Venerdì, 21 Dicembre 2018 00:00

Le lotte degli afroamericani nel cinema

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Il cinema, a volte, riesce a diventare un mezzo espressivo che trascende la sua natura di prodotto industriale. Cosa vorrei dire con codesta frase degna di un cinefilo de internet? Che esso non è solo un mezzo per far arricchire un certo tipo di industria con prodotti che debbano solo intrattenere in modo più o meno intelligente platee di spettatori amorfi. Nossignore! Esso può anche spingere gli spettatori a riflettere sulle condizioni umane di popoli e persone distanti da noi.

Nella prima parte di questa trilogia dedicata alla storia delle lotte e delle condizioni degli afroamericani ho spiegato come una certa letteratura avesse risvegliato, in un dodicenne brianzolo, la voglia di conoscere meglio la storia tragica e gloriosa dei neri in America. Quello è stato un primo passaggio ma il radicamento in quel ragazzo di una solidarietà umana e di classe nei confronti di quei fratelli, nasce proprio grazie al cinema.
Ora dovete sapere che all’epoca costui era un occhialuto radical chic, in anticipo sui tempi peraltro, che amava e difendeva a spada tratta il cinema d’autore. Moretti e Allen gli avevano indicato come sarebbe stata la sua vita futura, come sarebbe cresciuto.

Male, malissimo ma vuoi mettere quante frasi mitiche e che senso dell’umorismo tagliente! Per questo è solo in questi ultimi tempi che ha fatto autocritica su Spielberg (meglio tardi che mai) comprendendo la sua importanza nella storia del cinema. Cosa c’entra il creatore di E.T con la storia afroamericana? Ha diretto uno dei primi film che ho visto su questo tema. Mi riferisco a quel capolavoro che è “Il colore viola” in questa pellicola vi ho visto riproposti i temi già presenti in Ragazzo negro, vale a dire la doppia lotta che donne e bambini devono condurre contro uomini resi feroci da una vita crudele. Il film di Spielberg è un inno alla forza delle donne, un amarissimo racconto di quanto possano soffrire e di che vita dura conducevano agli inizi del Novecento: schiave e oggetti sessuali di mariti, padri, uomini. Questa condizione di dominio fisico e mentale si nota in molte occasioni negli ambienti più emarginati e vittime di dura repressione. La rabbia, la cattiveria, l’odio che si prova verso la classe dominante non trovando sfogo in una lotta di classe rivoluzionaria,, con chi troveranno maniera di sfogarsi? Con i figli e le donne. Perché con loro mettono in atto lo stesso gioco sadico dei loro padroni: siete di nostra proprietà e posso fare quello che voglio delle volte vite e dei vostri corpi. La storia delle due sorelle divise da ragazzine dopo che una ha partorito i figli avuti da loro padre, è un pretesto proprio per raccontare la durissima condizione delle donne afroamericane. La protagonista è talmente abituata a esser picchiata e umiliata che arriva a suggerire alla giovane nuora, ragazza ribelle e fiera, di farsi picchiare dal marito. Quando non conosci altro che violenza da parte di una persona che dovrebbe amarti, come fai a riconoscere il tuo ruolo di vittima e pretendere rispetto e giustizia. La condizione già non facile di essere donna si somma a quella di essere afroamericana. Significa subire la violenza verbale e fisica non solo degli uomini bianchi, ma anche da parte delle donne. Il film mi colpì profondamente quando lo vidi, certo la mia analisi politica e sociale era assai rudimentale e basilare, ma cominciava a farsi largo in me l’idea che il cambiamento e l’attitudine rivoluzionaria abbia anche a che fare con i rapporti di forza nelle relazioni sentimentali e di famiglia.

Questo tema viene ripreso molto bene anche in un bellissimo film diretto da Denzel Washington: Barriere. Anche se il titolo originale “Fences” mi par più azzeccato e calzante. Non sono tanto le barriere il problema ma il recinto dentro cui racchiudere una vita, i sogni, i desideri. L’opera è tratta da una pièce teatrale di August Wilson, narra la storia di un netturbino afroamericano che vive in periferia con la seconda moglie e il loro figliolo. L’uomo è vulcanico, esuberante, quello che potremmo definire un “compagnone” sa anche farsi rispettare senza paura dell’uomo bianco. Tuttavia le sue amarezze, la sua vita di nero e di proletario che si deve occupare anche del fratello diventato matto per colpa della guerra e le esperienze passate portano a galla un carattere autoritario, menefreghista nei confronti dei desideri e aspirazioni degli altri. Il prodotto di una vita che è il corrispettivo maschile delle protagoniste del Colore Viola. Figlio di un uomo brutale, il protagonista di questo splendido film scappa di casa all’età di quattordici anni dopo aver picchiato il padre-padrone. Finirà per strada e in riformatorio. Cercherà la rivincita nel baseball ma fallirà. Questo fallimento segnerà la sua vita e quella di suo figlio, a cui impedirà di farsi una carriera nel football americano.
Un uomo, un proletario, un nero, prima di Martin Luther King, prima della rivolta cosa aveva? Nulla. Solo la sua disperazione e rabbia. E delle vittime. I figli e la moglie. Anche se il finale cerca un compromesso quasi reazionario, l’opera di Washington è un film importante e fondamentale per comprendere le dinamiche interne al proletariato di ogni mondo e sopratutto per ribadire la doppia schiavitù che hanno sopportato i neri in America. Schiavi dei bianchi e delle loro famiglie. Nondimeno l’aria di cambiamento, la rivolta, sono alle porte. Generazioni di uomini, donne, ragazzi, ragazze, bambini e bambine, stanno gridando che “nessuno di noi è libero, se solo uno di noi è in catene”. A quei tempi le catene erano ancora forti e facevano male. Oh, certo la leggenda dei bianchi dice che l’America aveva un sogno da difendere e vendere al mondo, ma era uno di quelli che si rompono subito dopo poco tempo che li usi. Un sogno che non valeva tanto quanto quello che sognavano migliaia e migliaia di uomini e donne, sotto la guida di Martin Luther King.

Selma è un film politico che analizza a fondo le condizioni che portarono i neri a ribellarsi, a chiedere semplicemente di essere trattati come cittadini (I too sing america, I am the marker brother, ricordate?) di poter votare. Tutto qui. Eppure per ottenere diritti umani e civili semplici e giusti, quanto sangue è stato versato! Il film ci presenta un Martin Luther King umano e anche tormentato in alcuni momenti, persino afflitto, ma mai sconfitto del tutto. I veri perdenti sono i bianchi che mettono bombe in una chiesa causando la morte di tre bambini, o che picchiano a morte un nero perché ha manifestato per la sua libertà. I fascisti non son altro che questo rabbia vigliacca che si scatena contro i deboli. L’America di questo film è divisa e sul punto di esplodere e per questo la marcia che parte da Selma, in Alabama, ha una valenza etica, politica, sociale fondamentale per la storia non solo americana, ma del mondo. Il miglior pregio del film è di farti soffrire per la cattiveria delle violenze delle forze dell’ordine e non solo, ma anche sperare in un mondo migliore e più umano grazie alla forza di Martin Luther King. Tuttavia la non violenza come pratica politica è sempre praticabile? Vi sono momenti storici e politici precisi, in cui dobbiamo ricorrere ala violenza per far arrestare il nostro nemico? Io credo di sì. Non credo nelle rivoluzione democratiche e pacifiche, il Cile è un esempio lampante. Tuttavia non possiamo dire che l’esempio di Martin Luther King e di chi l’ha seguito sia errato. Ha dato alla popolazione afroamericana una lezione di forza e condivisione. Non più uomini e donne repressi che si sfogano in famiglia, ma una grande famiglia in marcia verso la conquista di libertà e rispetto. I sogni, come sappiamo, muoiono all’alba e quello splendido nato durante i giorni di protesta sotto la guida di King finiscono in una notte a Detroit.

Detroit mostra con immagini crude e spietate la violenza istituzionalizzata e quotidiana che il sistema usa, per mano delle sue forze dell’ordine, contro le minoranze. La città da giorni vive sotto la tensione di scontri tra i neri che vivono nei ghetti e le forze dell’ordine, la situazione ideale per dar la possibilità a un gruppo di poliziotti di reprimere con la violenza e la morte, una normale perquisizione in un motel.
Una nazione violenta, nata e prosperata sulla violenza (lo sterminio dei pellerossa, lo schiavismo e il maccartismo) per proteggere il sogno dorato di una minoranza di ricchi. Questo è il paese. Un posto dove la polizia prima spara e poi controlla se la vittima fosse o meno armata. Detroit sembra riprendere il discorso interrotto da Selma, par che voglia riportarci in un mondo in cui per i neri non vi è possibilità di riscatto alcuno. Opera che una volta per tutte fa i conti con l’ipocrisia americana di una nazione libera, innocente, accogliente per mostrarci la durezza repressiva di cui è capace e che userà sistematicamente contro ogni nemico interno ed esterno, dopo averla provata sulla pelle dei poveri nei ghetti. Queste violenze da parte delle forze dell’ordine in modo particolare porteranno alla formazione e al radicamento delle Pantere Nere.

The Black panthers: Vanguard of revolution, è un documentario che narra la nascita, crescita, morte del più grande movimento rivoluzionario mai nato in America. Attraverso le parole di chi vi ha militato, di chi le ha combattute, attraverso immagini d’epoca e documenti resi pubblici. Canto del cigno di un riscatto che non sia solo legato a un discorso di razzismo ma politico e socialista (le Pantere Nere combattevano contro il capitalismo e durante la loro crescita si avvicinarono e sostennero tutte le lotte dei popoli e delle classi oppressi/e per colpa del colonialismo e del capitalismo) furono in grado di creare mense per dar una colazione ai bimbi poveri, cure mediche per chi non poteva permettersele, diedero agli afroamericani l’identità necessaria per rivendicare l’orgoglio di essere neri. Vennero perseguitate in modo particolare da quella carogna di J.Edgar Hoover che attraverso la delazione (i federali mandavano lettere anonime alle moglie dei militanti sostenendo che costoro avessero delle amanti), l’arresto in massa e l’omicidio (come il caso di Fred Hampton) riuscirono in poco tempo a distruggere dall’interno il movimento. Nel terzo articolo parlerò con maggior profondità di questo movimento. Ne vale la pena.

La questione afroamericana con la sconfitta delle Pantere Nere cancella il sogno di rivalsa a larga scala dei neri in America. La nazione, come sempre, cercherà di rimediare con l’elezione del meno nero tra gli afroamericani cioè Barack Obama. Ma anche sotto la sua presidenza non mancano delitti a sangue freddo da parte della polizia contro la comunità nera. Obama è il meno carismatico tra i leader afroamericani. Risalta in modo particolare durante la visione di Barry film biografico che parla della gioventù del futuro presidente americano. Un ragazzo modesto, che non riesce a legare con gli altri neri, ma non si sente nemmeno accettato da bianchi. Cosa che mi par non abbia mai abbandonato nemmeno durante la sua presidenza. Certo meglio di niente, tuttavia la nostalgia per leader come Hampton, King, Malcolm X è forte.


Immagine di copertina tratta liberamente da www.howardforfilm.com
Ultima modifica il Giovedì, 20 Dicembre 2018 13:03
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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