Giovedì, 22 Novembre 2018 00:00

Verso il 25 Novembre. Breve riflessione sulla violenza contro le donne

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Il 25 novembre è la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Questa data fu scelta dalle Nazioni Unite nel 1999 per ricordare il brutale assassinio di tre donne - le sorelle Mercedes, Antonia e Maria Mirabal - che il 25 novembre 1960 furono trucidate a causa della loro resistenza contro il feroce regime di Trujillo, dittatore della Repubblica Dominicana dal 1930 al 1961.

Se la maggior parte delle “giornate internazionali” rischiano di perdersi nel marasma delle ricorrenze formali, il 25 novembre è divenuto con il tempo un appuntamento di riflessione e rivendicazioni, che ha varcato i confini delle istituzioni. In Italia dal 2005 questa data è divenuta un appuntamento fisso di mobilitazione femminista, che è riuscito a riunire nelle piazze tantissime persone (attualmente portata avanti dal coordinamento Non una di meno), riportando in auge un movimento di donne che sembrava seppellito da decenni, presente più negli enti sovranazionali che nelle piazze.
Grazie a questo nuovo fermento (mondiale, non solo in Italia) attorno alla violenza contro le donne, dopo gli anni ’10, vi sono state una serie di pressioni politiche e internazionali da parte di istituzioni e organizzazioni legate al femminismo e ai diritti umani che hanno permesso di portare all’attenzione mediatica il fenomeno del “femminicidio” e hanno portato alla creazione di una legge ad hoc nel 2013.
Questa è l’ultima legge approvata contro la più fatale forma di “violenza contro le donne”; ma anche le altre forme della violenza di genere, come lo stupro, lo stalking, la violenza psicologica, economica e fisica, non sono state considerate reati fino a tempi molto recenti. Fino al 5 agosto 1981 la legge italiana prevedeva riduzioni della pena per il “Delitto d’onore”, rispetto a un normale omicidio; fino al 1996 lo stupro veniva considerato come reato contro la moralità pubblica e non contro la persona e una legge sul reato di stalking è stata introdotta solo nel 2009.
Si tratta di piccoli tentativi di prevenzione della violenza, per frenare un problema sociale che ha sempre faticato a uscire allo scoperto; questo poiché la violenza contro le donne non veniva riconosciuta come endemica, ed è stata troppo spesso relegata nella sfera privata.

Quando si parla di violenza contro le donne infatti la vittima non è la singola persona che subisce il maltrattamento, ma è più astrattamente la rappresentante di un’identità collettiva. Il femminicidio e più in generale la violenza di genere vanno invece considerati come dei fatti sociali: non vi è la semplice azione contro la singola persona, contro il suo corpo, ma si attacca il corpo simbolico della vittima, le caratteristiche sociali che lei incorpora. Non bisogna dimenticare inoltre che la violenza è situata, per cui una donna può risultare più o meno vulnerabile alla violenza domestica anche a seconda della propria condizione identitaria o economica.
Nonostante la violenza contro le donne sia un problema riconosciuto e attualmente non sia più considerato come piaga individuale ma come un problema strutturale all’interno della società, la lotta a questo fenomeno viene spesso travisata e utilizzata come mezzo di propaganda. Si è passati dalla quasi invisibilità della violenza contro le donne a parlarne tantissimo, e spesso in maniera controproducente: moltissime industrie, pubblicità, politici securitari e star della tv hanno iniziato a sfruttare la battaglia contro la violenza sulle donne, utilizzando anche immagini e messaggi che rafforzano la violenza stessa.
Se da una parte c’è un’ala politica che giustifica sul corpo delle donne le loro prese di posizioni conservatrici, che di fatto limitano l’azione e l’autodeterminazione della donna, dall’altra c’è la tendenza a creare campagne contro la violenza, che rafforzano i modelli di genere già esistenti. Sono ad esempio numerose le campagne contro la violenza sulle donne che mostrano una figura debole, vittima, con i tratti infantili enfatizzati, che di fatto rafforzano l’idea della donna come sesso debole da proteggere.

Si tratta di un enorme paradosso: la maggior parte degli studi sulla violenza contro le donne mostrano come essa sia fortemente incoraggiata dalla rigidità dei ruoli di genere. Nella dicotomia uomo/donna è l’uomo che viene investito di un ruolo di superiorità rispetto alla donna, viene cioè legittimata socialmente una sua autorità, una supremazia, che può sfociare nella violenza. La donna viene educata fin da piccola ad essere più indifesa, poiché il modello femminile la vede come passiva, docile e abituata ad accettare il dominio maschile, e conseguentemente portata a vivere l’esperienza della violenza domestica come qualcosa di inevitabile. Dall’altro lato l’uomo è visto come virile, aggressivo, e la forza fisica tra essi è socialmente più accettabile, anzi spesso viene incoraggiata. La stessa paura di non poter essere all’altezza di questi modelli è indicata come una possibile causa di violenza: sentendo il suo status minacciato, un uomo potrebbe reagire con violenza, al fine di ripristinare il proprio ruolo. In questo caso la violenza contro le donne è prodotta dalla paura dello sminuirsi dell’autorità maschile: l’ambiguità, i ruoli ibridi e non definiti, possono risultare difficili da affrontare (soprattutto se legati a un’educazione rigida e tradizionale), fanno paura, vi è quindi un esigenza di riportare il caos all’ordine, anche se ciò comporta azioni estreme.
Quelli che sembrano semplici stereotipi diventano vere e proprie armi. Stereotipi che inevitabilmente non danneggiano solo le donne, ma anche uomini, transgender, transessuali e intersex. La cultura patriarcale, lungi dall’essere un retaggio del passato, influenza la nostra vita di tutti i giorni, ed è una delle ideologie egemoni più antiche e radicate.

L’esempio più recente è come, nel 2018, sia necessario ancora prendere posizione sul fatto che un vestito, per quanto possa essere considerato sexy, non è consenso. Eppure in una sentenza avvenuta qualche giorno fa in Irlanda, un uomo è stato assolto dall’accusa di stupro poiché, visto che la ragazza indossava un tanga, essa era di sicuro consenziente. Una sentenza che sembra estremamente anacronistica, se si pensa che già nel 1971 si denunciava che: “poiché è ancora vivo il mito che la maggior parte delle donne desidera segretamente essere violentata, in genere una donna è biasimata per la violenza carnale che ha subito, mentre gli uomini, in nome di un’”incontrollabile” spinta carnale, sono spesso scusati nella loro aggressività sessuale”1.

Bisogna inoltre considerare che gli ultimi decreti legge, in primis il ddl Pillon, incoraggiano il modello di una società fortemente maschilista e legata ai ruoli della “famiglia tradizionale” rischiando in questo modo di aggravare e incoraggiare situazioni di violenza, diminuire gli strumenti che attualmente le donne hanno di autodeterminarsi, e facendo tornare nel sommerso tantissimi casi di violenze.


1 Our Bodies, Ourselves, Boston Women’s Health Book Collective, 1970

Immagine liberamente tratta da www.maxpixel.net
Ultima modifica il Giovedì, 22 Novembre 2018 17:09
Elena De Zan

Nata a Treviso nel 1987, ha successivamente vissuto tra Bologna, Bucarest e Firenze. Femminista appassionata di musica, si interessa di politica, sociologia, antropologia e gender studies.

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