Lunedì, 28 Agosto 2017 00:00

In un mondo libero non ci sarebbe una guerra contro i poveri, ma contro la povertà

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In un mondo libero non ci sarebbe una guerra contro i poveri, ma contro la povertà

Spesso sento parlare di “mondo libero”, e di quanto sia bello farne parte.

Sulle prime, ammetto, mi faccio contaminare da questa gioia condivisa da molti miei connazionali: ”sono libero!”, mi dico. Compro, mi muovo, voglio scrivere su Facebook una cosa contro Tizio o Caio? Lo faccio.

Ho pure una stampa libera che pubblica solo verità. Mica siamo sotto Assad! Mica siamo in Russia. Il sistema liberal-democratico è il migliore: libertà individuali, libero mercato, tutto a posto! Eppure, non so... Qualcosa mi sfugge!

Ci penso e ripenso, fino a quando mi par di aver trovato la soluzione: il camouflage! Funziona bene a casa mia, quando nascondo cose che non voglio vedere o non so dove sistemare, vuoi che non funzioni per la società? Così come io nascondo vestiti, pentole o altro, il nostro mondo libero nasconde, sostanzialmente, una cosa: la povertà.

Si, parliamo di essi, facciamo beneficenze, ma coi poveri ben lontani, anche quando li riprendiamo con la telecamera per suscitare facile commozione. Non c’è il povero, c’è un mezzo che deve portare alcuni civili e democratici ad elargire dei soldi per qualche associazione; ma non temere: il povero rimane sullo schermo, non ti infetta colla sua presenza nella tua vita.

Un ottimo scrittore e giornalista, Nicola Lagioia, ha descritto questo nostro distacco dal mondo dei poveri, nel bellissimo saggio: Esquilino. Nome che deriva dal popolare quartiere romano.

Il tutto parte con l’incontro fortuito tra lo scrittore e un vecchio, svenuto sopra a dei sacchi della spazzatura. Subito capiamo che ci troviamo di fronte a due mondi opposti, diversi, inconciliabili: da una parte un borghese, uno anche di quelli illuminati: che si preoccupa dei problemi insisti nella nostra società, dall’altra un “uomo”, ma forse meno. Un rifiuto della società, forse un senza fissa dimora, alcolizzato, Uno di quelli che ci ostiniamo a dimenticare.

Come può un mondo libero aver al suo interno un divario socioeconomico così profondo e forte? Due mondi, lascia intendere Lagioia, paralleli, che non si incontrano mai. Dove le nostre riserve, angoscianti domande borghesi su integrazione ed emarginazione, non trovano posto. Nel mondo che non vogliamo vedere due piccolissimi negozianti, un italiano e uno straniero, si salutano felici e contenti insutandosi: “Ah, negro di merda!”, “Napoletano di merda!”. La cosa scandalizza l’animo civile di ognuno di noi, ma in quel mondo sconosciuto è dialogo di conoscenza e avvicinamento all’altro.

I poveri vivono vite altre e opposte alle nostre: nascoste, combattute con ferocia assoluta (tanto poi si pubblica la foto del poliziotto che abbraccia la ragazza eritrea o si fanno beneficenze e si piangono lacrime false e milionarie) perché la miseria non solo ci terrorizza... essa è inconcepibile.

Un’offesa, un sabotaggio messo in atto da perdenti che nemmeno chiedono scusa, ai danni di un mondo libero, democratico, tanto attento ai diritti civili, quanto indifferente a quelli sociali. Questo è un punto di frattura tra la buona novella liberaldemocratica e la verità del suo reale aspetto: un regime che regala briciole alle classi medie, affinché siano di aiuto nel respingere folle e masse sempre più impoverite. Le quali, altro punto degno di nota del libro di Lagioia, vivono con le loro regole, una forza partorita dalla sofferenza estrema, e del tutto indifferenti ai bei tentativi, alle parole accurate e piene di grazia, che una borghesia quasi del tutto estinta, vuol regalare alla società, sognando un mondo di colori, emozioni, insomma le classiche narrazioni vendoliane.

Il mondo libero e democratico, che si commuove per i bambini bombardati dai feroci russi, non fa una piega di fronte alle cariche della polizia contro dei rifugiati politici. Per non confondersi coi loro cani da combattimento, nonché ascari e collaboratori preziosissimi: i fascisti, ci versano una lacrima, inciampano in un giro di parole per apparire buoni e non offendere il lavoro della polizia, ma in sostanza: il povero è detestato.

Tanto che anche il razzismo è sottoposto a questa forma di ingiustizia sociale e discriminazione: se sei nero o arabo, ma ricchissimo, va bene. Non dico che non si pensi male di te, ma va bene: possiamo far una foto che attacco al muro del mio negozio, ti vendo metà città, va tutto bene. Se sei nero e arabo, vieni da posti dove noi con le nostre interferenze abbiamo portato guerra e miseria? Stai a casa tua. Lo chiamiamo: decoro. In realtà è una barriera che ci impedisce di vedere la complessità del mondo da noi tanto respinto: quello degli ultimi.

Per cui il nostro è un mondo che di fatto vive su un classismo che mal si abbina alla tanto sventolata bandiera della libertà. Non solo abbiamo i poveri veri e propri, che appunto tendiamo ad emarginare del tutto, nascondendoli e lasciandoli a vivacchiare in una dimensione altra rispetto alla nostra, ma attraverso assurde idee liberiste in fatto di economia sfasciamo la stabilità sociale e individuale del proletariato e della piccola/media borghesia.

Basterebbe leggere l’ottimo saggio di Ha-Joon Chang, economista coreano e docente di economia dello sviluppo a Cambridge, 23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo, per vedere come la classe dominante, formata da pochi ricchi, attraverso i loro economisti di fiducia, abbia messo in ginocchio il nostro mondo.

Un esempio che reputo importante: una nazione in cui lo stato sociale è rispettato e garantito offre più occasioni ai suoi lavoratori di accettare occupazioni nuove, a vivere la vita con maggior coraggio, viceversa, dove esso manca, il lavoratore vivrà con ansia ogni cambiamento. Proprio quello che capita nel nostro mondo, in cui l’ingiustizia sociale si manifesta a pieno. Ubriacandoci di inni alla libertà, al meno peggio, alla pessima democrazia migliore rispetto a una pur ottima dittatura, le classi medie e il proletariato hanno accettato lo smantellamento dello stato sociale, la distruzione della coscienza e solidarietà di classe, ritrovandosi a vivacchiare di lavoretti, sotto il ricatto di licenziamenti, con stipendi bassi. Cose che porterebbero un cittadino qualsiasi in un mondo libero a durissime lotte, perché se hai provato la libertà non puoi farne a meno.

Invece siamo arrivati alla distruzione della classe lavoratrice. Dopo la povertà, l’unione dei lavoratori è l’altro incubo dei liberal-capitalisti e dei loro regimi, cioè delle nostre democrazie. In cambio però non manca a nessuno la possibilità di lasciarsi ammaliare da prodotti tecnologici che ci dicono abbiano cambiato la loro vita, ma che nel saggio di Chang, risulta altra fuffa velleitaria: ancora oggi la vecchia vecchia lavatrice cambia la vita, reale e di milioni donne, rispetto a internet. Sono cambiati i desideri e obiettivi delle masse, ma non per “libera scelta”, come ci piace credere. Bensì manovrata da governi, stati, economisti, al servizio di un’idea elitaria del conflitto di classe. Nonostante oggi un lavoratore subordinato faccia una vita faticosa, egli non avrà nulla da dire se la polizia e la società prenderanno a manganellate gli ultimi. Il terrore di finire come loro e l’orgoglio di sentirsi lontani da essi, non fa nascere nessuna solidarietà di classe, ma nemmeno umana.

Semmai ci si rinchiude in fatti privati, a sostegno del “nostro particolare”. Per questo se sono animalista protesterò contro la violenza sugli animali, ma non me ne frega nulla dei senza tetto, se sono gay vorrò i miei diritti, ma non me ne frega di quelli che lavorano nei centri commerciali di domenica e costoro ricambieranno fregandosene di matrimoni gay o della difesa dei più poveri, perché: “cazzo io lavoro”.

Povertà, classe lavoratrice disunita, vittima di sogni tecnologici e di benessere effimeri... quali altri settori devono esser colpiti per mantenere la nostra società degna di un mondo libero e civile? Una potrebbe essere quella della “razza”. Oggi va di moda dar del fascista a chi si espone nelle piazze più o meno virtuali, come razzista. In prima fila troviamo i progressisti bianchi, democratici e di salda fede liberale. I quali però ben si guardano dall'analizzare il peso fortissimo che il colonialismo ha avuto nella storia dello sviluppo del mondo libero. La schiavitù in America e le nazioni africane prese con forza.

Inorridiamo per il razzismo e la violenza nazista, molto meno per quanto successo in Congo per mano della monarchia belga. L’antirazzismo liberal-democratico pensa di aver fatto il suo dovere denunciando un fatto, lasciando che un Tommasi scriva un ottimo articolo... poi due lacrime, un pensiero... e mi raccomando... votiamo democratico, che bisogna fermare il fascismo. Quel fascismo che in Ucraina non dà affatto nessun fastidio.

Anche in questo caso, cito un libro: Tra me e il mondo di Ta- Nehisi Coates. Il libro è una lettera struggente e feroce, che lo scrittore scrive al figlio, per ricordargli cosa significhi esser nero in America. Ora gli antirazzisti borghesi diranno: “hanno avuto un presidente nero”. Certo, un passo epocale in avanti, ma che non ha influito sul trattamento dei neri che abitano i quartieri più poveri degli USA. Il libro racconta questo: l’incapacità di dimenticare secoli di persecuzione, che sfocia spesso nella morte per mano della polizia.

In un mondo libero è normale morire per mano poliziotta? I casi citati in questo libro portano alla luce che un americano nero non è padrone nemmeno del suo corpo, visto che i bianchi possono distruggerlo come vogliono. Non solo, dopo aver detto a loro, con la fine della guerra civile, che i neri erano liberi, si è trovata una frase nel XIII emendamento, in cui si dice che tutti sono liberi tranne i criminali, arrivando agli arresti di massa dei neri, al fine di risollevare l’economia degli Stati Uniti del Sud.

Da allora è stata una gara a peggiorare le cose.

Partendo dalla lotta alla droga, fino alle leggi che hanno peggiorato le condizioni di vita nei ghetti e nei penitenziari dovute a Bill Clinton. Ancora una volta il problema è la povertà, e il caso O. J. Simpson, in un certo senso parla chiaro: se hai i soldi, anche se sei nero, forse potrai farcela! Esclusi sociali... lavoratori isolati... vittime di glorie effimere... guerra alle minoranze etniche... sempre in chiave di poveri contro ricchi... ma in un mondo libero, la giustizia non dovrebbe essere uguale per tutti?

A mio avviso è un pilastro fondamentale: la legge non deve far distinzione alcuna tra crimini di serie a o di serie b.

Purtroppo la realtà nei regimi liberal-capitalisti è ben altra cosa.

Per quanto riguarda il tema della legge a difesa della classe dominante vi suggerisco la lettura, illuminante, del libro Giustizia roba per ricchi di Elisa Pazè. L’autrice è un magistrato e ci spiega come la nostra legge funzioni perfettamente come repressione contro i poveri. Come un furto, seppure per necessità fondamentali come mangiare e non morire di fame, venga punito con maggior peso e forza rispetto a un industriale che danneggia la natura attraverso scarichi illeciti nei fiumi.

Un povero, non potendo pagarsi spese processuali, spesso ingenti, si affida ad avvocati d’ufficio o cerca di andar subito a processo, mentre il ricco può sperare che allungando i tempi, grazie all’abilità dei principi del foro, il suo caso cada in prescrizione.

Queste sono solo piccole cose, ma guardate le galere nazionali e ditemi chi sono gli sventurati ammassati peggio di bestie e dimenticati in fretta da uno stato, che di fatto, non rieduca e reinserisce mai - o quasi mai- le persone che hanno sbagliato e recato danni.

Un mondo libero, “ma libero veramente” canterebbe il compagno Finardi, non può permettersi di avere masse di poveri ed esclusi sociali, di togliere ogni diritto ai lavoratori, ricattandoli al fine di far accettare a loro ogni porcheria, sostenere un sistema economico dannoso come quello liberista (vai colla pianificazione quinquennale), crescere nei secoli sfruttando e occupando altre terre, attraverso il colonialismo, o condannando generazioni di uomini a causa della schiavitù e delle politiche repressive contro una minoranza di persone, né tanto meno gestire la giustizia a favore delle classi sociali più abbienti.

Ecco, fino a quando tutte queste contraddizioni esistenti all’interno del nostro sistema non verranno combattute e superate, io non crederò mai di vivere nel migliore dei mondi, tanto meno lo reputerò libero e democratico.


Immagine liberamente tratta da bostonreview.net

Ultima modifica il Lunedì, 28 Agosto 2017 09:49
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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