Mercoledì, 23 Gennaio 2013 00:00

Anni di piombo (funerali di Gallinari)

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È certamente un caso che Prospero Gallinari sia nato a Reggio Emilia. Come certamente lo è che in quella provincia, come in tutta l’Emilia e la Romagna l’azione fascista prima, delle Brigate nere e nazista, poi la reazione degli agrari contro le lotte del movimento operaio e contadino siano state particolarmente violente negli anni venti e sino alla Liberazione. È certamente un caso che il 7 luglio 1960 cinque compagni iscritti al PCI siano stati ammazzati dalle forze dell’ordine durante una manifestazione contro la legge truffa di Tambroni e l’assalto fascista a Genova per il congresso del Movimento Sociale Italiano. È certamente un caso che tutti i poliziotti e carabinieri inquisiti siano poi stati assolti. E’ certamente un caso che negli anni ‘60 Gallinari rompa, dopo quei fatti, con il Partito Comunista italiano.

È certamente un caso che Gallinari sia vissuto in una terra che ha visto fucilare i fratelli Cervi. È certamente un caso che quei territori abbiano vissuto la pacificazione repubblicana come rivoluzione tradita. Ed è certamente un caso che oggi a mensa l’addetta al servizio, rivolta ad altra commensale, si sia alterata proferendo un sonoro vaff… dichiarando “Io sono di li, l’Internazionale la canto quando e dove mi pare, ma vaff… Chiudano Predappio!“.

La storia non fa sconti, le BR sono un capitolo drammatico della storia italiana. L’errore di analisi politica che ne hanno determinato la costituzione, il loro evolversi come vero e proprio gruppo di fuoco non trova giustificazioni politiche. La violenza come pratica in se non trova giustificazioni. Eppure la ricostruzione dei fatti aiuterebbe un dibattito serio su quegli anni ed anche sull’oggi. Cosi ormai sono conosciuti gli anni che vanno dai primi anni settanta alla metà degli anni ottanta. E’ una semplificazione, una rappresentazione scenica, che coglie il senso comune ma non la storia ed il suo divenire concreto. Non che il piombo non ci sia stato. Un piombo pesante, da destra e da sinistra. Ma il piombo non era tutto.

È difficile parlarne oggi ed in particolare scriverne, l’equivoco è sempre dietro l’angolo, la libera interpretazione e la strumentalizzazione sono ormai cosa comune: è toccato a Claudio Grassi per la semplice partecipazione ad un funerale, figuriamoci a chi solleva dei dubbi ad una interpretazione/lettura semplificata di quegli anni decisivi per la storia italiana e la dissoluzione della sinistra (questa è la mia opinione).

Con la coscienza e l’umanità di oggi è fin troppo facile condannare come immorale l’omicidio, è giusto ma è assolutamente insufficiente per ricostruire la storia. L’Italia è l’unico Paese in occidente ad aver conosciuto quel fenomeno, chiamato terrorismo rosso, per un tempo cosi lungo e densamente riempito di fatti di sangue. La Germania ci insegue ad una bella distanza. Ma è anche l’unico paese europeo che ha conosciuto in una dimensione così vasta il terrorismo di stato.

Uscivamo da un decennio travolgente (gli anni sessanta), dentro ai quali una radicalità nuova veniva materializzandosi. Una radicalità che cambiava costumi di vita, definiva una nuova morale, altri comportamenti. Ma anche una nuova radicalità sociale. Le esperienze, a partire dalla fine degli anni ‘50 e poi per tutti i ‘60 delle esperienze di lotta operaia, non solo salariale, ma di potere, hanno segnato quel tempo.

Il tema, maturato via via, non era più solo quello del sopravvivere ma del come cambiare i rapporti di potere tra le classi, dentro e fuori la fabbrica. Il ‘68 e, fenomeno unico in Europa, il ‘69 italiano indicavano questo. Il ‘69 degli operai e degli studenti, generazioni diverse, condizioni ed aspettative di vita diverse che si rappresentavano intorno ad uno slogan divenuto famoso “ Il potere deve essere operaio”. E di fronte a quella domanda radicale lo Stato intervenne in tutta la sua potenza e violenza. Anche questo sono stati gli anni settanta.

La rivoluzione mancata, l’incapacità a leggere le nuove forme di dominio e di potere, i nuovi processi della modernizzazione capitalista: l’incapacità della sinistra e del PCI di leggerli non è irrilevante per capire cosa è successo dopo. Anche la vecchia “nuova sinistra” oscillò, verrebbe da dire sinistramente. Arrivando a rappresentarsi, in alcune delle sue componenti, con un altro slogan famoso “Né con lo Stato né con le BR“ e dall’altra a tentare di rappresentare un movimento che di per sé non era rappresentabile né voleva esserlo.

Una generazione, alla metà di quel decennio, vide chiudersi ogni speranza: la trasformazione non era più all’ordine del giorno, la scuola un parcheggio, i vecchi valori non vivevano più, non erano più convincenti. Aspettare un domani migliore dentro ad un oggi di cemento non convinceva più. La bara di cemento del compromesso storico fece il resto. Quel movimento non fu rappresentato né fu capito. “Tutto e subito”, senza mediazioni, apparve a molti come l’unica possibilità per sentirsi vivi. Altri scelsero la strada individuale o di piccolo gruppo: per molti la soluzione fu tornare a casa, per alcuni la scelta fu l’atto esemplare per sollevare le “masse”, l’atto esemplare di una azione che fosse riconoscibile e fuori dagli schemi della politica e del potere. Altri ancora scelsero il tener duro, riflettere su se stessi, provare a ricostruire un’idea di cambiamento oltre lo schema azione/reazione; riconnettersi con una collettività, anche con le sue contraddizioni. Ma qui siamo già all’inizio degli anni ‘80. Dentro la sconfitta provando a ripartire. Ma non è negabile, almeno per me, che ci fu in quegli anni un vasto movimento di consenso alla azione diretta, “Autonomia operaia” ne fu l’incarnazione.

Tranciar via quella storia, come se non ci fosse stata non mi pare una grande operazione politica. Né mi pare serva a capire il presente.

Immagine tratta da http://casarrubea.wordpress.com

Ultima modifica il Martedì, 22 Gennaio 2013 23:35
Luca Ciabatti

Nato il 30 aprile 1961 a Pontedera (Pisa) da famiglia operaia. Studente delle scuole superiori a Firenze nella seconda metà degli anni settanta, una volta terminati gli studi si inserisce nella vita politica a Pontedera e si iscrive allo Pdup. Si impegna nel movimento cooperativo e partecipa alle lotte per l’esproprio delle terre incolte nel pisano. Dipendente del Comune di Pontedera dal 1981, ne dirige la struttura aziendale Cgil. Dal 1984 dirige la Funzione pubblica (Fp) CGIL in Valdera. Dirigente della Fp di Pisa, nel 1993 ne diviene segretario generale. Si dedica completamente al lavoro sindacale e segue corsi di formazione presso la Scuola superiore di pubblica amministrazione dell’Università di Siena. Nel 1996 viene chiamato a dirigere il sindacato della Fp Cgil Toscana e nel 1999 ne diventa segretario generale; partecipa alle lotte sui servizi pubblici, contro il lavoro precario, per una sanità pubblica. Già consigliere regionale della Toscana per Rifondazione Comunista

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