Nel segno di Joy Division e New Order: Peter Hook in concerto
live report del concerto di Poter Hook & The Lights al Viper di Firenze del 10 Dicembre
A ricreare l'atmosfera della Manchester che fu, ci pensa la proiezione dell'eccentrico film semi-documentaristico "24 Hour Party People", proiettato prima del concerto su una parete del Viper. Ma, in una sala gremita e molto eterogenea anagraficamente, tutti aspettano lui, Peter Hook, lo storico bassista dei Joy Division e new Order che con il supporto dei The Lights è venuto per suonare i pezzi storici dei due gruppi simbolo della scena new wave, ancora oggi fra i più influenti nell'ambito della musica rock alternativa.
Tutti si aspettavano qualcosa di più di una semplice serata tributo e per fortuna così è stato. I molto bravi Lights accompagnano magistralmente un Peter Hook che ha il grande pregio di rileggere i brani dei due gruppi e offrirne una versione personale. In diversi frangenti, Hooky si permette il lusso di fare ciò che non è mai stato, ovvero la rockstar, mettendosi sul bordo del parco in pose plastiche a eseguire dei riff di basso di buon impatto, lui che ha influenzato intere generazioni di musicisti col suo basso pulsante e ossessivo. Anche i pezzi, sono generalmente interpretati con una maggiore predisposizione rockettara, oltre che con un più moderno piglio elettronico per quanto riguarda i pezzi dei Joy Division, pur senza snaturarli.
Hook e i Lights iniziano la loro lunga maratona musicale (complessivamente, il concerto è durato circa due ore e mezzo) proponendo prima alcuni brani dei New Order. Già in questa prima fase emerge la nota stonata della serata, ovvero la voce di Hooky, poco brillante, e che sembra non riuscire a raggiungere certe tonalità. Rispetto a Bernard Sumner, cantante dei New Order (che hanno di recente prodotto un nuovo album ma senza Peter), Hook appare un dilettante, ma il trasporto di gioielli come "Dreams Never End" e "Ceremony", copre gli scarabocchi vocali di altri pezzi in cui non riesce a essere altrettanto incisivo ("Temptation", "Age of Consent"). Peccato per la mancanza nella scaletta di un classico come "Blue Monday" che i nostri avevano già portato su altri palchi.
Meglio il lungo set, a sua volta diviso in tre parti, in cui vengono proposti in maniera sistematica e quasi filologica tutti i pezzi dei Joy Division presenti nel loro due album ufficiali, i seminali Unknown Pleasures (1979) e Closer (1980), più alcuni dei loro fulminanti singoli. Anche qui, però, con le dovute differenze. Su Closer, che Peter Hook & The Lights hanno cominciato a portare in tour solo da pochi mesi, si percepiscono ancora piuttosto nettamente le indecisioni vocali di Hook alle prese con del materiale poco rodato dalla band, la quale comunque restituisce in maniera più che discreta la disperata grandezza monumentale e decadente del disco, con lo stesso Hooky che dà il meglio di sé quando si tratta di fornire una interpretazione personale nelle rarefatte ed atmosferiche gemme conclusive di "The Eternal" e "Decades".
Il meglio del concerto si ha però nel finale, quando Hook e i Lights si scatenano sulle note dell'inossidabile capolavoro Unknown Pleasures. Qua, la voce baritonale di Peter riesce a non far rimpiangere (troppo) Ian Curtis, mostrando una maggiore scioltezza e disinvoltura, mentre dietro i Light sono bravissimi a ricostruire le impalcature oscure, nervose, ansiogene delle varie "Shadowplay", "She's Lost Control" o "Disorder". Il pubblico, risponde con grande trasporto emotivo, e si scatena negli atti conclusivi dove, nel tripudio generale, vengono proposte in sequenza "Digital", "Transmission" e l'immancabile "Love Will Tear Us Apart".
Nonostante il prezzo più che abbordabile, Peter Hook & The Lights non si risparmiano. Benissimo la parte strumentale, con il basso di Hook in grande evidenza e i Lights in forma strepitosa. Così e così invece la voce di Hooky che però a modo suo e con mestiere si difende, lui che comincia ad avere una certa età e un cantante professionista non è mai stato. Viene così rafforzata la legittimità di questa ibrida operazione a metà fra il revival e il tributo che intrattiene senza troppe presunzioni e senza far torti a nessuno. Difficile aspettarsi di più.