Immediatamente il Segretario Salvini, ha ribattuto: «Vogliono metterci fuori causa per via giudiziaria, quei soldi non ci sono».
Questa volta il Segretario della Lega ricopre un ruolo istituzionale di non poco conto, a differenza del Bossi di allora. Poche ore dopo il Ministro dell’Interno e Vicepremier ha chiesto udienza al Presidente della Repubblica per parlare del problema. Mattarella ha tergiversato, accettando infine di ricevere Salvini, negando comunque che si parlerà del problema per il quale era stata chiesta udienza.
Si prospetta una prima crisi del Governo Conte? Il M5S prenderà una posizione netta?
Sul Dieci Mani di questa settimana raccogliamo le opinioni dei nostri autori in merito
Il caso giudiziario dei “49 milioni” della Lega è di per sé politicamente significativo, nonostante i goffi tentativi di Salvini di discolpare se stesso ed il partito che guida addossando la responsabilità alle passato gruppo dirigente leghista, il “cerchio magico” di Bossi & co: praticamente un “e allora il governo precedente?!” in sedicesimi, che semmai evidenzia la pochezza argomentativa della compagine gialloverde.
È significativo soprattutto perché non può non colpire collateralmente il partner senior nella compagine di governo, il M5S, data la natura spiccatamente giustizialista della traballante cultura politica di quest'ultimo.
Per silurare Di Pietro e l'Italia dei Valori bastò qualche decina di minuti di character assassination televisiva, per una vicenda dal quale in seguito l'ex magistrato è tra l'altro uscito del tutto “pulito”. Il M5S vanta altre forze ed altri numeri, certo, ma deve già fare i conti con una poco invidiabile picchiata nei sondaggi. È del tutto possibile che, dalle segrete stanze dei vertici grillini allarmati dalla possibile disintegrazione dei consensi, possano provenire sorprese, in un prossimo futuro.
Ma sono soprattutto le reazioni interne al governo Lega-M5S ad avere un significato, politico e soprattutto di cultura istituzionale. Le scomposte dichiarazioni di Salvini, così come le dichiarazioni tragicomiche di membri della maggioranza sulla necessità di cancellare le correnti (tutte o solo quelle “di sinistra”, a seconda delle versioni) dalla Magistratura puntano il dito contro un problema che l'Italia si porta dietro da decenni, e che da sempre ne avvelena la vita politica: la totale assenza di una cultura istituzionale e civica stabile e diffusa, che renda chiari e trasparenti i confini e le dialettiche dei poteri e che in un certo senso ne “sacralizzi” le forme.
D'altronde è difficile pensare che potesse andare altrimenti, in un Paese in cui la legge elettorale si cambia ogni pochi anni, in cui si varano leggi patentemente incostituzionali salvo vedersele bocciate dalla Consulta dopo qualche mese, Corte Costituzionale già oberata da decine di ricorsi dello Stato centrale contro proprie autonomie locali, perlopiù su questioni assolutamente futili, e viceversa. Un Paese in cui leader dal piglio decisionista si sentono liberi di reimmaginare a proprio uso e consumo la forma dello Stato, tentando con più o meno successo di imporre i risultati delle loro fatiche ad un elettorato in cui ormai, a livello di percezione, a predominare è il rumore creato da decreti-spettacolo e maxiriforme che vivono il tempo di una farfalla.
E, semmai, il disorientamento nutrito da un circo politico-mediatico inconcludente.
Piergiorgio Desantis
Il rapporto e la divisione dei poteri dello Stato è una questione che proviene sin dalla notte dei tempi.
Il rapporto tra magistratura e politica è un tema della storia italiana davvero molto appassionante, soprattutto (almeno per il sottoscritto) a partire dalla caduta del Fascismo. Purtuttavia, qui è utile risalire alla fine della Seconda repubblica e al connesso crollo dei partiti storici (DC, PCI, PSI…) che hanno gestito l’uscita dalla seconda guerra mondiale, boom economico e crisi conseguente.
Ebbene, non si svela nessun segreto se si afferma che i partiti di massa attraversavano un lungo periodo di crisi ben prima del “protagonismo” della magistratura negli anni ’90 del secolo scorso, esemplificato nelle vicende legate al Pool di Mani Pulite a Milano.
In realtà, da quel momento il consenso relativo a movimenti o partiti politici è divenuto davvero liquido (e qui non voglio fare bassa sociologia baumaniana d’accatto). Ciò determina un’instabilità continua del sistema politico italiano con una continua rincorsa dell’oggi e dell’ora senza considerare le scelte di fondo che caratterizzano l’Italia (sappiamo, invece, che all’interno del gruppo dirigente del PCI o della DC c’era un dibattito e anche una sintesi intorno a delle linee direttive).
Quello che penso è che proprio la debolezza della politica italiana, dal punto di visto della teoria, dell’organizzazione, del consenso ha determinato e continua a determinare un allargamento degli altri poteri a scapito di questa.
Dopodichè, fuor di considerazioni che riguardano il lungo periodo e fuori da futili teorie complottistiche, i 49 milioni di euro che la Lega deve restituire allo Stato italiano devono o dovrebbero saltar fuori da qualche parte se è la Cassazione che lo chiede.
È passato appena un mese dalla formazione del Governo, avvenuta dopo un travaglio non poco difficoltoso, e siamo di fronte a una mina di non poco conto per il carro di Governo.
In questa rubrica del rapporto malato tra politica e magistratura ne avevamo già parlato a settembre, nel pre-elezioni (qui).
Oggi si torna a riaprire la partita con l’intervento della Cassazione che annuncia l’accoglimento della richiesta dei pm di Genova dello scorso settembre.
Il M5S per ora non ha tenuto il punto, anche se il Movimento raccoglie indubbiamente gli spiriti più agguerriti del giustizialismo e non è escluso possa avvenire una spaccatura nella coalizione di governo.
La risposta del Segretario della Lega è stata perentoria: «Se ci sono fatti dieci anni fa, si pensi a quelli che c’erano dieci anni fa; i milioni di italiani che col 2 per mille danno un contributo al nostro partito non c’entrano. Siamo sereni».
Il PD, ovviamente coglie la palla al balzo e cerca di infilare il bastone tra le ruote al nuovo governo soffiando sul fuoco della sentenza.
Insomma, ci risiamo, si tornano ad utilizzare le sentenze per fare politica.
Erano tempi diversi, con protagonisti diversi, almeno a livello narrativo.
La vicenda della truffa leghista sui rimborsi elettorali percepiti dallo Stato, culminata con l’autorizzazione della Cassazione al sequestro di qualsiasi somma di danaro ascrivibile al partito, pone effettivamente una questione democratica di rilievo.
Essa non è però, come si lagna Salvini, il rendere di fatto impossibile l’attività politica di un partito. È anzi l’esatto contrario: quella attività politica di quel partito potrebbe essere stata finanziata con denaro illecitamente profittato, visto che, come ammette candidamente Salvini, quei soldi sono stati spesi nel corso degli anni. Quale impatto ha avuto quel denaro sulla crescita di consenso della Lega Nord? Grazie a quali fondi il partito è passato dal 4% del 2014 al 15% del 2015 e dal 15% del 2017 al 25-30% del 2018?
Le preoccupazioni sulla prosecuzione dell’attività politica della Lega Nord sono infondate, come sa benissimo anche Salvini che già da tempo ha messo in piedi un partito nel centro-sud nominato “Lega Salvini Premier”, erede dell’iniziale “Noi con Salvini”. Le due Lega sono in tutto e per tutto strutture separate, anche ai fini della contribuzione volontaria del 2‰.
In attesa dell’ulteriore svolgersi delle indagini, sarà interessante vedere cosa sceglierà il Movimento 5 Stelle. Di Maio per ora mantiene l’asse con Salvini, ma per il M5S l’occasione di dipingere un concorrente “populista” come disonesto ed elitario è troppo ghiotta, oltre al fatto che l’indagine in ogni caso indebolisce politicamente la Lega.
Di Maio e Salvini sono legati da un contratto privato che è evidentemente nullo ad ogni effetto giuridico. Almeno per quanto reso noto al pubblico. Esistono ulteriori intese tra i due? Esistono rapporti finanziari tra i due partiti? Domanda lecita, visto che anche il Movimento 5 Stelle è stato chiacchierato per fonti finanziare opache, forse mascherate da un sistema di scatole cinesi.
La Lega può risultare indebolita da questa vicenda, ma anche ricompattata, visto che essa riguarda sia Salvini sia il suo principale avversario interno e suo predecessore alla guida del partito, Maroni.
Nel M5S invece potrebbe essere l’occasione per far emergere il dissenso di quella corrente sinistra che, nelle parole di Renzi, “si nasconde bene”.
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