Magistratura e politica: (continua) un rapporto complicato
La richiesta dei pm di Genova è stata accolta sei giorni fa dalla Cassazione che ha disposto il sequestro di "qualsiasi somma di denaro ovunque venga rinvenuta" riferibile alla Lega Nord, fino a raggiungere 49 milioni di euro, ricorrendo “anche alle somme affluite in un momento successivo alla data di esecuzione del decreto di sequestro del 4 settembre 2017 sui conti e depositi riferibili alla Lega Nord”.
Volere giustizia per Duccio Dini e voler aprire i porti si può
In queste ore a Firenze si intrecciano due vicende, una locale, l'altra nazionale: da una parte lo sgomento e la condanna generale per la morte di Duccio Dini, vittima collaterale di una lite tra due residenti nel campo nomadi del Poderaccio, dall'altra la decisione del neo ministro degli Interni Matteo Salvini di bloccare gli arrivi degli extracomunitari, negando loro l'aiuto dell'Italia. Le due vicende rischiano, con la loro concomitanza, di non permettere una sufficiente lucidità all'opinione pubblica.
La morte del diciasettenne Davide Bifolco per mano di un carabiniere lascia un senso di impotenza mista a rabbia. Da quando è accaduto il fattaccio, ognuno si sente legittimato a dire la propria, su chi ha ragione e su chi ha torto.
È certo che Davide, non riposerà in pace, sarà sempre agitato e tirato in ballo per dimostrare che lo Stato non c’è, o peggio che lo Stato uccide e la camorra protegge. Queste le assurde parole dette con rabbia dalla folla di manifestanti che ieri ha voluto ricordare Davide, nel Rione Traiano nel napoletano, terra di spaccio e di illegalità.
Giovanni Falcone, magistrato anti-mafia trucidato da Cosa Nostra, sosteneva che il coraggio “è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa”. La paura in questione è quella provata da parte di uomo minacciato perché fa bene il proprio lavoro, quella paura che ti fa temere per la tua incolumità e per coloro chi ti stanno accanto.
Nulla di tutto ciò - fortunatamente - riguarda il giovane Presidente del Consiglio Matteo Renzi, presentatosi audacemente alla ribalta nazionale come il “rottamatore” di una classe politica abietta, disonesta e inefficiente.
Vedendo in questi giorni i litigi interni al Pdl si può pensare di vedere il massimo della comicità (e forse è vero), però c’è un’altra faccenda che attualmente sta rasentando il ridicolo: l’Ilva. Mentre siamo in attesa della decisione della Procura sul ricorso alla Consulta per conflitto di attribuzione, mi viene da fare un paio di riflessioni sul famoso decreto che ha “salvato” lo stabilimento. Esso presenta, a mio avviso, due problemi.
Il primo riguarda l’ennesima e stancante delegittimazione della magistratura. C’eravamo abituati a vederla nel nome dell’illegalità berlusconiana, adesso la vediamo nella veste montiana di necessità ed urgenza per far fronte alla grave crisi economica; sempre la stessa cosa rimane. Il conflitto di attribuzione è evidente, a tal punto che rasenta l’incredibile con l’art.1 comma 4, il quale dispone la possibilità di riprendere la produzione nello stabilimento, anche se esso si trova sotto sequestro da parte della Procura. Il tutto ha fatto sì, inoltre, che tutta la produzione post-sequestro e ante-decreto dello stabilimento (circa quattro mesi di produzione) sia stata dichiarata illegale. Per risolvere questa comica situazione il governo ha deciso di preparare un emendamento che affidi anche il prodotto illecito all’azienda, sottraendolo alle temibili toghe. Interessante che il Ministro Clini abbia più volte dichiarato di come la Procura si debba semplicemente attenere alla legge senza fare altro, correndo subito dopo ai ripari, con questo emendamento, per un errore di certo non imputabile alla magistratura. Ci sarebbe poi da dire qualcosa sulla dichiarazione in sé, cioè su come un ministro possa valutare la legittimità di un ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto d’attribuzione o la conformità alla Costituzione di una legge che egli stesso ha prodotto, ma andremmo fuori tema.
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