Anzitutto, credo di deludere dicendo che a me la scelta di presentarci con Rivoluzione Civile (=RC) parve assolutamente giusta, anzi inevitabile, e non sarei leale se oggi (come molti fanno) dicessi che la nostra sconfitta dipende da quella scelta. Anzi ti dico subito che non mi sembrerebbe una bella idea buttare con l’acqua sporca anche il bambino, cioè liberarci affrettatamente di una possibile alleanza dando la colpa al povero Ingroia della nostra sconfitta.
Permettetemi di soffermarmi un attimo su questo punto che noi stessi troppo spesso trascuriamo: e invece si tratta di riuscire a fare oggi una battaglia ideale e politica fra le masse simile, per ampiezza a profondità, a quella che i comunisti (e qualcuno di loro è oggi qui presente) seppero condurre vittoriosamente nel 1953 contro la “Legge truffa” tentata dalla DC. Diciamocelo subito: la “Legge truffa” è rose e fiori rispetto alle leggi elettorali che sono in vigore oggi: e si tratta di un punto davvero cruciale per la democrazia, cioè di decidere se il parlamento è “specchio del paese” – come diceva Togliatti –, cioè è il luogo in cui si può manifestare politicamente il conflitto fra le classi, oppure al contrario se il parlamento è un luogo in cui, a causa di leggi elettorali costruite apposta, le masse popolari non possono mai accedere nella loro autonomia politica, e debbono solo limitarsi a scegliere il meno peggio fra i loro padroni e nemici.
Negli anni Novanta è stata portata avanti la disdetta unilaterale da parte capitalistico-borghese del grande compromesso democratico (voglio chiamarlo così) fra le classi e fra i popoli che aveva permesso all’umanità di battere il nazifascismo e di fuoruscire dalla seconda guerra mondiale, un patto che è rimasto scritto nella nostra Costituzione.
Il grande compromesso democratico di cui parliamo non era certo il socialismo, ma tuttavia prendeva atto della lotta di classe, le riconosceva il diritto a esistere e a dispiegarsi, e riconosceva alla parte proletaria, in Italia e nel mondo, la possibilità di svolgere il proprio ruolo, di difendere i propri diritti e di conquistarne di nuovi, di avanzare sul terreno sindacale e politico, nella democrazia.
Ho argomentato altrove (su “Controlacrisi” e su www.Liberaroma.it) che le primarie sono “un’americanata a Roma” degna di Alberto Sordi, e però un’americanata tutt’altro che innocua, perché le primarie alludono allo stravolgimento della Costituzione (anzi lo praticano già!) prefigurando un Presidente del Consiglio (ma loro dicono: “premier”) eletto direttamente dal popolo, e non invece nominato dal Presidente della Repubblica e votato dal Parlamento, come la nostra Costituzione prescrive (cfr. gli artt. 92, 93 e 94 della Costituzione). Insomma le primarie sono culturalmente del tutto interne alla logica della Repubblica presidenziale, di un “unto del Signore”, a cui viene affidato per via plebiscitaria tutto il potere, senza alcuna mediazione democratica di tipo parlamentare. E non sono forse già, le primarie, un plebiscito personale, per scegliere il “capo”? Confesso che mi fa scorrere un brivido nella schiena il “combinato disposto” fra le ondate di populismo autoritario che la crisi capitalistica porta con sè in tutta Europa e il possibile presidenzialismo (che peraltro era già previsto dall’accordo alla bicamerale D’Alema-Berlusconi, poi fatto saltare da quest’ultimo). Pensiamo cosa sarebbe successo se un simile regime di investitura diretta del “premier” fosse già stato vigente e se Berlusconi avesse potuto presentarsi come espressione diretta della volontà popolare.
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