Appare chiaro infatti che il sistema politico-elettorale prodottosi dopo tangentopoli, e cioè la morte di gran parte delle organizzazioni di massa, a partire dai partiti, la loro trasformazioni tuttalpiù in comitati elettorali, l'elezione diretta dei vertici delle istituzioni locali e dunque il trasformarsi di ogni competizione in tifo, i fenomeni di malcostume non più mediati da nessun contrasto etico interno alle organizzazioni: tutto ciò ha prodotto una caduta, lenta ma costante ed inesorabile, del tasso di partecipazione dei cittadini non soltanto alle urne, ma anche ad ogni altro appuntamento della vita civile e sociale.
Nemmeno le urla dell'antipolitica hanno posto un freno a questo processo, anzi, hanno finito anch'esse per diventare parte – più rumorosa, certamente – di quella confusa curva che invoca e realizza generiche “riforme” e che al di là degli accenti sembra esprimere lo stesso vuoto pneumatico nelle dichiarazioni ufficiali, e ben identificabili interessi nell'azione concreta.
L'antidoto a tutto ciò è proprio la “vecchia politica”, il contrasto palese, pubblico e per nulla scandaloso, di contrapposti interessi sociali, la ripresa di organizzazioni che pure con forme rinnovate siano orecchio e braccio di quelle idee nei territori. Una strada lunga, in salita, e che nessuno pare intenzionato a percorrere. In fondo, scarsa partecipazione implica anche minore fatica di convincimento. Una strada lunga, ma che va imboccata: non esiste infatti una soglia minima oltre la quale tale problema diventa scandalo. I Paesi dell'Est Europa sono lì a dircelo.