiono pagine e pagine disquisendo di temperature, centimetri di neve caduti e soprattutto delle conseguenze sulla popolazione.
Siamo tutti ovviamente d'accordo che se muore un clochard per il freddo si sia di fronte a una cosa 'anomala', a un fatto che non dovrebbe succedere, e quindi sia sacrosanto che la stampa se ne occupi e stigmatizzi l'accaduto.

Casomai il problema è sulle modalità di questa informazione: infatti in quasi tutti gli articoli dedicati all'argomento si nota una tendenza al far leva sui sentimenti del lettore più che la volontà di stimolarne un qualsivoglia ragionamento. Infatti non si dà l'idea, restando sull'esempio fatto (secondo me sintomatico di un sistema marcio che 'non conosce stagioni'), che il problema non è il freddo, ma le condizioni di vita di questi 'ultimi'. E' un po' troppo comodo dare la colpa al freddo: il clochard non è morto perché è freddo, ma perché è costretto a vivere per strada. Quindi sarebbe buona regola per i giornalisti non titolare "Freddo killer: muore un clochard". Il freddo non è un killer di per sé, ma lo sono le condizioni di vita cui è costretto.

Chiediamoci come mai si sia giunti a questo tipo di giornalismo. La risposta, o almeno una delle risposte, è semplice, ma desolante: il lettore non vuole porsi tante domande, né soprattutto sentirsi in colpa. Tutto quello che gli interessa e che vuol trovare in un giornale è qualcuno con cui identificarsi. È pronto a spendere una lacrima per quel clochard, magari può anche indignarsi verso il "governo ladro" che lo tiene in quella condizione, ma nulla più: neanche a parlarne di cercare di analizzare i fatti e capire cosa ha portato alla situazione presente. Reazione? Non pervenuta.

Stessa cosa accade ormai da anni con la questione migranti, che non cessa di essere definita emergenza sulle pagine dei principali giornali del nostro paese. Anche in questo caso l'atteggiamento dei mass media è veramente disdicevole: di immigrazione si parla solo in caso di accadimenti straordinari, emergenziali appunto. Non si cerca, se non su qualche testata di e per 'addetti ai lavori', di andare a fondo del problema, di capire (e soprattutto far capire a chi legge) chi sono davvero questi migranti e perché sono in Italia.

Anche nel caso dell'immigrazione si preferisce un tipo di giornalismo che fa leva sui sentimenti forti: o si descrive l'atto scellerato di coloro che delinquono, o al contrario si descrivono le sofferenze dei bambini che cercano di arrivare in Italia. Come se un adulto non soffrisse la fame la sete o il freddo. Come se non avesse paura... Ma tant'è, niente fa compassione come un bambino!
Sarebbe auspicabile la nascita di un protocollo per i giornalisti, sulla scia della Carta di Roma o di Treviso, con le linee guida per parlare (o scrivere) di determinati argomenti. Poi potrebbero sempre contravvenire alla legge, ma almeno una legge ci sarebbe.

Ultima modifica il Lunedì, 16 Gennaio 2017 16:04
Beccai

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