La prostituzione coatta è la principale forma di schiavismo, ed è la prima che viene in mente quanto si parla di tratta, ma non è l’unico fenomeno legato al trafficking: il traffico di esseri umani può essere ad esempio legato ai circuiti di compravendita di organi, adozioni illegali, accattonaggio.
Nel Protocollo delle Nazioni Unite contro la tratta delle persone viene definita come: «il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l'alloggiamento o l'accoglienza di persone con la minaccia di ricorrere alla forza, o con l'uso effettivo della forza o di altre forme di coercizione, mediante il rapimento, la frode, l'inganno, l'abuso di autorità o una situazione di vulnerabilità, o con l'offerta o l'accettazione di pagamenti o di vantaggi al fine di ottenere il consenso di una persona avente autorità su di un'altra ai fini dello sfruttamento. Lo sfruttamento include, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione di altre persone, o altre forme di sfruttamento sessuale, lavori o servizi forzati, schiavismo o prassi affini allo schiavismo, servitù o prelievo di organi».
I migranti sono particolarmente esposti al pericolo di finire nelle reti della criminalità e degli schiavisti, rischio che aumenta esponenzialmente nel caso siano donne e/o minori. Questa vulnerabilità dei migranti non è data solo dalla loro situazione di povertà e/o di illegalità: le nuove schiavitù tendono ad insediarsi all'interno dei fenomeni migratori anche a causa delle politiche dei paesi di destinazione, i quali avvertono come un problema i flussi di migranti, ignorando (più o meno volutamente) che il vero pericolo è dato dalle pesanti infiltrazioni di organizzazioni criminali dedite alla mercificazione della persona.
Anche una volta arrivati a destinazione, il rischio di finire nel racket del traffico di esseri umani, o di ritrovarsi in situazioni para-schiavistiche non è terminato. In particolare, la situazione vulnerabile dell’immigrato in condizione irregolare, clandestino, lo rende più appetibile e ricattabile da datori di lavoro senza scrupoli, che pur di ottenere profitti ricorrono allo sfruttamento lavorativo. Le forme di grave sfruttamento sono infatti presenti in quasi tutti i settori lavorativi nei quali i migranti convergono, incluso il lavoro domestico e agricolo.
In Europa lo stretto intreccio tra migrazione e traffico di esseri umani è un fenomeno che ha fortemente caratterizzato questi ultimi decenni, sopratutto a partire dalla caduta del muro di Berlino: dal caporalato alla prostituzione coatta fino all’accattonaggio, la tratta di persone è una realtà in preoccupante crescita in tutto il continente. Questo incremento è causato anche dall’aumento della domanda e dall’instabilità politica e sociale dei paesi di provenienza e di transito dei migranti.
In Italia, prima del decreto Sicurezza, le persone vittime di tratta che non rientravano nei requisiti della protezione internazionale, potevano ottenere il visto per motivi umanitari. La protezione umanitaria durava due anni e dava accesso al lavoro, alle prestazioni sociali e all’edilizia popolare. La protezione umanitaria permetteva inoltre alle vittime di tratta di avere un permesso di soggiorno generico, e quindi non riconoscibile.
Con la nuova legge il permesso di soggiorno per motivi umanitari è stato cancellato e sostituito da nuovi permessi che hanno fortemente ridimensionato il bacino di utenza.
I nuovi permessi istituiti concedono la protezione e il permesso solo in casi ben specificati.
Attualmente, grazie a questi nuovi permessi, possono ottenere il diritto al soggiorno chi si è distinto con atti di particolare valore civile, chi versa in condizioni di salute di gravi entità, chi non può tornare nel proprio paese a causa di gravi calamità o di rischio di persecuzione e torture e alle vittime di tratta, di grave sfruttamento lavorativo e di violenza domestica.
A livello formale, l’articolo 18 della legge non è stato cambiato e le persone vittime di tratta sono ancora soggetti con diritto di protezione, anche se di fatto si sono depotenziate le tutele per poter sottrarre i migranti allo sfruttamento della criminalità organizzata, soprattutto nei casi di sospetta o potenziale vittima di tratta.
Infatti il permesso per i casi di vittime di tratta è stato denominato “permesso di soggiorno per casi speciali”, e durerà solo 1 anno (6 mesi con possibilità di rinnovo di un anno nel caso di grave sfruttamento lavorativo), ed è rilasciato unicamente in caso di denuncia o se sono prese a carico nel sistema anti-tratta. La persona quindi deve denunciare subito il suo sfruttatore, o chiedere aiuto spiegando il perché non può collaborare con la giustizia.
Si tratta di un punto cruciale, in quanto non tiene conto della difficoltà di denunciare i trafficanti da parte delle persone che cercano di uscire dal trafficking, spesso vincolati da debiti e coercizioni fisiche e psicologiche. La questione della denuncia è estremamente delicata, poiché le persone hanno bisogno dei loro tempi, chiede aiuto non è una questione così immediata, e non tutte riescono a sottrarsi (non vogliono o non possono) dalla tratta. Ciò significa che le potenziali e presunte vittime di tratta, che hanno paura o non hanno la possibilità di denunciare il proprio sfruttatore, e che prima di questa legge potevano ottenere un generale riconoscimento all’interno della protezione umanitaria, resteranno senza un titolo di soggiorno, senza tutele legali e senza diritto all’accoglienza.
Nel caso in cui alla potenziale vittima di tratta che non è entrata nei programmi di aiuto o non ha denunciato lo sfruttatore venga riconosciuta l’impossibilità di tornare nel suo paese per il rischio di persecuzione o tortura (ad esempio per ritorsioni verso la sua persona perché non ha finito di pagare il debito con i trafficati), ad essa può essere riconosciuto il permesso di “protezione speciale”, di validità annuale che però non permette la convertibilità in permesso per lavoro, rendendo estremamente precaria la permanenza (e la vita) del migrante nel nostro paese.
Fortunatamente, il decreto non è retroattivo, quindi non avrà conseguenze immediate su chi ha già ottenuto la protezione umanitaria e su chi si trova già all’interno di uno SPRAR. Per quanto riguarda invece i migranti che non sono ancora approdati negli SPRAR, questi non hanno più il diritto di rimanere nei centri di prima accoglienza (CAS e CARA), ma non possono nemmeno entrare in quelli destinati alla seconda accoglienza, in quanto questa è unicamente riservata ai titolari di protezione internazionale, del nuovo permesso per motivi umanitari e ai minori stranieri non accompagnati. Questo significa che la maggior parte delle circa 40.000 persone che avevano ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari tra il 2017 e il 2018 si ritroveranno letteralmente lasciate per strada; queste persone, a meno che nel frattempo non abbiano trovato un lavoro che gli permetta di regolarizzarsi e ottenere un permesso per motivi di lavoro, alla scadenza del permesso si ritroveranno a dover essere espulsi, in quanto considerati come meri migranti “economici”, e quindi non degni di una protezione umanitaria.
L’idea di espellere così tanti migranti (considerando che la maggior parte delle richieste d’asilo è stata accolta per motivi umanitari) appare però difficilmente attuabile, per motivi sia di accordi internazionali che economici. Questa situazione trasformerà quindi la maggior parte dei migranti con protezione umanitaria in irregolari, rendendo così queste persone ancora più vulnerabili a eventuali ricatti e a entrare a contatto con le organizzazioni criminali.
Nonostante quindi la protezione per i migranti vittime del trafficking è rimasta, questa legge rischia di fatto di aggravare la vulnerabilità delle potenziali e presunte vittime di tratta. Inoltre questa legge rischia anche di aumentare il numero di persone a rischio sfruttamento: con l’aumento degli irregolari si creerà un esercito di persone che avranno come unica opzione quella di darsi al lavoro nero, arricchendo così le reti che si sostengono di caporalato e sfruttamento lavorativo. Per buona pace della sicurezza e della lotta alla mafia.
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