Il burocrate nero: il fallimento della politica sull’immigrazione del ministro Minniti
In queste ultime settimane di campagna elettorale, Matteo Renzi sta facendo girare come una trottola per l’intera penisola Marco Minniti, per sfoggiare i suoi risultati di Ministro dell’interno del governo Gentiloni. Applicando delle politiche e una chiara strategia voluta dal segretario nazionale del PD per trattenere l’elettorato di destra che, con la rinascita di Berlusconi e Forza Italia, sta tornando alla sua tradizionale collocazione dopo alcuni anni: uno dei tanti flussi elettorali che stanno fuoriuscendo dal Partito Democratico da tutte le direzioni politiche, la cui quantità sarà misurabile solamente dopo il voto. Dopo aver posizionato pedine (al momento) fedeli nei Collegi per reggere l’urto di una possibile sconfitta e schiacciare una minoranza infuriata, Renzi utilizza la ricetta Minniti contro l’incalzante quanto fomentato malcontento della popolazione italiana verso i rifugiati e migranti. Una ricetta basata su due pilastri fondamentali: il decreto sicurezza Minniti-Orlando (l’inserimento del nome del guardasigilli è una chiara mossa politica) e il Minniti Compact sull’immigrazione.
Il dramma della questione migratoria in seguito agli accordi con la Libia
Quello che è successo la scorsa settimana nella parte del Mediterraneo che divide Libia e Italia è qualcosa che non solo fa rabbrividire da un punto di vista umano, ma aggiunge anche nuove complicazioni alla già difficile e mai risolta questione del traffico di migranti e delle politiche migratorie ad essa collegate. Proviamo a ricostruire brevemente la vicenda, anche se poco chiara poiché si contrappongono versioni differenti. Era il 7 novembre quando un fatiscente gommone, a trenta miglia dalle coste di Tripoli, è stato raggiunto da una parte da una motovedetta della marina tripolitana, dall’altra dalla Sea Watch, una ONG tedesca arrivata sul posto per soccorrere i migranti.
Sul dibattito riguardo le ONG
La questione migratoria in Italia continua a essere al centro di vivaci dibattiti politici. In particolare, negli ultimi mesi si è accesa una vigorosa polemica sul ruolo delle organizzazioni non governative che partecipano alle operazioni di salvataggio in mare dei migranti. L'apertura di un'inchiesta da parte della Procura di Trapani sull'operato di alcune persone fisiche appartenenti a queste organizzazioni e di cui si ipotizza il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ha sollevato un polverone, peraltro ben presto alimentato dalle dichiarazioni di alcuni esponenti di M5S e Lega che denunciano presunti accordi fra volontari e operatori umanitari con scafisti e trafficanti di uomini.
Riflettendo sulla proposta del ddl Fiano
Il 25 luglio Macron ha annunciato la stipula di un accordo, a Parigi, tra al Serraj e il generale Haftar, mostrando un rinnovato protagonismo francese nello scenario mediterraneo dopo la fallimentare presidenza Hollande. Lo stesso giorno i quotidiani italiani riportavano la notizia che i militari francesi in Niger chiudono da anni gli occhi sul traffico di esseri umani nella tratta Africa-Europa. Il 27 luglio, dopo aver già disconosciuto gli accordi dell’era Hollande con Fincantieri, l’esecutivo francese ha infine annunciato la nazionalizzazione dei cantieri Stx.
Se a pochi mesi dall’elezione del nuovo Presidente l’isteria antitrumpiana sta decollando promettendo di arrivare a toccare picchi inimmaginabili, dall’UE osserviamo la prima macro-contraddizione del capitalismo occidentale nella sua fase senile. Infatti, il summit dell’Unione Europea a Malta ha avuto come obbiettivo primario un accordo per bloccare la cosiddetta “rotta del Mediterraneo”.
Nuova svolta in Medio Oriente (a dieci mani)
La guerra civile siriana ormai giunta al suo quinto anno ha vissuto molti episodi di svolta che apparivano decisivi e si sono poi rivelati quantomeno effimeri. La verità è che il contesto in cui si inserisce vede un quadro geopolitico in cui le principali potenze emergenti del mondo sempre più multipolare si scontrano con l’Impero decadente americano che adotta strategie pericolosamente affini a quelle dell’Isis e delle varie formazioni jihadiste. Questa settimana proponiamo un’analisi dell’ultima svolta dettata dalla riconquista del fronte governativo siriano della città di Aleppo, in concomitanza, o quasi, con l’omicidio in Turchia dell’ambasciatore russo Andrey Karlov.
Non sono passate che poche settimane dalla pubblicazione dei dati che certificano l'incremento in Italia della povertà assoluta (leggi qui) e il governo, senza pensarci su troppo, riesce a imbarcare il Paese in una nuova guerra, nonostante a marzo le piazze italiane abbiano chiaramente espresso la contrarietà a qualsiasi coinvolgimento militare dell'Italia.
Contro un intervento italiano in Libia
"Nei giorni scorsi la stampa libica ha rivelato che una delegazione militare e d’intelligence italiana “di alto livello” ha incontrato il generale Haftar nella base di di al-Marj, città della Cirenaica nota con il nome di Barce ai tempi della colonizzazione italiana. Non si può escludere che l’obiettivo della visita fosse anche quello di definire il rischieramento in quell’area di mezzi, velivoli e truppe italiane.
Circa la tipologia di intervento la Pinotti ha parlato di aiuti che i libici hanno già indicato di preferire: protezione del governo quando si insedierà a Tripoli, formazione e addestramento".
Libia 2011: troppi ignavi, silenziosi o consenzienti mentre la Nato apriva la strada ai nazi-califfi.
Con atrocità e massacri, l’intero Medioriente e buona parte dell’Africa pagano per le guerre dei governanti occidentali e l'ignavia dei relativi popoli. In tanti dovrebbero mettersi in ginocchio.
Adesso che il nazismo dello Stato sedicente islamico dilaga in Libia e sgozza lavoratori migranti egiziani sulle spiagge mentre altri frutti delle guerre occidentali dirette o indirette continuano a morire in mare; adesso che il risultato della guerra Nato del 2011 si dispiega pienamente, adesso che- veramente da tempo - gli altri effetti sono in Siria, Iraq, Africa, ammetterà qualche colpa chi nel 2011 per sette lunghi mesi non fece nulla, tacque o peggio avallò le menzogne mena-guerra dei cosiddetti “ribelli” poi rivelatisi bande islamiste e razziste che ora confluiscono nel califfato nazista - nazista per le infernali azioni e l'equivalente pensiero?
Era il 2011. Berlusconi era preoccupato, ma non telefonò a Gheddafi, perché "non voleva disturbare nessuno". Le opposizioni di allora erano invece scandalizzate per il silenzio del governo sulle vicende libiche. Veltroni riteneva inaccettabile il silenzio sugli ormai "quasi cento morti". In Parlamento c'erano ancora Fini e Di Pietro. Anche i loro partiti, insieme all'UDC, chiedevano una netta presa di posizione contro il dittatore di Tripoli. Camusso e Rossandasostenneroquesta linea di indignazione.
Le Primavere Arabe facevano sognare il pubblico televisivo occidentale, cavalcando l'attivismo militante praticato su Facebook e Twitter. In fondo Gheddafi in Italia era visto da tutti come "amico di Berlusconi", così la realtà della Libia poco contava. Il dittatore doveva morire e la democrazia trionfare.
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