Pillole dal Giappone #272 – Ancora tensione con la Corea del Sud sulla vicenda degli ex forzati di guerra
Lo scorso 18 novembre, davanti all'Ard Fheis del partito, il quasi settantenne Gerry Adams ha annunciato il suo ritiro da presidente dello Sinn Fein, posizione da lui ricoperta per più di trent'anni. Nel breve discorso, che tra le altre cose descrive la brexit come «la più grave minaccia al popolo irlandese da generazioni» e critica duramente il governo dell'Eire e il primo ministro Varadkar accusandolo di thatcherismo, Adams ha parlato della necessità di trasformare la «cultura di resistenza» forgiata nei duri anni dei Troubles in una «cultura di cambiamento» in grado di accompagnare la crescita del partito, tanto nel Nord quanto nel Sud dell'Irlanda.
Da più parti, dopo un'epoca di condivisa riprovazione, si invoca in questo periodo la categoria del “populismo” come risposta salvifica o come strategia vincente. La Brexit e la vittoria di Donald Trump alle elezioni USA hanno di sicuro attirato ulteriormente l'attenzione verso il populismo di destra ed i suoi pericoli per l'Europa e per le minoranze.
Molto si è discusso, e molto ancora si discuterà, circa la Brexit. Con la pistola ancora fumante del referendum, vinto di strettissima misura dai favorevoli all'uscita, è possibile cominciare ad avviare una riflessione che risulterà certamente parziale ma con alcuni punti fermi.
Ad egemonizzare la campagna per l'uscita dall'Unione Europea sono state, quasi esclusivamente, le destre: tanto quelle interne al Partito Conservatore (capeggiate dall'ex sindaco di Londra, Boris Johnson), quanto quelle estreme (dai nazionalisti dell'UKIP di Farage fino ai neofascisti simpatizzanti dell'assassino della deputata laburista Cox) e lo hanno fatto sul loro terreno ideologico: in primo luogo sull'immigrazione.
La Brexit e la crisi della narrazione politica della sinistra
L'egemonia che la destra ha avuto sul dibattito attorno alla Brexit obbliga ancora una volta a chiedersi quale possa essere il ruolo storico della sinistra nel Vecchio Continente. Le difficoltà elettorali e identitarie del Labour Britannico non bastano infatti a spiegare la quasi totale estraneità di una narrazione di sinistra rispetto ai pro e i contro di rimanere in Europa. Se forse è esagerato affermare che il referendum sia stato semplicemente il prodotto di una bega interna al partito conservatore, appare evidente come le destre abbiano completamente monopolizzato la discussione politica riducendola a due posizioni alternative chiare e semplici(stiche): da una parte chi, come Cameron, vuole una Gran Bretagna in Europa per i vantaggi che ne derivano dalla libertà di movimento di merci e capitali e dall'integrazione dei mercati finanziari, e dall'altra chi, come Boris Johnson e Farage, rivendica un Regno Unito indipendente da scelte eterodirette e in grado di esercitare in pieno la propria sovranità.
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