Mercoledì, 04 Febbraio 2015 00:00

Welcome Back Sailors e Be Forest, dalla data di Firenze

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L’atmosfera al Glue è quella tipica delle serate speciali. Attratti da un programma che vedrà esibirsi due fra i migliori gruppi italiani in circolazione, i Be Forest di Pesaro e i Welcome Back Sailors di Guastalla (RE), decine di ragazze e ragazzi in piedi, pazienti, aspettano di fronte al palco l’entrata in scena degli artisti, altri si appoggiano al bancone sorseggiando una birra fredda o se ne stanno fuori a fumarsi rapidamente l’ultima sigaretta prima che il concerto inizi. C’è un palpabile senso di attesa mista ad eccitazione.

Il gruppo emiliano è il primo a calcare il palco. Partono le prime note. I ragazzi si mostrano subito carichi, passionali e generosi eppure, ahinoi, qualcosa non quadra: il suono risulta decisamente appiattito e piuttosto frammentato. Che sia la troppa esuberanza? L’approccio eccessivamente enfatico o la voglia di strafare? No, via via che il concerto entra nel vivo si comprende che il problema è più strutturale. C’è molta confusione, scarsa visione d’insieme. Soprattutto, si ha l’impressione che se la sezione ritmica e la chitarra stanno andando in una direzione, le voci vanno dall’altra parte, mentre i sintetizzatori e tastiere in un’altra direzione ancora. Insomma, tutto appare sconnesso e senza un baricentro, come se i tempi fossero completamente saltati.

Annoverabili fra quegli artisti che, come Casa del Mirto e Drink to Me, hanno recentemente contribuito a rivitalizzare in maniera profonda il pop elettronico italiano, conferendogli un suono internazionale e una sensibilità artistica fuori del comune, i WBS si sono distinti grazie al loro approccio polveroso alla materia pop che ha raggiunto la maturità sull’album dello scorso anno Tourismo, ricco di ingiallite suggestioni chillwave e sintetici filtri mnemonici malinconici e toccanti. Si tratta di un complessità compositiva che però purtroppo, almeno sabato scorso, non è mai stata fedelmente riprodotta live dai nostri. Al netto di qualche probabile errore nel Soundcheck, si è avuta l’impressione di aver a cha fare con un gruppo molto più a suo agio in uno studio di registrazione che su un palco. La qualità dei pezzi che il gruppo ha in repertorio e l’atteggiamento sempre generoso dei WBS hanno comunque parzialmente salvato una prestazione altrimenti deludente. Convinti che si sia semplicemente trattato di una serata no e che abbiano tutte le carte in regole per dire la loro anche live, ci auguriamo di poterli ritrovare in un migliore stato di forma il più presto possibile.

Altra storia per quanto riguarda gli headliner della serata, nonché uno delle realtà italiane più significative nel panorama indie. Reduci da un lungo e fortunato tour americano, sintomo di una modesta ma crescente e sicuramente meritata fama internazionale, i Be Forest sono all’apice della loro forma e sul palco del Glue mostrano tutto il loro affiatamento. Il loro dream pop soffuso e decadente viene restituito dal vivo con fedeltà e coerenza, mantenendo intatta la compattezza sonora e anzi aggiungendovi una forza suggestiva superiore a quella delle incisioni in studio. L’approccio più sporco, ruvido e rumoristico poi, rende il tutto più sanguigno e vivace.

Il trio dialoga in maniera perfetta: Nicola Lampredi costruisce feedback chitarristici evocativi ed ipnotici, i riverberi shoegaze, più marcati rispetto alle incisioni in studio, restituiscono un suono voluminoso grazie anche a una ricerca sonora vivace e mai sopra le righe; Costanza delle Rose incanta con la sua presenza scenica e con la sua voce languida, fragile e gentile; Erica Terenzi , infine, con i battiti secchi e nervosi della sua batteria, suonata in piedi alla Moe Tucker, trascina nell’abisso l’ascoltatore. È lei a scolpire il ritmo, a conferire una struttura austera e fredda , affascinante e sublime ad ogni passaggio.

Pur rimanendo spettrali ed evanescenti, i Be Forest esaltano live il loro lato più diretto e meno impalpabile confermandosi fra i migliori interpreti italiani del revival delle sonorità anni ottanta. Molti i brani presi dall’ultimo Earthbeat, fra i migliori album italiani dello scorso anno, ma non sono mancati neanche i momenti più shoegaze e darkwave tipici del precedente Cold (2011). Veramente apprezzabile poi il loro modo di atteggiarsi sul palco: schivo, serio, di poche parole, ma estremamente concreto nei fatti.

Menzione particolare per l’etichetta We were never being boring che ha da subito dato fiducia a queste due band italiane che si stanno rapidamente conquistando un posto di tutto rispetto nei ranghi dell’indie italiano. Il bel dj set di Disorder che fa ballare fino a tarda notte, mette la ciliegina sulla torta a una serata veramente riuscita.

Immagini liberamente riprese dalla pagina Facebook Glue Alterantive Concept Space

Ultima modifica il Mercoledì, 04 Febbraio 2015 11:29
Alessandro Zabban

Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all'arte in tutte le sue forme.

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