Giovedì, 08 Agosto 2013 00:00

La premiata ditta svendite di Stato

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Puntuale come ogni anno (e anche più spesso certi anni) arriva dal governo (questa volta della premiata ditta Letta-Alfano) la geniale - ed originale - proposta di svendere il patrimonio pubblico al fine di abbattere il debito. Tra i beni da mettere in vendita vi sarebbero una quantità impressionante di edifici pubblici e le partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in quelle imprese che una volta rappresentavano i cosiddetti enti pubblici economici (tra esse pare in fase avanzata la vendita di Ansaldo Energia, azienda leader nella produzione di componenti per centrali elettriche ad un gruppo sudcoreano).

Non occorrono grandi esperti di economia per smascherare questa operazione come antieconomica ed in ultima analisi dannosa per il tanto decantato “sistema Italia”, basterebbe il buon senso.

Per quanto riguarda la partita legata agli immobili numerosissimi sono oggi gli enti pubblici (in particolare scuole) costretti ad operare in locali in affitto, una diversa organizzazione ed una ristrutturazione di edifici pubblici (realizzabile tramite prestiti della Cassa Depositi e Prestiti in barba ad ogni dogma sulla riduzione delle spese che porta con sé la riduzione dell'indebitamento) porterebbe nel medio-lungo periodo considerevoli risparmi (basterebbe seguire l'esempio virtuoso messo in atto da diversi amministratori locali: tra essi i sindaci di Napoli e Palermo, De Magistris e Orlando).

Ancora più grave è la vicenda legata alle aziende a partecipazione pubblica. Al netto di carenze e inefficienze alcune di queste aziende sono al vertice dei rispettivi settori per qualità delle produzioni e proiezione internazionale (si pensi in particolare a ENI, Fincantieri, la citata Ansaldo), spesso rappresentano nella propria categoria produttiva le ultime aziende ancora presenti sul territorio nazionale e non di rado producono utili: utili incamerati ogni anno dallo Stato e che già sul medio periodo (in particolar modo in una fase di crisi economica) rendono totalmente non conveniente la loro vendita (o per meglio dire svendita).

Aspetto decisivo poi in questa vicenda è quello occupazionale: le aziende a partecipazione pubblica garantiscono occupazione (sia diretta sia, negli ultimi vent'anni in particolare, purtroppo anche esternalizzando servizi e settori produttivi) con pochi - o nulli - rischi di delocalizzazione, mantengono nel nostro Paese (lo ricordiamo un Paese di 60 milioni di abitanti e che dunque non può auspicare di avere la stessa struttura produttiva di San Marino) centri di ricerca altamente qualificati, stabilimenti produttivi, insomma portano avanti un pezzo dell'economia reale del Paese. Come non ricordare in tal senso le perdite in termini occupazionali, di conoscenze e capacità produttive nel settore della manifattura tabacchi o la poco gloriosa fine fatta da Tirrenia, azienda spezzettata, smontata e sostanzialmente regalata dalla stessa classe politica che ha nominato e protetto i suoi incapaci amministratori.

La sfida conservatrice aperta dal governo - il tentativo di "ridurre lo Stato a niente" – presentata come una neutra scelta di politica economica rappresenta un attacco alla classe lavoratrice del nostro Paese ed un tentato omicidio al sistema industriale italiano. Non aveva torto Giuseppe Di Vittorio quando affermava che "solo i lavoratori italiani hanno a cuore l'industria italiana".

Ultima modifica il Giovedì, 08 Agosto 2013 15:46
Roberto Capizzi

Nato in Sicilia, emiliano d'adozione, ligure per caso. Ha collaborato con gctoscana.eu occupandosi di Esteri.

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