Lo Stato dovrebbe forse richiedere le tasse solo a chi ha un carattere forte? Oppure dovrebbe chiedere poco anche se l'evasione accertata è molta? Dovrebbe chiedere solo la tassazione netta e non considerare quegli interessi sui quali si reggono, e pagano gli stipendi, gli enti e società di riscossione? Con tutta evidenza queste affermazioni sarebbero talmente balzane, persino per un Del Debbio qualsiasi, che occorre fermarsi un attimo prima, lasciare magari sottintendere.
Tale racconto, quindi pur con le sue contraddizioni logiche, ha una sua forza dirompente, che è quella del tacere, da parte delle persone perbene, di fronte alle lacrime, alla disperazione ed alla morte altrui.
Ugualmente esso va contrastato, con saggezza ma anche con determinazione, da quanti si propongono di rappresentare il mondo del lavoro tassato alla fonte. La pietas, autentica e silenziosa, mai urlata, verso chi compie un gesto estremo, verso persone che vivono una crisi personale, non deve mai venir meno: altra cosa è il giudizio politico.
La libera impresa non è una scelta imposta dal medico, essa può andare bene (e far arricchire chi la guida) o può andare male (ciò si chiama rischio d'impresa): non si può invocare l'uscita dello Stato dalle tasche e dalle scelte degli imprenditori quando si verifica la prima condizione e poi chiedere l'aiuto dello Stato nella seconda ipotesi. Spesso si dice inoltre che tutti, ma proprio tutti, pagherebbero con serenità le tasse se esse fossero molto basse.
Questa vulgata, pericolosissima e di destra, non tiene conto del fatto che una pressione fiscale più elevata comporta una fiscalità generale più grassa e dunque maggiori servizi ai cittadini (più servizi pubblici e meno denaro disponibile per beni di consumo sarebbe una cosa di sinistra), e che a determinare l'evasione non è tanto la dimensione della pressione fiscale, quanto la possibilità materiale di poterlo fare (quindi per quanti non hanno il prelievo alla fonte) e la certezza di non subire conseguenze penali.
Questa teoria, inoltre, si contraddice logicamente, non tenendo conto del fatto che parte consistente dell'elevata pressione fiscale è motivata dall'alto tasso di evasione.
Il fenomeno dell'evasione, ovviamente, non riguarda la totalità delle imprese artigiane, spesso di carattere individuale, o dei negozi, sarebbe sbagliato affermarlo, è però utile ricordare che è sbagliata anche la difesa, irrazionale (non c'è evasione in quel mondo e se c'è è giusta) di quel settore economico nel suo complesso.
Ed è, inoltre, profondamente sbagliato ed anche un po' bislacco, per un progressista, per un lavoratore dipendente, difendere l'evasione e prendersela con un ente riscossore che ha la sciagura di essere efficiente.
In ultima analisi, ciò che serve al mondo del lavoro dipendente è un racconto, un inquadramento, della questione fiscale all'interno di una cornice ideologica propria, che non sia, dunque, la medesima che racchiude la narrazione della parte datoriale.
Un'analisi che non faccia sconti rispetto alle storture del sistema (che comunque non portano mai, da sole, al fallimento di un'azienda, un'azienda fallisce perché non ha clienti, non perché paga le tasse), che chieda strumenti di sostegno e di ristrutturazione del debito più efficaci per le imprese, ma che tenga ben separata la verità dalla menzogna, i drammi individuali dai malcostumi collettivi, e che ricordi che “uno Stato più magro” vuol dire pagarsi di tasca la TAC o avere meno caserme dei vigili del fuoco.