I progetti di legge Aprea-Ghizzoni hanno restituito l'epidermico sentore della sottrazione democratica in forme che gli addetti ai lavori non riuscivano a nascondere nella cortina propagandistica della destra e che si esplicitavano negli sponsor fra i banchi e nei consigli d'amministrazione, aperti alle imprese: così l'incubo è diventato realtà. Non c'è bisogno di scomodare Max Weber per dire che la riforma neoliberista della scuola partorita dal polo del voto utile PD-PDL è ideologica, perché la sua irrealizzabilità si è verificata dopo poche settimane.
Troppe concessioni ai privati ma anche scarsa aderenza ad una realtà frastagliata come quella italiana, per non parlare dei cedimenti verso la Lega Nord, fra prof a chilometri zero come le zucchine e corsi di dialetto (o cultura locale) proposti dal duo Goisis-Pittoni, e verso Brunetta, con il freno imposto alla contrattazione a danno di lavoratori e sindacati per mezzo dalla legge 15 e dal decreto 150 finalmente elevata a sistema per mezzo di questa proposta. Ecco la scuola della terza repubblica, signori, fatta per imporre la visione neoclassista, regionalista e antipopolare che contraddistingue il potere tecnocratico.
La scuola della controrivoluzione post-ideologica, come qualche esponente della destra temerariamente sbandierava sottovalutando la natura pubblicitaria dell'accrocchio. È finita male, per tutti, perchè la discussione, vuoi per il tempismo dell'allora neoministro Profumo - che aveva pubblicizzato il progetto insieme alla possibilità degli aumenti orari per i docenti generando un'ondata di scioperi e agitazioni nelle scuole come non se ne vedevano da tempo - , vuoi perchè le autonomie costano e nella politica dell'austerity qualcuno forse aveva fatto male i conti con una cassa sempre più vuota.
La discussione si è così bloccata, a fine legislatura e senza approdare a niente di concreto se non un pervasivo senso di instabilità in tutti gli attori del sistema scolastico nazionale. A onor del vero, le scuole-azienda esistono da tempo in Italia e fanno parte del sistema pubblico dell'istruzione. Si chiamano convitti nazionali e trasferiscono al giorno di oggi una discreta parte dell'esperienza fascista che li riformò, fra il 1923 e il 1925, su ciò che rimaneva dei collegi preunitari. In essi trovano già spazio molte pratiche e strutture aziendali o autoritarie: organizzazioni verticistiche e consigli d'amministrazione; dialettiche d'istituto bloccate e sacrificate alla primazia della soddisfazione dell'utenza, ancora una volta in chiave ideologica. Si, perchè i tipi ideali sono tali perchè non esistono nella realtà, la loro applicazione forzata non può che essere disastrosa se non adeguata alle esigenze di tutti gli attori sociali in un confronto aperto e democratico.
I risultati di questa democrazia sospesa? Col dimensionamento dell'estate scorsa due dei tre convitti nazionali toscani, quelli di Prato e Firenze, hanno perso la dirigenza perchè non hanno raggiunto i seicento alunni (tenete conto che hanno molte scuole all'interno) e un terzo, quello di Arezzo, ha risolto il problema dei numeri solo ricorrendo agli accorpamenti con altre scuole.
È questo il prodotto a cui questo tipo di efficientismo vuole informare l'intero sistema? Se è così allora dormiamo tranquilli, nel giro di pochi anni avranno sistemato tutta la scuola pubblica.