Maestro dell’horror più slasher, autore di B-movies di culto come Halloween o La Cosa e di maestosi film fantascientifici come soprattutto 1997: Fuga da New York, Carpenter è anche affermato autore di diverse colonne sonore, spesso a sostegno dei suoi stessi film, altre volte a servizio delle opere di altri registi. Nonostante il minimalismo, i suoi soundscapes stranianti e oscuri, specchio perfetto per le sue pellicole più decadenti e violente, sono sempre stati elogiati per il senso cinematico del ritmo e della suspense, impreziosendo le scene con un cupezza sonora sublime e atemporale.
Questo suo Lost Themes, licenziato dalla mitica e mai troppo elogiata Sacred Bones, che ha in catalogo altri artisti che fanno del gotico e dell’orrore la loro cifra stilistica, come Zola Jesus o i Pop 1280, non si discosta molto dalle impostazioni di fondo che regnano nelle sue soundtracks. La strumentazione è sempre ridotta all’osso ed è dominata dall’uso spasmodico delle tastiere, stavolta non collegate a sintetizzatori analogici ma prodotte facendo ricorso a software di montaggio sonoro (sequencer), mentre il fascino sinistro per un’elettronica singhiozzante e cavernosa, resta sempre la stessa.
I tappeti sonori ombrosi e stranianti di Lost Themes, intrisi di estetica sci-fi anni ottanta, vivono di pulsioni primordiali e di palpitazioni stanche che, se non altro, hanno il merito di superare le colonne sonore in volumetria e dinamismo. Vengono infatti meno i tempi morti e le ripetizioni eccessive, che non avrebbero in effetti giovato ad un’opera pensata solo ed esclusivamente per l’ascolto. Questa riduzione dei “vuoti” sonori permette a Carpenter di ampliare lo spettro del suo citazionismo musicale. Se l’iniziale Vortex fa pensare a certe suggestioni synth pop simili a quelle che si ritrovano nella colonna sonora di Drive, gioiello noir ed estetizzante di Nicolas Winding Refn, Obsidian catapulta l’ascoltatore in un improbabile deserto sci-fi western dominato da cowboy e dischi volanti, mentre Domain si lascia andare a aperture space rock/kosmische musik che richiamano Tangerine Dream, Popul Vuh e altri gruppi affini alla scena prog. Non è un caso, infatti, che il fantasma dei nostrani Goblin, aleggi su tutto il disco. In particolare composizioni come Abyss e Wraith sembrano un omaggio al misticismo fervente del gruppo che ha impreziosito le pellicole di Dario Argento coi suoi ritmi tribali e onirici.
Lost Themes, pur più melodico e energico rispetto alla maggior parte delle colonne sonore di Carpenter, resta un disco fedele allo stile musicale minimale e cupo del cineasta e compositore americano. Svariati generi e stili, tanto anni settanta che anni ottanta, si intrecciano in questo lavoro di elettronica d’ascolto che ha però il limite di essere adatto solo a quel ristretto pubblico che fa della musica ambientale più cinematica, visiva e oppressiva un culto. Sebbene eccessivamente ostica senza essere altrettanto profonda e complessa, l’opera di Carpenter regala comunque un ascolto visionario e perturbante, dimostrando di saper creare l’horror anche senza le immagini.
Voto: 6,5 [in fondo all'articolo trovate il video!]