Venerdì, 30 Novembre 2018 00:00

Il pensiero di Alice Miller per spezzare le catene della pedagogia nera

Scritto da
Vota questo articolo
(5 Voti)

“Come un bambino sotto l’educazione”
Nomadi, Fiore nero.

Sempre più spesso mi capita di leggere in giro, da parte di persone adulte e vaccinate, nostalgia per l’educazione che si impartiva una volta ai bambini e adolescenti. Fa parte della Sindrome del S.S.M.Q.P. – per i profani: «si stava meglio quando si stava peggio». Il che oggettivamente è una sciocchezza. Se stavi peggio non potevi assolutamente stare meglio. Un dato di fatto. Semplice. Però questi tempi di transizione (una transizione fin troppo lunga) ci fanno vivere in condizioni di assoluta incapacità di analisi e riflessione su cosa stia avvenendo e come reagire.

Una parte di questa incertezza, questo cadere nella nostalgia più stolta è forse legato a un puro fatto generazionale. Ci spaventa invecchiare, ci terrorizza il fatto che le giovani generazioni non diano credito alle nostre parole su quanto fosse meraviglioso il mondo quando eravamo giovani noi. Mi capita anche di leggere di persone, non oso chiamarle compagni per umana pietà, che una volta raggiunta una certa età cascano nel classico errore di tutti gli anziani, di tutti i prossimi alla morte: «Stai zitto e ascolta gli anziani.» Dopo che costoro hanno passato tutta la gioventù ad abbattere la generazione dei loro padri. Quindi l’elemento generazionale pesa molto sull’infinito revival del «come si stava bene ai miei tempi». Lo penso anche io quando sento qualche ragazzino magnificare la Dark Polo Gang e io penso che alla sua età ascoltavo i Guns n’Roses e Guccini.

Tuttavia questa è solo una parte di questo problema. Che elude la parte fondamentale e seria, quella che dovrebbe essere analizzata con maggior attenzione e che dovrebbe rispondere a questa domanda: “A che serve l’educazione?”. Soprattutto quando parliamo dei bei tempi andati quando eravamo bambini educati, a modo, che se avessimo osato agire come fanno i giovani di oggi avremmo preso tante di quelle sberle. Sottolineando con gioia e un pizzico di rimpianto i bei tempi in cui si prendevano tante sberle.

Un pensiero cretino. Peggio, il pensiero di una vittima che celebra il suo carnefice. Educazione per costoro significa paura. Tutto qui. Purtroppo non sono pochi i compagni (quelli che si sentono anche tutori della vera rivoluzione) che inneggiando a un senso sbagliato di disciplina sostengono che gli schiaffi siano migliori di una spiegazione, che mettere in punizione isolando il birbante di turno sia meglio che farlo ragionare su quanto abbia fatto. Dopotutto nei due secondi che ci metto a far partire le mani, mi creo rispettabilità da parte della mia vittima (avviso che non è detto funzioni sempre così; magari crescete solo uno che vi disprezza e che da vecchi, giustamente, vi abbandona in qualche ospizio) attraverso l’idea che io sia una qualche autorità, istituzione, a cui si deve cieca obbedienza. Senza capire perché, senza sentirmi coinvolto se non per via della paura. Un adulto che di fronte al potere non farà altro che assecondarlo anche con zelo, perché per lui quello è amore. Quello gli hanno insegnato i suoi e lui ripete nella società la lezione.

L’affetto e la comprensione costano invece troppa fatica. Si faranno troppi errori e si teme di essere permessivi. Meglio un sano padre che ti riempie di schiaffi piuttosto che uno il quale ti tratta da essere umano capace di comprendere i propri atti. Il discorso legato all’autoritarismo non è solo ristretto all’ambito famigliare ma anche sociale. Lo stato come un padre severo colpisce i figli disobbedienti e più forte sarà “lo schiaffo” più i ribelli si piegheranno alla sana vita piena di decoro, dignità, umiltà, voluta per loro dai loro padri. Per questo il modo in cui educhiamo i nostri figli si rispecchierà automaticamente sulla società.

Proprio per questo motivo credo che andrebbe ripreso il discorso che faceva Alice Miller. Non so quanti di voi conoscano questo nome. Forse pochi. Nei prossimi articoli vorrei farvi riflettere sulle sue parole e consigliarvi un paio di letture. Sicuramente le sue tesi sono ancora oggi attuali anche se credo che l’idea che l’affetto sia alla base di una buona crescita (sto semplificando al massimo il suo pensiero molto più corposo e complicato a cui dedicheremo il prossimo articolo) oggi potrebbe esser visto come una roba da sinistra “petalosa”, buonista e radical chic. Vabbè, c’è da dire che questi duri di Facebook qualora dovessero esser coinvolti in conflitti armati, scapperebbero al primo scoppio di petardo. Lasciamoli stare e conosciamo un po’ questa donna straordinaria, coraggiosa, intellettualmente stimolante!

Alicjia Englard nasce il 12 gennaio 1923, ci lascia il 14 aprile 2010. Di origini ebraiche, durante l’avanzata del nazismo trova rifugio in Svizzera. Ella si salva con la madre e la sorella, purtroppo perdono il padre. Crescendo si dimostra una studiosa assai precisa e capace. Nel '53 si laurea in quel di Basilea in psicologia, sociologia e filosofia. Infine si trasferisce a Zurigo dove conclude la sua formazione professionale come psicanalista. Per oltre venti anni sarà dedita a questa professione, dalla quale prenderà sempre più distanza fino ad abbandonarla del tutto in aperta polemica contro vari aspetti che per lei sono solo nocivi.

Metterà infatti in discussione molti pilastri della psicoanalisi. Ella infatti è giunta a un netto rifiuto del metodo alla base della terapia psicanalitica perché crede fortemente che in sostanza al paziente non viene lasciato tempo e spazio per ricercare la fonte del loro dolore spesso legato ad abusi e traumi subiti da piccoli e sempre in ambito familiare. Il metodo psicanalitico non incoraggia i pazienti verso la ricerca dell’origine del dolore. Al contrario agisce in modo che il paziente non debba confrontarsi con il trauma, inoltre si valuta anche il problema del trasferimento dei pensieri del terapeuta sul paziente. Alice Miller fa notare quanto vi sia poca empatia da parte del “dottore” nei confronti del paziente. La sua critica mette in discussione capisaldi come il complesso di Edipo o la sessualità infantile. Vi consiglio di cercare documenti e libri che potranno aiutarvi a focalizzare meglio le idee innovative della Miller. Qui per ragioni di spazio vi ho fatto dei cenni.

Miller dedicò tutta la sua vita agli studi relativi a quanto i traumi subiti nella nostra infanzia, quasi sempre in famiglia e per mano di genitori che piacerebbero a chi anche oggi ha nostalgia delle punizioni fisiche, siano alla base di forti problemi personali e dell’adesione al nazismo. Leggete La persecuzione del bambino in cui analizzando il tipo di educazione subita dai gerarchi nazisti, si sia sviluppato nel paese l’adesione al nazismo.

Ella crea il termine “pedagogia nera” per spiegare come l’educazione del figliolo basata sull’incapacità di provare comprensione ed empatia per il bambino spinga gli adulti a sopprimere l’istinto e la vera natura del figliolo. Dando ad esso regole rigide e punizioni in caso esse non vengano rispettate si crea l’idea che paura della violenza (psicologica e fisica) siano sinonimi di rispetto ed amore. Il babbo mi punisce? Vuol dire che sono stato un bambino cattivo che ha fatto tanto male al babbo o alla mamma e mi merito la punizione. Merito le botte e l’umiliazione. Invece, caro bimbo, hai solo un frustrato che ti sta crescendo come lui. La pedagogia nera è un tema molto bello e importante, ne riparleremo.

Per cui se la famiglia è terreno fertile per angherie e torti, spesso visti come modi educativi socialmente apprezzati e che «faranno bene al bambino», c’è possibilità per l’infante di crescere “bene”? Qualora la risposta fosse positiva, come fare? Alice Miller ci risponde ridimensionando un po’ quello che è il ruolo del genitore. Molti sono convinti che avendo avuto dei figli capiscano qualcosa su come educare, crescere, i propri bambini. Tanti sono convinti che possano decidere loro quello che va bene alle loro bambine e bambini, cavolo li ho fatti io! Per questo non ascoltano o accettano che la figlia o il figlio abbia una sua identità, dei suoi desideri e pensieri. La sciagura è che costoro sono convinti di essere ottimi genitori, invece combinano solo disastri.

Per questo la Miller trova due figure sostitutive in un certo senso nella vita del bambino delle classiche figure di padre e madre. Alice Miller definisce queste figure: Testimone Soccorrevole e Testimone Consapevole. Ella definisce Testimone Soccorrevole quella figura di adulto che sia di riferimento per il bambino anche senza una reale e voluta intenzionalità pedagogica, che sappia offrire al bambino una visione nettamente diversa della vita che conosce e decisamente positiva. Una figura che diventi modello di comportamento e di ricerca della felicità per il bambino. Il Testimone Consapevole, invece, non è affatto legato al periodo dell’infanzia. Costui o costei agisce durante la gioventù o l’età adulta; è qualcuno che con consapevolezza ci porta a riflettere sulle storture e le cose negative vissute durante la nostra infanzia. Donandoci la consapevolezza di esser stati vittime di certi comportamenti e di agire in modo concreto per superare la negatività.

Come potete leggere la via educativa della Miler non è facile. Ripeto: molti avranno da ridere pensando che al bambino non verranno date delle regole, ma è ovvio che ella non dica mai una cosa simile. Per molti sarà semplice educare con la violenza fisica e psicologica spesso accompagnata da «lo faccio per il tuo bene», quando invece sono solo esplosioni di violenza da parte di persone che non sono forti abbastanza per educare i bambini e le bambine. Forse anche il termine “educazione” andrebbe rivisto, così come l’idea del “buon genitore”. Noi dovremmo solo pensare che spezzare le catene della pedagogia nera non serve per crescere delle persone irresponsabili e infantili, in quanto si saranno sfogate nell’infanzia e avranno compreso i limiti da non superare, ma uomini e donne forti e risolti perché in grado di amare, provate e dare affetto, tutte cose che noi riteniamo pleonastiche e che invece ci salvano dal diventare adulti irrisolti e frustrati.

Vi consiglio di seguire con attenzione gli insegnamenti della Miller e di cercare i suoi libri. Non dico che dobbiate seguire o apprezzare le sue idee, ma perlomeno i suoi studi e i suoi scritti vi spingeranno a riflettere su cose molto importanti.

 

Immagine di Meir Darom liberamente ripresa da wikipedia.org

Ultima modifica il Giovedì, 29 Novembre 2018 22:16
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.