CASO FNAC ITALIA: il futuro è incerto, ma tutto il resto è chiarissimo
La vicenda FNAC ITALIA ha stupito molti di noi, clienti – abituali e non – che non hanno mai percepito entrando nei negozi Fnac una seppur debole crisi del marchio: file alla cassa, eventi culturali e musicali di richiamo, caos totale durante il fine settimana ecc.. queste banali considerazioni ci dovrebbero spingere ad approfondire la vicenda e scoprire, così, che la storia recente di Fnac è emblematica del modo di agire del capitalismo finanziario (che non è più buono di quello industriale, ma semplicemente più forte) e dei suoi attori principali.
FNAC è un’azienda di proprietà di PPR una delle multinazionali più sane e in salute del mondo (nel 2011 12,2 miliardi di euro di fatturato,1,6 miliardi di risultato operativo ricorrente, 1,1 miliardi di utile netto e qualcosa come 47 mila dipendenti), specializzata nel mercato del lusso. I negozi FNAC contribuiscono per il 34% del fatturato di PPR pari a 4,6 miliardi di euro (in leggero calo, ma in tempi di crisi valli a buttare) e nonostante la crisi del settore, hanno conquistato importanti quote di mercato sulle concorrenti.
Parliamo quindi di un azienda in utile ma che François-Henri Pinault, presidente di PPR, ha deciso di vendere, dapprima nella sua interezza (il marchio internazionale) e successivamente a pezzetti con la cessione, nel gennaio 2013, di Fnac Italia spa in favore del fondo d’investimento Orlando Italy.
Ma perché l’azienda del lusso francese ha deciso di liberarsi in un marchio storico ed in buona salute come FNAC?
Il motivo è semplice, all’azienda interessa massimizzare gli utili e farlo nel più breve tempo possibile; ma partiamo dal principio: PPR è un azienda quotata in borsa e che, in quanto tale, ha degli azionisti – “proprietari” di quote dell’azienda - che esigono la massimizzazione del loro utile (fin qui nulla di strano: è il mercato). Ma è anche vero che tali azionisti, soprattutto quelli con quote non particolarmente rilevanti (nel caso di PPR sono il 60% tra fondi di investimento e singoli investitori), preferiscono i profitti a breve termine, a scapito di strategie di investimento di lungo periodo, e trarne da questi profitti i massimi dividendi (per poi, generalmente, vendere le azioni e “puntare” su qualche altra aziend).
Tutti possiamo immaginare che il modo più veloce per massimizzare gli utili è ridurre i costi poiché aumentare i ricavi è più difficile; da qui il taglio dei dipendenti e delle giacenze di magazzino e la riduzione delle spese in conto capitale ovvero minimizzando gli investimenti. E così ha fatto PPR nei confronti di FNAC negli ultimi anni, nonostante ciò il marchio ha retto ed ha continuato a generare utili e dividendi.
Ma possibile che in tempi di crisi, ci sia un’azienda viva e forte che viene smantellata come se niente fosse?
Si, ed è lo stesso Pinault che, nelle sue interviste, ha spiegato che il problema è la redditività di FNAC (il guadagno percepito dai soci in rapporto a quanto investito) che nel 2011 è stato intorno al 2% (pari a quello della Fiat, poco sotto Tod’s di Della Valle e Mediaset, e pure questo dato vallo a buttare in tempo di crisi …). Quindi solo bassa redditività? L’argomento è complesso, al momento è importante far notare un altro elemento: ogni volta che il manager di PPR ha annunciato la vendita di Fnac il prezzo delle azioni della stessa PPR siano cresciuti più della media degli altri titoli francesi (vedi qui e qui).
Ma ora che futuro avranno il marchio Fnac in Italia ed i suoi 600 lavoratori?
Da esterno alle trattative non posso sapere qual è lo stato dell’arte, mi sembra però che la situazione sia tutt’altro che rosea, ma andiamo avanti per gradi.
Nel gennaio 2013 entra in gioco il secondo protagonista di questa vicenda, ovvero il fondo di investimento Orlando Italy, specializzato in ristrutturazioni aziendali (o meglio acquisisce, spacchetta e rivende le aziende così da massimizzare i propri utili, se qualcuno ha visto Wall Street di Oliver Stone sa di che si parla) che ha acquistato il 100% di Fnac Italia. In quei giorni in tanti si sbracciarono in facili esultanze sull’esito positivo della vicenda Fnac (l’acquirente avrebbe garantito i posti di lavoro e la continuità aziendale) a pochi era chiaro che i problemi sarebbero arrivati proprio con questa cessione.
Ovviamente le iniziative “imprenditoriali” di Orlando Italy ci dicono chiaramente che il Fondo non ha nessuna esperienza nel settore (gestisce una piccola attività di produzione di profumi, partecipazioni in società di video lotterie e della produzione di carta, marchi di abbigliamento ecc.) e, infatti, non è affatto interessato a rilanciare l’attività dei negozi.
Pochi mesi dopo (aprile 2013) OI venda, a sua volta, il grosso del “pacchetto” ad un’altra società la DPS Group (Trony, per intenderci) non prima di aver capitalizzato l’operazione vendendo 3 punti vendita e mandando a casa circa 300 lavoratori.
Siamo ai giorni nostri: Trony subentrando in 5 punti vendita (Napoli, Milano, Genova, Verona, Torino) pari a 290 dipendenti circa, tramite fitto di ramo d’azienda (che si dovrebbe poi perfezionare in acquisto vero e proprio), l’offerta però non convince il giudice fallimentare che ha già chiesto due rinvii (l’ultimo il 13 giugno).
Il futuro dei lavoratori è quindi incerto, la DPS Group ha già chiesto al Ministero del Lavoro la cassa integrazione dal 1° luglio per tutti i lavoratori (fonte giornalistica), la stessa offerta d’acquisto potrebbe risultare un buco nell’acqua, limitarsi ad una semplice affitto dei locali e del marchio commerciale per qualche tempo.
Peggio ancora potrebbe risultare uno dei tanti stratagemmi per abbassare il prezzo dell’acquisto o scaricare sullo Stato il costo del lavoro. Si vedrà.
Per adesso quello che possiamo fare è non abbassare l’attenzione sul problema, anzi rilanciarla; spiegare come e perché vengono prese le decisioni qui descritte, chi ci guadagna e chi ci perde; chi ci specula (finanziariamente e politicamente) e chi mette in stand-by i propri progetti di vita in attesa che i comitati d’affari decidano il loro futuro. Ognuno faccia la sua parte.
Immagine tratta liberamente da www.genova24.it