Innanzitutto, il primo dato, di per sé positivo, è la fine del mandato forte (e a dire forte si usa un eufemismo) di Giorgio Napolitano. Sette anni, più “proroga”, caratterizzati da un interventismo fuori luogo e a tempi sfasati. Il penultimo inquilino del Quirinale, eletto la prima volta da uno schieramento che andava da Gigi Malabarba a Marco Follini, non ha mosso un dito su vicende nelle quali una sua parola avrebbe potuto aiutare la tenuta delle istituzioni mentre ha addirittura imposto un governo – quello Monti – al di fuori di ogni prassi e di ogni buona creanza.
È lecito invece attendersi dal nuovo Presidente - eletto fuori dal misterioso “patto” con i masnadieri che, si spera, la sua elezione faccia saltare - un profilo più in linea con i forti limiti che la Costituzione prevede per il Capo dello Stato. Una condotta che eviti forzature nei confronti del parlamento e dell'esecutivo. Ciò a prescindere dal desiderio – a sinistra – di un Presidente ideale – che non si capisce quale maggioranza avrebbe potuto eleggere – fiero oppositore del renzismo.
Non siamo, non ancora per lo meno, nel contesto di una repubblica presidenziale: augurarsi un Presidente della Repubblica contraltare di un governo che non ci piace vorrebbe dire, inconsapevolmente, cedere culturalmente a tendenze presidenzialistiche che nulla hanno a che fare con la cultura istituzionale, incentrata sul ruolo del parlamento, espressa dalla sinistra italiana dal dopoguerra ed abbandonata, a partire dal '93, dai dirigenti dell'attuale Partito Democratico in nome di quel guazzabuglio di personalismo, accentramento dei poteri e predominanza, a tutti i livelli, degli esecutivi sugli organi di rappresentanza.
Si è in questi giorni più volte ricordato, a sinistra, che l'attuale Presidente ha ricoperto il ruolo di ministro della Difesa nella fase successiva all'intervento in forze contro la Serbia di Milosevic. Quella pagina, vergognosa occorre ribadirlo, non ha visto il solo Mattarella schierarsi in favore di una interpretazione strampalata del diritto internazionale “punendo” uno stato sovrano su vicende limitate all'interno dei propri confini. Nessuno scorda quella scelleratezza, ed appare chiaro che il nuovo Presidente non sarà un presidente “anti-Nato” (forse di realmente contrari alla NATO sono rimasti una ventina nell'attuale parlamento): ma compito del Presidente della Repubblica non è quello di gestire la difesa (o meglio l'attacco) del Paese, almeno non in un tempo nel quale non si presentano più dichiarazioni di guerra.
È lecito aspettarsi da un popolare, quale è Sergio Mattarella, ancorché autore di una pessima legge elettorale (che ha avuto come effetto un indebolimento del parlamento aumentando l'influenza sul governo), ed ex giudice della Corte Costituzionale, un maggiore rispetto per l'impianto istituzionale previsto dalla nostra Carta, anche in nome di una tradizione politica che non ha mai – nella prima Repubblica – cambiato nulla di quell'impianto che anche dai popolari è stato creato.
Dire che è lecito, e probabile, attendersi tale atteggiamento, non vuol dire che sarà così certamente, ma non vuol dire nemmeno il suo opposto.
(Sullo stesso tema aveva già scritto anche Alex Marsaglia, leggilo qui)
Foto ripresa liberamente da www.lettera43.it